Senua’s Saga Hellblade II Recensione: corpo, mente e cuore di tenebra

Il turbinio di voci incorporee che Senua porta dentro di sé esplode in un grido agghiacciante nell’istante in cui lo ravvisa, come schegge di vetro che sferzano la nuda roccia. C’è un cadavere dalla pelle lacera poco più avanti, sospeso tra i rami di una bizzarra struttura di legno grezzo, un monito inequivocabile per chiunque si azzardi a procedere oltre. Quando la donna si avvicina, le grida si riducono a un sussurro, poi diventano risa di scherno. Sa cos’è, l’ha già visto prima, e le Furie rimarcano con tono canzonatorio quanto le cicatrici che porta impresse nella sua anima siano destinate a non lasciarla mai. Un’ulteriore manciata di passi e qualcosa dentro di lei scatta: una corona di parti anatomiche smembrate erompe a mezz’aria e inizia lentamente a vorticare, un’abbacinante e riprovevole frattura della realtà. I sigilli, nascosti in un insediamento deserto e tinteggiato di scuro dal sangue rappreso e dalle viscere putrefatte, nel quale aleggia un rancido afrore di decomposizione che diviene quasi palpabile attraverso le spesse sacche di bruma, riescono alfine a dissipare l’incubo. Il medesimo schema di violenza si ripete nel villaggio successivo, e in quello dopo ancora, dove un ruscello d’acqua scorre dolcemente su un letto di rocce frastagliate, una breve tregua in una terra che sembra conoscere soltanto dolore e perdita. Il ponte traballante scricchiola verso un canyon illuminato dalle fiamme tremolanti delle braci. Un rito di sangue e fuoco ci attende. O forse, l’inferno stesso. Questo è Hellblade II, questa è la nostra ordalia.

Senua's Saga Hellblade II
L’espressività di Senua raggiunge livelli davvero incredibili

Senua’s Saga Hellblade II: vuoi la verità?

L’attuale generazione di console è stata piuttosto povera di momenti che abbiamo potuto definire davvero next-gen, ovvero quelle epifanie tecnologiche stupefacenti in cui si vede una produzione fare cose che erano inconcepibili sull’hardware precedente. Potremmo citare i caricamenti di Ratchet & Clank: Rift Apart o la fisica di Starfield, ma sono relativamente pochi i casi in cui abbiamo potuto vedere il futuro prendere forma davanti ai nostri occhi. Le ragioni sono molteplici, a partire dai problemi di approvvigionamento delle console e dai ritardi nello sviluppo dovuti alla pandemia che hanno portato a una fase intergenerazionale insolitamente lunga. Fino allo scorso anno, la maggior parte dei giochi veniva ancora pubblicata su PlayStation 4, Xbox One e sui loro successori. Inoltre, Unreal Engine 5, l’ultima iterazione dell’onnipresente motore grafico di Epic Games, è rimasto un po’ indietro rispetto alla nuova generazione di console e le produzioni su larga scala che beneficiano del suo contributo hanno tardato a comparire, con giusto un paio di eccezioni di medio-alto profilo come Lords of the Fallen, il remake di Brothers A Tale of Two Sons e Immortals of Aveum. Per questo motivo non mi aspettavo di trovarmi davanti agli occhi un momento next-gen quando ho messo per la prima volta le mani su Senua’s Saga Hellblade II. Ma così è stato, e posso tranquillamente affermare che, ad oggi, non esiste nulla di simile a questo titolo d’azione narrativo sorprendentemente realistico che sfrutta le potenzialità del motore grafico di Epic, le risorse di Microsoft, che possiede Ninja Theory dal 2018, e le convenzioni uniche di un piccolo team di tecnici e artisti per creare qualcosa di concreto e allo stesso tempo vividamente iperreale. Non sarà certo una sorpresa per chiunque abbia giocato a Hellblade Senua’s Sacrifice nel 2017, poiché entrambi i capitoli accostano una componente action viscerale e quasi mitologica ad un approccio realistico alla psicologia della loro eroina, Senua, una guerriera celtica dell’VIII secolo affetta da psicosi. Tutti e due sfoggiano uno stile visivo fotorealistico con una forte enfasi sulla performance capture, un’area in cui Ninja Theory si è specializzata da quando ha collaborato con Andy Serkis per Heavenly Sword nel 2007.

