Deathloop Recensione: Non c’è via di fuga

Deathloop Recensione| L’idea di giocare con il tempo è molto antica e spazia molto prima dall’albore del medium videoludico; una forza così potente, apparentemente ingovernabile e a cui tutti gli esseri umani sono sottoposti. La fantasia di ottenere un controllo totale e assoluto di questa energia fondamentale della nostra realtà fisica ha sedotto le menti di molti creativi, che ci hanno fatto dono di opere senza dubbio significative. Dal fronte videogiochi ad esempio non si può non citare Prince of Persia – Le sabbie del tempo, opera che permetteva di ritornare indietro e manipolare le nostre azioni servendosi di un particolare artefatto. Ma non mancano altri esempi, e l’ultimo lavoro a sperimentare nel campo del game design e nella ludonarrativa con il concetto di controllo del tempo è proprio Deathloop, ultima fatica di Bethesda ed Arkane di cui anche noi di VMAG ora vi offriamo la nostra Recensione. Buona lettura!

Deathloop

Una metafora iniziale

Iniziamo l’analisi di Deathloop esattamente dal principio, una scelta anch’essa governata dall’ordine delle cose e dal continuum temporale; due dogmi che quest’opera prova a violare. In un’apprezzabile metafora con le nostre esistenze, il titolo incomincia con il nostro personaggio protagonista – Colt – che si risveglia da una sbronza in preda a confusione e disorientamento. Potrebbe trattarsi di una scelta governata dal black humor (di cui l’opera è condita) oppure di un MacGuffin per non spiegarci i presupposti della vicenda, ma in realtà si tratta proprio di una creativa allegoria. Dopo tutto, cosa sono le nostre effimere vite, se non una linea di coscienza tra due abissi di incoscienza? Ordine contrapposto a caos, e un risveglio da una sbronza in ultima analisi rappresenta proprio un emergere dall’abisso psichedelico per affrontare la vita nuda e cruda. Ma non tutto torna a Blackreef, il luogo dall’estetica vagamente raypunk dove si svolgeranno i fatti dell’opera, non torna.

C’è qualcosa, nelle seguenze introduttive di Deathloop, che ci fa capire in modo lampante e fumosamente promissorio, la difficile situazione che Colt dovrà affrontare. Richieste e messaggi confusionari, veicolati forse dall’alcol, forse da un’innominabile coscienza cosmica, che lo invitano a “rompere il loop”, ad imparare, a fermarlo – qualsiasi cosa vada fermata. Si tratta di un invito molto appetibile al giocatore, veicolato con una certa devianza narrativa rispetto alle convenzioni standard della industry; perché Deathloop è proprio un gioco diverso dalla norma. E poi, lentamente, così come il nostro Colt, anche noi fruitori di questa esperienza arriveremo lentamente alla conclusione che ci ritroviamo intrappolati in un limbo infinito, un eterno ritorno. Prigionieri di un gruppo di Arconti ante-litteram, che si fanno chiamare i Visionari, coloro che sono riusciti a sconfiggere il tempo isolando questo luogo dal flusso temporale normale.

Deathloop

Una costante sensazione di scoperta

La scoperta è proprio la sensazione che ci animerà nella maggior parte delle ore che dedicheremo a Deathloop; il team di Bethesda e di Arkane ha fatto davvero un ottimo lavoro a veicolare il fruitore a confrontarsi con questo mondo di gioco. Si tratta di un’esperienza fortemente curata, specialmente dal punto di vista narrativo ed estetico, un vero gioiello, che viene impiegato non per un’opera asettica da commercializzare impunemente, come troppo spesso accade in questi anni, ma per un gameplay sperimentale e molto ispirato. Intelligenza Artificiale, RNG e scripting uniscono le forze per offrirci un mondo dove tutto è già scritto e deciso all’inizio di ogni ciclo a tavolino, ma in cui l’unico elemento divergente dalla rigida e sempiterna ripetizione di questo loop è solamente l’apprendimento del giocatore – la vera arma che ci permetterà di porre fine a questa perversa utopia.

Il nostro scopo manifesto fin dalle sequenze iniziali di Deathloop è proprio quello di porre fine ad un eterno limbo, proprio come quello di Returnal, ma questa volta reso possibile e mantenuto dalla volontà di un gruppo di privilegiati di sconfiggere il tempo. La sensazione di scoperta interviene costantemente e ci spinge sempre di più a proseguire l’esperienza in gioco, quando siamo chiamati ad esplorare le quattro aree di Blackreef nei differenti momenti della giornata. E alla missione principale di porre fine a questo apparentemente indistruttibile ciclo, a questo terribile meccanismo perfetto, si unisce anche la curiosità di esplorare un mondo dove non mancano interessanti e ricche sottotrame emergenti, veicolate principalmente tramite terminali, registrazioni, documenti. Un vero punto di forza di tutta l’esperienza.

Deathloop

Le infinite pieghe di un tempo finito

Dal punto di vista più superficiale e oggettivo, Deathloop è un FPS, ma come ben sappiamo, non si può mai dare definizioni troppo semplici di titoli di questo calibro. Indubbiamente le armi hanno una funzione importante in quest’opera, in quanto strumenti di morte, la morte è l’unico modo apparente per porre fine a questo ciclo, per obbligare dei figli dell’universo a rispettare le sue leggi. Si potrebbe pensare che questo titolo offra qualcosa per tutti ma la verità è che chi non si farà sedurre dalla trama e dai tropi narrativi di questa esperienza, difficilmente si limiterà a godere del gameplay ignorando le sue ripercussioni. Deathloop non è dunque un semplice gioco, e sarebbe anche il momento che si smettesse di considerare le opere del nostro medium come prodotti squisitamente da consumo, ma piuttosto, iniziare a vederli come contenuti culturali. Ma lo sappiamo bene, come un libro ha le sue regole, anche il nostro medium ha una codifica e degli schemi, che noi riassumiamo e condensiamo con il termine “gameplay”.

