Fallout Speciale Serie TV: non l’olocausto nucleare che ti aspetteresti

Fallout

Abbiamo appena partecipato all’anteprima dell’attesissima serie Fallout, produzione di Prime Video che attinge a piene mani dall’omonimo videogioco al fine di tessere una trama pregna di tinte post-apocalittiche. Abbiamo avuto il privilegio di assistere alla proiezione su grande schermo dei primi due episodi in lingua originale, al ché siamo corsi alla tastiera per fornirvi le nostre impressioni a caldo. La nostra tempestività è certamente alimentata dal fuoco della passione che nutriamo nei confronti di questo brand, ma anche dal fatto che l’intera serie, composta da otto episodi, sarà disponibile in streaming già a partire da oggi, giovedì 11 aprile (mentre già da un po’ sono disponibili le carte di Magic a tema: le conoscete?)Non c’era dunque molto tempo per fornirvi un’anteprima/recensione, soprattutto considerando che ci tenevamo ad avvisarvi che, in tutta probabilità, la serie potrebbe risultare parecchio differente da ciò che ci vi sareste aspettati. Per noi, perlomeno, è stato così.

Fallout

Il Fallout che esce dal bunker

Se non siete familiari con la densa narrazione della saga di Fallout, vi è sufficiente sapere che il suo intero world building è incentrato su di una reinterpretazione distopica degli Stati Uniti d’America. In questo universo alternativo, il conflitto della Guerra Fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica ha raggiunto una tensione tale da scatenare il lancio su vasta scala di testate nucleari, il quale ha comprensibilmente determinato l’annientamento della società così per com’era conosciuta. Il cittadino medio ha dovuto dire addio alle staccionate bianche e alle grigliate del sabato. Molti si sono inceneriti, alcuni sono mutati in mostri radioattivi, altri ancora sono riusciti a sopravvivere al costo di doversi imbarbarire. Le élite americane hanno però avuto la possibilità di accedere a rifugi sotterranei sperimentali noti come Vault, un lusso che, in certi casi, ha permesso a questi di prosperare all’interno delle viscere della terra. 

Seguendo la strada tracciata da Fallout 4, la serie di Prime Video si apre con una narrazione che trasporta lo spettatore nei momenti drammatici che hanno immediatamente preceduto la fine del mondo. Si tratta di un’introduzione potente, drammatica ed estremamente scenografica: un insieme di stimoli che ci ha portati per un attimo a sperare che l’intero episodio si concentrasse sullo scatenarsi dell’apocalisse. Tuttavia, come già anticipato nei trailer, tale speranza si è ovviamente rivelata vana: dopo pochi minuti dai titoli di testa, la regia compie infatti un salto temporale di oltre due secoli per presentare Lucy MacLean (interpretata da Ella Purnell), una giovane donna il cui universo esistenziale è confinato all’interno del profondamente meritocratico Vault numero 33. Alcuni eventi sconvolgono però profondamente la vita di MacLean, forzandola per la prima volta a esplorare il mondo esterno.

Una mutazione genetica

Nel corso degli anni, i vari capitoli della saga videoludica hanno frequentemente modificato i propri protagonisti e le proprie ambientazioni, limitando così i punti di convergenza tra gli episodi principalmente al solo immaginario generale e alla persistente presenza di un umorismo che si pone in bilico tra il macabro e l’assurdo. In effetti, i giochi della serie Fallout possono essere considerati essenzialmente come una pungente satira della società che viviamo, tuttavia la serie televisiva ha preferito prendere le distanze da questa fonte di ironia dolce-amara. Pur mantenendo un certo sense of humor, i toni adottati dal prodotto filmico sono decisamente più tenebrosi, macabri e splatter rispetto al materiale originale.

