Se un giorno qualcuno mi avesse detto che mi sarei trovato a scrivere della serie Like a Dragon e di pirati nella stessa soluzione narrativa, beh, mi sarei fatto una grassissima risata. Ciononostante, eccomi qui, trenta ore (circa) dopo aver guidato il capitano Majima per i mari, alla ricerca di tesori, temibili vascelli pirata da sconfiggere e, soprattutto, tanti tanti fuorilegge, tra vecchie e nuove conoscenze, da tirar giù a suon di pugni. Like a Dragon Pirate Yakuza in Hawaii è un titolo che, incredibilmente, unisce questi due mondi apparentemente così lontani e, alla fine, così vicini, in un mare di emozioni, momenti esilaranti e volutamente esagerati che compongono un capitolo fondamentalmente di forte transizione, ma che sa anche premiare la pazienza e la virtù dei giocatori più affezionati (i titoli di coda sapranno dirvi di più).
È doveroso rimarcare quanto sia fortemente “fuori dagli schemi” questa storia, ma allo stesso tempo capace di attaccarsi al passato recente delle serie con grande nonchalance. Quello che mi sono ritrovato di fronte è un prodotto mancante sotto certi punti di vista, ma è anche allo stesso tempo ricco come non mai di voglia di osare, sperimentare e di trovare nuovi orizzonti. Il risultato finale è quello di un’opera spaccata in due: un perfetto more of the same da un lato e una piacevole piccola rivoluzione dall’altra, con un indice qualitativo che riesce a pendere comunque dal lato forte della barricata. Durante la mia avventura, al netto di una storia palesemente esagerata e fuori da ogni schema logico, i momenti importanti, delicati, non sono di certo mancati, preziosamente conditi da un sistema ludico fortemente tradizionale, spalleggiato da un nuovo blocco di contenuti freschi e innovativi.

Like a Dragon Yakuza: come un drago, o come un mostro marino
Uno dei punti di domanda più grossi relativi alla nuova produzione, diciamoci la verità, è quello sulla valenza effettiva della trama. Il gioco, infatti, sin dalle prime battute si è dimostrato fuori di testa, volutamente esagerato e, soprattutto, potenzialmente molto distaccato da quello che è il filone narrativo principale della storia. Senza entrare troppo nello specifico, anche e soprattutto per non rovinarvi il gusto della scoperta, posso dirvi che la verità è un po’ nel mezzo. La storia, sì, si mantiene ai limiti della credibilità un po’ per tutta la sua durata, e, sì, è anche complessivamente bella distante da quelle che sono le tematiche principali della serie. Tuttavia, i richiami al passato del brand sono tanti e tanti personaggi sono comunque condivisi, anche in maniera piuttosto importante, con collegamenti principalmente pensati per collegare la storia al blocco tematico più recente, con protagonista Ichiban Kasuga, nuovo volto del brand Like a Dragon.
Senza scendere troppo nei dettagli, comunque, il team di sviluppo ha confezionato una buona storia, capace di intrattenere e appassionare quanto basta, grazie più al valore del cast piuttosto che al racconto in sé che, per quanto funzioni, non è comunque esente da problematiche varie. Nel complesso, però, anche considerando la durata piuttosto contenuta della storia principale, il lavoro svolto dai ragazzi del RGG Studio è discretamente interessante, anche perché i titoli di coda riservano qualche sorpresa extra a tutti gli appassionati di vecchia data. Per il resto, il gioco rispecchia quasi in toto il suo essere uno spin-off, ma lo fa in maniera comunque intelligente. Goro Majima guida un plotone di personaggi interessanti e con un background valido, che prendono man mano forma nel quadro narrativo di un percorso si lineare ma comunque non privo di momenti ricchi di pathos, tipici della serie.