Le battaglie sono molto più serrate, impegnative e cruente

Da allora sono cambiate molte cose per la software house che, sebbene abbia mantenuto un organico di dimensioni tutto sommato modeste (100 dipendenti in totale, di cui 80 impegnati nella realizzazione di Hellblade II), si è trasferita in un complesso di edifici totalmente rinnovati a Cambridge con spazi lavorativi capienti, un grande studio dedicato alla motion capture e, su insistenza di alcuni regolamenti urbanistici locali estremamente britannici, persino un pub chiamato The Bird or Worm?, riferimento ad una scena del suddetto Heavenly Sword nella quale Kai, sorella adottiva della protagonista Nariko, tenta di rifilarle due succulente “pietanze”. Non c’è più alcuna traccia o menzione dell’esuberante co-fondatore di Ninja Theory, nonché sceneggiatore e director del primo Hellblade, Tameem Antoniades, che non fa più parte dello studio. Antoniades è stato coinvolto nello sviluppo del sequel durante le fasi iniziali per facilitare la transizione, lasciando infine la società in buoni rapporti, e il gioco in mano a un terzetto di leader creativi: il direttore artistico ambientale Dan Attwell, il direttore degli effetti visivi Mark Slater-Tunstill e il direttore audio David Garcia. Chiunque, me compreso, si aspetterebbe una certa dedizione all’artigianalità in ogni aspetto di qualsiasi gioco guidato da tre figure del loro calibro, ma non è stato comunque sufficiente a prepararmi allo straordinario investimento di energie che Ninja Theory ha impiegato per perseguire il senso di realismo nella sua opera. In Hellblade II, Senua si reca in Islanda per dare la caccia agli schiavisti norreni che stanno decimando la sua comunità nelle isole britanniche settentrionali. Il percorso che intraprende durante la sua avventura esiste realmente e le location sono state catturate utilizzando un mix di immagini satellitari, riprese con aeromobili a pilotaggio remoto (APR), generazione procedurale e fotogrammetria.

Il team ha trascorso settimane sul posto in Islanda, studiando il paesaggio, fotografando le rocce e pilotando i droni. Ha anche studiato a fondo le tecniche di costruzione dell’epoca ed eretto virtualmente le porte con assi di legno scannerizzate in 3D, anziché modellarle. Sono arrivati persino a realizzare sculture personalizzate in legno grezzo per poi scansionarle, un lavoro che trascende l’abnegazione e sconfina nell’interesse smodato e ossessivo. Il responsabile dei personaggi, Dan Crossland, ha richiesto la consulenza di una costumista londinese per realizzare gli abiti da far indossare agli attori con tecniche adeguate per l’epoca, digitalizzati in un secondo momento dallo studio. Sembra abbia anche scolpito una serie di manichini decorati con stucco, piume e scampoli di tessuto prelevati da vestiti diversi e ricuciti assieme, spettrali prototipi di nemici effigiati a mano tanto per sottolineare la cura maniacale riversata in ogni dettaglio.

Senua's Saga Hellblade II
Gli insediamenti islandesi sono stati martoriati da crudeltà indicibili

Non smetterò di combattere per loro

Parlando degli avversari di Senua, le sequenze di combattimento del gioco non sono state animate in modo tradizionale, ma catturate e registrate da stuntman professionisti che le hanno eseguite, ripresi da vicino dal direttore delle animazioni Guy Midgley con telefoni e dotazioni leggere che hanno facilitato i movimenti sul set. I risultati pratici di questo sistema di combattimento completamente mocappato sono piuttosto atipici ma funzionali, dotati di un ritmo flemmatico e di una spiccata brutalità, nonché provvisti di una serie di accorgimenti aggiuntivi, magari meno empirici ma decisamente più “giocosi”, che servono ad aumentare il coinvolgimento di chi stringe il controller tra le mani. Al pari dell’esplorazione, che coinvolge ancora una volta scenari atmosferici ed estenuanti come pure enigmi ambientali che richiedono alla protagonista di ricercare dei simboli tra i fondali, uno dei tratti distintivi della specifica alienazione di Senua che le richiede di trovare un nesso in ogni cosa prima di poter andare (materialmente) avanti, gli scontri sono aggravati da una costante sensazione di pericolo quando fronteggiamo avversari massicci e aggressivi, le cui fattezze incombono su di noi grazie alle angolazioni insolitamente ravvicinate della telecamera. Certo, non ritroveremo qui l’esagerata frenesia delle battaglie di DmC: Devil May Cry, ma l’intento non era questo e l’efficacia della soluzione prescelta è quanto mai azzeccata se rapportata al contesto.

