Assassinio a Venezia Recensione: incredibile… ma vero

Non c’è due senza tre, e Kenneth Branagh ritorna sul luogo del delitto in Assassinio a Venezia, terzo capitolo del suo Poirot.

Non c’è due senza tre, e Kenneth Branagh ritorna sul luogo del delitto… del resto è quello che fa sempre il suo alter ego cinematografico Hercule Poirot, nato dalla penna di Agatha Christie ma da lui adottato a partire dal 2017 con il successo di Assassinio sull’Orient Express e poi in Assassinio sul Nilo, per arrivare poi al qui recensito Assassinio a Venezia. Poirot, però, il luogo lo cambia spesso, e in effetti la collocazione geografica delle avventure dell’investigatore diventa un elemento rilevante della serie, un po’ come per i viaggi di Indiana Jones o i più memorabili ‘Natali di qua e di là’ della coppia Boldi/De Sica. I maligni diranno che è una scusa per farsi le vacanze in giro per il mondo con la scusa del cinema – e gli ancora più maligni sottlineeranno che dopotutto è quello che facciamo anche noi addetti ai lavori quando ce ne andiamo a spasso per festival – ma quanto ci sentiamo realmente di smentirli?
Innanzitutto, stavolta Branagh ha fatto presto: Assassinio sul Nilo è uscito a breve distanza, ha avuto un sacco di problemi di produzione a causa del Covid e pur rappresentando un’esperienza cinematografica gradevole è stato aspramente criticato dai lettori della Christie per la sua scarsa fedeltà all’opera originale. Beh, non osiamo immaginare cosa possano dire i lettori di lungo corso su questo. Assassinio a Venezia è infatti una rilettura molto (ma molto molto molto molto molto – e non si è incastrata la tastiera –) libera di Halloween Party, romanzo conosciuta da noi con il titolo La strage degli innocenti, di cui esiste tra l’altro già un adattamento televisivo targato 2010. La prima cosa che salta all’occhio in termini di differenze con il libro è un “piccolo” dettaglio: il libro originale non è ambientato a Venezia. Alè.

Assassinio a Venezia
Una Venezia da cartolina, con le atmosfere lagunari perfettamente in linea con quelle della trama.

Assassinio a Venezia… e in libreria

Ecco che le malelingue sul “farsi una vacanza a scrocco” iniziano pian piano ad acquisire senso e spessore. Ma non si tratta solo di questo: la trama infatti si basa molto labilmente su quella del romanzo, inserendo elementi anche da un racconto breve della Christie, ‘L’ultima seduta spiritica’ e aggiungendo perfino altre sottotrame per allungare il brodo. Ambientato nell’inquietante Venezia del secondo dopoguerra alla vigilia di Ognissanti, Assassinio a Venezia è un terrificante (in tutti i sensi!) mistero che vede il ritorno del celebre investigatore Hercule Poirot. Ormai in pensione e in esilio volontario nella città più affascinante del mondo, Poirot partecipa con riluttanza a una seduta spiritica in un palazzo decadente e spettrale. Quando uno degli ospiti viene assassinato, il detective si ritrova in un mondo sinistro di ombre e segreti.
Il risultato è un po’ un pasticcio e le forzature si sentono. Siamo nel 1947, a Venezia, e dei bambini festeggiano Halloween con tanto di costumi e “dolcetto o scherzetto”. Ma quando mai. Certo, è vero che gli americani hanno probabilmente portato da noi la tradizione durante la Seconda Guerra Mondiale, ed è altrettanto vero che in Italia era già diffuso il festeggiamento del culto dei morti che per certi versi somiglia all’Ognissanti statunitense, ma immaginare un sincretismo tanto radicato nel giro di soli due anni (la guerra finisce nel ’45, se la Storia non è un’opinione) è una richiesta talmente forte in termini di sospensione dell’incredulità che poi, quando bisogna sospenderla davvero – il film è infatti un’incursione nel soprannaturale, al contrario dei precedenti che erano gialli “puri” – ci passa la voglia e, al massimo, scatta una sonora risata.
Niente di male, se non fosse che Branagh invece sembra prendersi piuttosto sul serio. Non si discute la sua bravura recitativa, né il suo innegabile fascino nel vestire i panni del protagonista, né tantomeno la sua abilità registica: gli scorci veneziani sono sempre suggestivi – anche se le malelingue, sempre quelle, diranno che lo sono a prescindere, anche quando li si inquadra con un cellulare di seconda mano – però appunto restano ornamentali e l’impressione è che la storia avrebbe potuto svolgersi veramente in qualsiasi altro luogo al mondo.
Che imbarazzo però dev’essere stato per gli editori del romanzo che, costretti per ragioni di mercato a rititolare il testo, hanno dovuto chiedere allo sceneggiatore Michael Green di spiegare in una prefazione come mai i lettori non avrebbero trovato nello svolgimento la città lagunare.

Assassinio a Venezia
Quella presentata nel film è un’Italia del dopoguerra fin troppo “americanizzata”.

La parola ai testimoni

“Lo confesso, ho commesso un delitto – spiega Green in apertura del romanzo – forse avevo delle valide ragioni. Ma comunque la si voglia vedere, c’è una vittima. E quella vittima assomiglia al libro che avete in mano”. Anche sul caso specifico, poi, ci si incarta parecchio. Senza spoilerare troppo, diciamo che ci si affida fin troppo a un espediente generico per motivare la propensione di Poirot per il “fuori dal normale” quando di solito dovrebbe essere un personaggio di stampo scientifico e raziocinante. Se c’è un complotto in ballo, il complottista non può affidarsi al caso perché il complotto riesca, e qui, putroppo, accade. Quindi cosa rimane?

Assassinio a Venezia
Nel cast ritroviamo anche Riccardo Scamarcio nei panni di Vitale Portfoglio (vi assicuriamo, si chiama proprio così).

Un ottimo cast

Il cast, senza dubbio. Sono tutti molto bravi e in parte, da Tina Fey nei panni dell’amica/rivale Ariadne Oliver (vero e proprio alter ego della Christie, e forse in questo c’è uno spunto metacinematografico e metaletterario interessante, dato che di fatto anche Branagh nel suo tradimento si pone “contro”), a Michelle Yeoh in quelli di una sedicente sensitiva, fino all’apparizione del nostrano Riccardo Scamarcio, ambigua guardia del corpo.
“Christie ha la classica capacità senza tempo di presentare le persone in situazioni – spesso pericolose o criminali – in cui riconosciamo l’umanità dei personaggi – commenta Branagh – Gli archetipi e le letture molto sottili del comportamento umano sono tali da innescare una reazione in noi… le sue percezioni sembrano universali e familiari”.
Il film punta tutto su questo, e se come Poirot ci si abbandona all’irrazionale, forse qualche brivido riesce pure a regalarlo, tra una voce di bambino dove non dovrebbe esserci, un’aggressione alle spalle e un certo senso del macabro che comunque non guasta. Quindi per stavolta passi, ma la prossima ci si attenga di più alle indicazioni, oppure, in alternativa, si scelga di raccontare una storia completamente nuova. Chissà che la Christie, dal mondo degli spiriti, non apprezzi.


Il tradimento della Christie – o l’omicidio, se vogliamo esagerare – poteva risultare una carta affascinante, ma è malgestito e pretestuoso. Restano l’incredibile carisma di Branagh sia come attore che come regista e un ottimo cast, ma bisogna prepararsi a sospendere l’incredulità oltre ogni limite umanamente concepibile.