Un mondo da conquistare!
Come ogni buon titolo della serie, Like a Dragon Pirate Yakuza in Hawaii offre al giocatore un numero smodato di cose da fare. Se la storia principale, composta da cinque capitoli, si può completare comodamente entro le 20 ore, è tutto il resto a rappresentare un piccolo – grande parco giochi, perfettamente in linea con il percorso evolutivo del marchio, ormai, ex Yakuza. Come sempre, dunque, il giocatore può prendere parte a tante attività accessorie, con il grande vantaggio che, stavolta, le missioni e le attività accessorie sono divise in due grossi tronconi (ma na riparliamo tra un po’). Durante il viaggio, Majima può prendere parte a tante quest secondarie, a dire il vero, però, spesso e volentieri molto tradizionali e sporcate (in alcuni casi) dallo spettro delle fetch quest. Questo, però, non vuol dire che le missioni secondarie vanno “buttate” ma è importante sottolineare che non tutto può avere lo stesso sapore.
Oltre a queste, comunque, il mondo di gioco è ricchissimo di attività accessorie, fondamentali per raccogliere soldi, materiali e nuovi alleati. Il gioco, però, sotto questo aspetto, pecca un po’ di pigrizia, perché la maggior parte delle cose da fare sono riprese a piè pari dagli ultimi capitoli con protagonista Ichiban Kasuga, salvo qualche rarissima eccezione. A dirla tutta, comunque, non mi sento nemmeno di ammonire più di tanto il team di sviluppo sotto questo profilo, anche perché di grosse novità sul piano ludico ce ne sono, e affondano (è il caso di dirlo) in mari diversi e ben più estesi, al netto di quello che si potrebbe credere.

Cane Pazzo o Re dei pirati?
Uno degli aspetti che ho apprezzato maggiormente di questo capitolo è il sistema di combattimento. Rimarcando la linea già tracciata con The Man Who Eresad His Name, Like a Dragon Yakuza Pirate in Hawaii offre al protagonisti due “soli” stili di lotta tra cui scegliere, ma che però sono in grado di dare grosse soddisfazioni al giocatore. A monte, però, è doveroso sottolineare che entrambi sono pensati, riuscendoci appieno, per sposarsi alla perfezione con un sistema di combattimento frenetico e veloce, cucito perfettamente addosso al protagonista, Goro Majima. A differenza di Kiryu e Kasuga, infatti, l’ex leader del clan Majima, è nettamente più veloce e padroneggia uno stile di combattimento molto più frenetico e dinamico, in cui a spiccare sono i salti, il vero valore aggiunto di un combat system divertente, appagante e adrenalinico come mai prima d’ora. Il tutto si basa su un sistema già visto abbondantemente in passato, ma è proprio la velocità e l’abilità nello schizzare da una parte all’altra dell’arena di battaglia di Majima a dare un tocco profondamente diverso all’avventura.
La progressione di entrambi gli stili, Re dei pirati e Cane pazzo è molto lineare, ma si arricchisce di nuove aggiunte molto interessanti. Punti abilità e soldi sono necessari per poter padroneggiare sempre nuove “heat action”, contromosse e attacchi vari, che arricchiscono il bagaglio tecnico di un protagonista letale e sfuggente come non mai. Cane pazzo è pensato per la tradizione: Majima mette in mostra tutta la sua abilità nello sferrare pugni e calci a velocità supersonica, sfruttando anche il fedele coltello. Re dei pirati, invece, è la novità: il “capitano” Majima, da buon pirata, può utilizzare sciabole e pistole, confezionando così gameplay molto più variegato, anche se sempre e comunque legato alla velocità e alla rapidità di esecuzione. Il risultato finale è soddisfacente e appagante, anche perché il tutto viene completato con la solita – gigantesca – mole di attività accessorie, pensate per rendere l’esperienza di gioco più completa. Da questo punto di vista, a essere onesti, lo sforzo compiuto dagli autori è molto più limitato, con le attività disponibili che sono riportate quasi completamente a piè pari dalle avventure precedenti della serie, a eccezion fatta di qualche piccola aggiunta più originale ma comunque di poco conto.