Come nel primo gioco, la sceneggiatrice Lara Derham ha lavorato con il professore di psicologia Paul Fletcher e con pazienti volontari che hanno sperimentato la psicosi per rappresentare gli effetti di tale condizione: le Furie, ovvero le voci nella testa di Senua che commentano costantemente l’azione e il suo stato d’animo, sono frutto dell’interpretazione di attori e attrici che, in un piccolo studio insonorizzato all’interno del quartier generale di Ninja Theory, si sono aggirati intorno a un microfono binaurale, essenzialmente una testa di manichino con microfoni al posto delle orecchie, sibilando e mormorando le loro battute come se si stessero rivolgendo davvero a Senua. Gli intensi paesaggi sonori di Garcia, ringhiosi e cantilenanti, sono il principale punto di accesso dei giocatori allo stato d’animo della protagonista, e risultano tanto travolgenti oggi quanto lo erano quasi dieci anni fa.

Questa volta, il viaggio di Senua non è completamente solitario

La volontà espressa da Ninja Theory di radicare gli sforzi digitali profusi nella realtà materiale potrebbe sembrare assurda, se non addirittura contraddittoria, ma la dimostrazione pratica degli intenti dichiarati risiede nel gioco stesso, e nella fantastica resa visiva di ogni suo elemento. Sia che si tratti della trasposizione delle pendici nere e fumanti di un vulcano islandese o degli occhi pallidi e tormentati dell’interprete di Senua, Melina Juergens, Hellblade II possiede un’immediatezza tangibile che sembra operare a un livello quasi inconscio. Gli artisti di Ninja Theory cercano una connessione emotiva con il giocatore che, stando alla loro filosofia, può prendere forma solo se quest’ultimo ritiene che ciò che scorre davanti al suo sguardo sia reale. La mente, com’è naturale che sia, idealizza corpi e paesaggi, ne scolpisce una versione sublimata che tuttavia non corrisponde alla realtà, dove l’entropia aggiunge o confisca ulteriori dettagli. Se si scolpiscono a mente gli ambienti, i personaggi o qualsiasi altra cosa, perdere parte di quella naturalezza, di quel caos caratteristico, è inevitabile. Ecco il motivo per cui il team di sviluppo ha visitato dal vivo i luoghi rappresentati nel gioco, per coglierne l’essenza al di là di ogni possibile reinterpretazione sugellata nei ricordi, e in tal senso il supporto della versione più recente di Unreal Engine ha reso fattibile questo tipo di approccio realistico, sia per il livello di fedeltà disponibile nel sistema di geometria Nanite del motore, sia perché il tempo che intercorre tra la scansione dell’oggetto e la sua integrazione virtuale è stato drasticamente ridotto, consentendo dunque di dedicarlo alla rifinitura di altri particolari come la composizione delle scene o la moderna volumetria dell’illuminazione che oggi è possibile applicare. In generale, la sensazione del team è che Unreal Engine 5 abbia scardinato molte barriere effettive e concettuali per i developer, e che i giocatori stiano iniziando solo adesso a percepirne i risultati.