In questo senso, la meccanica più caratterizzante di Deathloop è senza dubbio proprio il suo presupposto narrativo fondante – questo ciclo infinito che ci basta poco per sperimentare, ovvero, portare alla morte il nostro personaggio, per nostra mano o per semplice sbaglio. Proprio in quel momento sarà chiaro che non ci troviamo dinnanzi ad un semplice “videogioco”, ma piuttosto ad un’opera in cui trama e gameplay lavorano all’unisono. Per “vincere” in questa sfida dovremo uccidere tutti i Visionari, e per farlo dovremo apprendere le loro abitudini e i loro segreti più intimi, oltre che ovviamente sarà necessario imparare a padroneggiare molti tipi di armi, strumenti e variabili ambientali, dipendenti da un complesso sistema dinamico fatto da tempistica, caso o abilità del giocatore.

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L’estetica dell’Eterno Ritorno

Se sono la trama e il gameplay ad intrecciarsi per caratterizzare e donare valore all’esperienza di Deathloop, la ciliegina sulla torta la mettono l’estetica e il comparto sonoro, lati delle opere interattive che purtroppo vengono spesso trascurati da chi si dedica ad analizzare e a recensire i videogiochi. Un punto di forza di questo titolo è proprio l’idea che siano anche i luoghi dove si svolgono le vicende a raccontarci una storia, a veicolarci delle sensazioni e delle idee ben precise. Blackreef, questo luogo inizialmente misterioso con un nome anche all’uopo per quel che qui accadrà, si rivela come il luogo perfetto dove godere di un lampante esempio di narrativa emergente. Con la sua interessante estetica futurista con richiami interessanti agli anni ’70, che ritroviamo anche nella colonna sonora, ci immergerà in un Sonder difficile da tirar via. Perché la verità è proprio che ciascun personaggio avrà una storia e dei moventi ben precisi per temere il tempo e le sue ineluttabili conseguenze.

Ma c’è anche un’altra sensazione che subentra dopo diverse ore di gioco in Deathloop, ovvero l’inganno; un sapore in bocca per nulla nuovo a chi proviene da un background teatrale o comunque cinematografico. In fondo, anche nella vita molto spesso ciascuno di noi “fa la parte”, e come sa bene anche chi progetta videogiochi, non siamo troppo distanti con il game development, con parole come “script”, “scena”, “attore” e tanto altro. Un inganno che trasuda non solo dalla narrazione, veicolata a mezzo quest log, ma anche e soprattutto dal gameplay. Proseguendo sul nostro monte ore in gioco, vedremo in breve come dietro ad un meccanismo apparentemente perfetto e ben rodato ci siano delle falle, delle vie di fuga su cui dovremo puntare molto per tentare di rompere il ciclo, distruggere la macchina, uscire dalla grotta delle ombre. Una nota di pregio va senza dubbio al doppiaggio italiano, molto ispirato e adatto al titolo, una componente spesso trascurata che fortunatamente in questo caso ha ricevuto la giusta attenzione.

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Le onnipresenti imperfezioni

Nella dualità delle cose esiste la perfezione e l’imperfezione, il comprensibile e l’incomprensibile, e ovviamente neanche Deathloop si può sottrarre da queste regole. Anche quest’opera ha i suoi difetti, come è giusto che sia: il più grosso è sicuramente l’intelligenza artificiale, come c’era da aspettarsi. Un vero problema per la nostra industria, che fortunatamente si avvia al termine ora che la ricerca sta puntando molto su questa componente della tecnologia moderna. L’IA di Deathloop si comporta in modo strano, prende troppi rischi, e questo stride un po’ con l’immagine di una cricca di Visionari sempre avanti rispetto al giocatore che viene presentato nella trama. Un difetto che si nota specialmente nelle fasi in cui a contrastare i nostri tentativi di rompere il ciclo arriverà Jiulianna, la mercenaria incaricata di fermarci.

Un altro problema di Deathloop, questa volta squisitamente ludico, è dato dal gunplay, che appare in molti casi insoddisfacente e vagamente incompleto. Non fraintendeteci, l’opera offre un buon catalogo di armi da utilizzare, che si prestano bene alle differenti situazioni del gioco; vi sono bocche da fuoco dalla distanza, fucili a canna lunga, shotgun e qualsiasi cosa si possa desiderare, ma la carenza è più sottile. Un problema aptico che si percepisce particolarmente quando terremo in mano un controller PlayStation 5, su cui è stata esercitata parecchia enfasi proprio in questo senso. Le armi sono vagamente “insensibili”, ed in più la mira appare piuttosto problematica, imprecisa; dei problemi che danneggiano lievemente l’esperienza, tolti i quali dovrebbe proseguire liscia come l’olio.

Deathloop è un’opera che fin da poche ore dal suo debutto ha dato molto da discutere e riflettere a critica e videogiocatori; un titolo con un gameplay coraggioso e sperimentale che ci sentiamo di lodare, perché si tratta proprio ciò che vogliamo vedere in questa nuova generazione. Opere che rompono gli schemi, che ci offrono esperienze creative ed immersive, con una forte componente narrativa ed autoriale ed un’estetica riconoscibile. In questo Deathloop riesce bene, uscendone con qualche graffio ed imperfezione dal punto di vista meramente tecnico, dei piccoli sbagli che verranno senza dubbio perdonati dall’utenza, se verrà catturata dalle sue caratteristiche uniche.