Destò scalpore, lo scorso anno, l’idea di John Riccitiello (allora CEO), di far pagare ai dev che utilizzavano Unity come engine, una quota sulla base del numero di installazioni. La ‘runtime fee’ sarebbe scattata una volta superata una certa quota di installazioni.
Nei nuovi termini di servizio, Riccitiello non faceva riferimento a differenziazioni basate sul prezzo a listino del gioco. In altri termini, avrebbe dovuto cominciare a pagare anche chi proponeva un free-to-play . Le uniche differenze erano basate sul tipo di engine utilizzato: se il gioco era stato realizzato utilizzando il modello ‘free’, allora il dev avrebbe cominciato a pagare dopo le 200.000 installazioni. Con i giochi realizzati utilizzando i modelli Enterprise e Pro, quel threshold saliva a 1 milione di installazioni.
L’iniziativa creò una vera e propria sollevazione popolare. In tantissimi cominciarono a proporre i propri giochi a prezzi stracciati su Steam come forma di protesta. Massive Monster, lo studio dietro Cult of the Lamb (allora ancora giocatissimo), decise di rimuovere il proprio gioco da tutti gli store. Seguirono diverse iniziative simili. Riccitiello alla fine si dimise poche settimane dopo portandosi dietro, tra l’altro, circa 1800 dipendenti vittime di una ristrutturazione aziendale da lui desiderata.
A distanza di un anno da quella vicenda Matt Bromberg, subentrato a Riccitiello, ha dato l’annuncio che l’idea delle runtime fee sia stata definitivamente accantonata. Chi vorrà potrà utilizzare Unity come ha sempre fatto e pagare per l’utilizzo su base annuale. Si torna poi alla precedente possibilità: ovvero restare con la propria versione dell’engine senza essere interessati da eventuali cambi dei ToS. Al momento, spiega Bromberg, il dietrofront riguarda solo i game-dev.