Per comprendere le motivazione di una simile divergenza non è necessario andare lontano, basta guardare l’identità dell’autore e regista: Jonathan Nolan. Jonathan è perlopiù famoso per essere il fratello meno celebre e talentuoso di Christopher Nolan, autore che ha segnato la storia dei blockbuster con la saga di Batman, Inception o il recentissimo Oppenheimer. Detto questo, bisogna ricordare che lo stesso Jonathan ha maturato una certa esperienza nel settore della sceneggiatura e della regia dedicandosi a serie televisive quali Person of Interest e Westworld. Ecco dunque che emerge il “peccato originale” che stravolge le tradizionali tematiche di Fallout per diluirle con una marcata dose di autoreferenzialità.

Una radioattività dal basso pericolo

Ecco dunque che, quasi a sorpresa, l’attore Michael Emerson finisce con l’interpretare una versione sci-fi di un personaggio di cui aveva già vestito i panni in Person of Interest, mentre il mondo in stile distopia anni ‘50 finisce molto velocemente per lasciare spazio a sparatorie che sembrano uscite direttamente da un western. L’esito finale è di intrattenimento, inutile negarlo, tuttavia non possiamo sostenere che, nel suo incipit, Nolan sia riuscito a valorizzare al meglio l’identità propria a Fallout. Ma neppure che abbia creato qualcosa di completamente nuovo o inedito.

Di positivo c’è il fatto che gli attori si dimostrano competenti. Tralasciando il sempre apprezzabile Emerson, vale la pena menzionare anche la presenza di un ottimo Aaron Moten, il quale interpreta un soldato – una recluta della Confraternita d’Acciaio la cui fibra morale è estremamente ambigua e imperscrutabile. La stessa Purnell si dimostra capace, tuttavia il copione non è (ancora) in grado di fornirle battute utili a meglio definirla: il suo personaggio è volutamente stucchevole, tuttavia ci sono i presupposti necessari perché Lucy MacLean prenda forma con il progredire della trama. C’è infine il “ghoul” interpretato da Walton Goggins, il quale ricorda fin troppo da vicino il “man in black” incarnato da Ed Harris in Westworld.

Fallout, la fine del mondo

È possibile che Fallout sia destinato a crollare su sé stesso? È un’ipotesi che appare estremamente improbabile. Almeno in questa sua prima stagione. Sebbene i due episodi da noi visti possano essere considerati derivativi, essi offrono un intrattenimento di buon livello, il quale è ulteriormente arricchito da un montaggio incalzante e memorabile che riesce a mantenere viva l’attenzione dello spettatore. La trama viene quindi portata avanti con forza attraverso una serie di indizi criptici, suscitando nel pubblico il desiderio insaziabile di approfondire ulteriormente la storia e i suoi misteri. Anche se potrebbe non essere facile nutrire simpatia per Lucy o per i suoi obiettivi personali, l’impulso di collegare gli indizi spingerà certamente il pubblico a immergersi completamente nell’universo di Fallout, consumando avidamente tutti e otto gli episodi.

Il nostro incontro con la serie non ci spinge però a credere che Fallout possa eguagliare la solidità di produzioni televisive di grande impatto come il The Last of Us della HBO. Tuttavia, ogni appassionato occasionale del franchise dovrebbe concedere almeno un’opportunità a Nolan e al suo team, in quanto questi potrebbero riuscire a sorprendere, se non per la narrazione, per l’alto potere scenografico della loro impostazione. Particolarmente rilevante è dunque il fattore “fanservice“. Il regista ha riposto particolare attenzione nel ricreare scene e meccaniche che i neofiti non coglieranno, ma che ammiccano silenziosamente ai gamer di vecchia data. Alcuni esempi? L’introduzione della protagonista viene sviluppata sotto forma di test attitudinale che mima da vicino la classica formula videoludica di quando si crea un nuovo personaggio, le sparatorie indulgono in rallenty esplosivi che richiamano alla memoria le dinamiche del “V.A.T.S.“, la colonna sonora riprende tutti i pezzi più amati di Diamond City Radio. Se trovate che queste chicche non siano sufficienti a compensare la parziale scomparsa del black humor tipico di Fallout, vi consigliamo di buttare un occhio al Fido di Andrew Currie, una horror-comedy che invece coglie con una certa puntualità il colorato cinismo solitamente associato al brand.

https://youtu.be/PdKS1pRjjac