Seconda stella a destra, questo è il cammino
L’aspetto che mi ha divertito di più di tutta la produzione è quello delle battaglie navali. L’aggiunta più impattante in termini di gameplay di tutta l’offerta ludica del nuovo capitolo della serie è anche quella in grado di donare il divertimento maggiore, con una formula di gioco tanto semplice ma allo stesso tempo stratificata e complessa. In primis, come ogni nave che si rispetti, bisogna lavorare sull’aspetto umano: la ciurma. Salvo quei personaggi che si aggiungeranno ai membri dell’equipaggio in modo automatico, Majima può reclutare quasi liberamente dozzine e dozzine di pirati, navigati o meno, creando così, nel tempo, una ciurma sempre più competitiva. Ogni pirata, poi, possiede delle abilità uniche, divise tra primarie e secondarie, che rendono la scelta degli ufficiali mai banale. La Goromaru, infatti, può essere personalizzata quasi totalmente, anche proprio sul piano della ciurma, con la possibilità anche di personalizzare e modellare le squadre d’assalto, utilissime per gli scontri “a terra”.
Dopo gli scontri in mare, proprio come accadeva con Black Flag (a Skull and Bones non piace questo elemento), la ciurma si deve preparare ad affrontare i membri dell’equipaggio, per completare la conquista del veliero nemico. Cio, chiaramente, dona punti esperienza per tutti i membri, soldi e materiali, necessari per potenziare la nave. Il veliero, infatti, è migliorabile sotto tanti aspetti: dai cannoni alla quantità di oggetti riparazione, dal numero di membri equipaggiatili fino alla quantità di “salute”, tutto è gestibile liberamente, attraverso un sistema di progressione semplice, ma comunque efficace e appagante. Per la nave, poi, il team di sviluppo ha ritagliato uno spazio importante, più di quanto si potrebbe immaginare. Il giocatore, infatti, può esplorare quasi liberamente le zone alla ricerca di tesori e materiali da raccogliere, così come può prendere parte a un torneo a livelli, una sorta di modalità “torre”, in cui poter affrontare navi nemiche sempre più complesse da sconfiggere e ben attrezzate. Quello che risulta più grezzo, in tutto questo ben di dio, sono i comandi. La nave si muove in maniera un po’ goffa e non è sempre facile riuscire a seguire per bene gli avversari, specialmente quando sono più numerosi. Niente di clamoroso, certo, ma è comunque doveroso renderlo noto.

Il morso del Drago non fa più così male?
Dal punto di vista tecnico e artistico, Like a Dragon Pirata Yakuza in Hawaii si mostra un titolo, ancora una volta, spaccato esattamente a metà. Se da un lato sul piano artistico, così un po’ come per il gioco in generale, si evidenzia la voglia di osare, di uscire un po’ fuori dagli schemi con trovate anche molto interessanti, dall’altro sono evidenti i limiti di un motore grafico ormai, per certi versi, un po’ datato. L’avventura offre scorci anche memorabili, con alcune città, in particolare, che rappresentano il fiore all’occhiello della produzione, allo stesso tempo, però, imbrigliate in un quadro audiovisivo ormai già abbandonatamente visto e rivisto, e che non riesce quasi più a sorprendere.
Sul piano delle prestazioni, comunque, il gioco si difende molto bene e si comporta in maniera stabile anche nelle situazioni più concitate, sia in “strada” sia in mare, e anche in tempi di caricamento sono molto validi. Buono anche il sonoro. Come sempre, il lavoro svolto dal cast è magistrale, specialmente per gli attori giapponesi, mentre ho trovato il risultato di quello inglese un po’ più sottotono e meno ispirato, un po’ come già è accaduto anche con i capitoli precedenti della serie.
Like a Dragon Yakuza Pirate in Hawaii è un buonissimo capitolo spin-off, ma è esattamente questo: uno spin-off! La storia è volutamente esagerata, e talvolta poco coerente, ma funziona bene e riesce ad appassionare quanto basta. Il grande merito è comunque quello di aver confezionato un’esperienza ludica originale, specialmente per quanto riguarda la sfera delle battaglie navali, che ho trovato veramente interessantissima. E poi, ammettiamolo, chi non vorrebbe andare in giro con Goro Majima vestito da pirata?
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