La distorsione della realtà e la ricerca dei sigilli resta un tratto caratteristico del gioco

L’ombra incomberà sempre su di me

Del resto, è sufficiente rivolgere uno sguardo fugace su Hellblade II per capire che potrebbe essere l’araldo di un’autentica rivoluzione videoludica, non solo in termini di motore grafico ma anche e soprattutto grazie a molteplici fattori di design che interagiscono in maniera coesa e rendono il titolo un’affascinante vetrina tecnologica. In primis, la progettazione complessiva è intenzionalmente focalizzata: non siamo alle prese con una stravagante simulazione open world dove ogni azione è permessa in nome della libertà, ma con un gioco d’azione lineare e incentrato sulla componente narrativa. In quanto studio first-party di Xbox, Ninja Theory ha avuto sia il privilegio di potersi concentrare su un quantitativo minore di piattaforme che il tempo per sperimentare in lungo e in largo. Il gigante tecnologico di Redmond non ha acquisito solo uno studio talentuoso, ma anche un’unità di ricerca e sviluppo che esplora le frontiere tecniche e artistiche di uno specifico processo per la creazione di prodotti per l’intrattenimento contemporanei. Il risultato è un’opera confezionata con un eccezionale livello di attenzione. Hellblade II non piacerà necessariamente a tutti, con il suo ritmo ponderato, l’ampia tolleranza per l’esecuzione dei comandi ed una presentazione cinematografica altamente scriptata, quasi fosse una declinazione moderna dei meravigliosi laser game il cui avvento ha segnato l’epoca d’oro delle sale giochi.

Ma la storia di Senua e, soprattutto, il modo in cui viene raccontata danno vita a un’avventura straordinariamente sinestesica, che sfuma senza soluzione di continuità il confine tra immaginario e reale. Per un gioco che mette in primo piano una prospettiva così personale, l’idea di catturare la realtà potrebbe sembrare strana, persino paradossale. Eppure offre una sorta di linea di demarcazione a partire dalla quale gli autori hanno aggiunto strati impressionistici di percezione mentale: la luna brilla un po’ più intensamente; i colori del paesaggio primordiale dell’Islanda risaltano con maggiore vivacità; particelle e detriti si librano nell’aria in maniera drammatica. È un mondo di vivida iperrealtà, come accennavo all’inizio, filtrato attraverso i sensi di un personaggio, e di conseguenza i nostri, le cui facoltà cognitive sembrano costantemente in sovraccarico. Spesso infatti le persone che soffrono di psicosi si sentono incredibilmente vicine agli eventi naturali, e così anche il tempo viene modificato ed un inquietante crepuscolo si trasforma in una notte ammaliante con un battito di ciglia. L’elusiva presa sulla realtà da parte della protagonista e le splendide immagini che superano i confini della cosiddetta “valle perturbante”, frutto della potenza di elaborazione e dell’abilità artistica di Ninja Theory, spingono il secondo capitolo di Hellblade al massimo livello di fotorealismo consentito dal mezzo interattivo. Tuttavia, questa esperienza simultaneamente viscerale e illusoria viene sostenuta dalla stessa Senua: con il suo subconscio proiettato a video in modo terrificante e magnetico, era fondamentale che la protagonista rimanesse una persona credibile. L’obiettivo era trasmettere al giocatore sia la distanza che lo separa da Senua, una donna vissuta svariati secoli addietro con un sistema di credenze molto lontano suo, sia una prossimità familiare, intima e spesso scomoda, e così è stato.


Da un lato, la nuova epopea che viviamo assieme a Senua in Hellblade II è ascrivibile al perfetto sequel da manuale: più grande, più intenso, più curato rispetto al predecessore, con una narrazione che non indugia sul superfluo ma, anzi, si impegna a giocare tutte le sue carte fin da subito per riempire l’intera durata, comunque modesta, dell’avventura. Dall’altro, per forza di cose, non tradisce la sua essenza originaria e si propone come un’incredibile racconto in terza persona che fa leva sulla potenza audiovisiva della storia per catturare l’attenzione del giocatore, piuttosto che sulle dinamiche interattive. Pertanto, se il primo episodio non vi ha suscitato alcuna emozione, dubito che in questo troverete qualcosa capace di farvi cambiare idea. Ma la saga della tormentata guerriera pitta resta un unicum nel panorama ludico moderno, e come tale è meritevole di essere vissuta fino in fondo.


Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.