Giunto al suo 36° film, lo “squadrone” Marvel presenta – per la regia di Jake Schreier e ora nei cinema con distribuzione Disney – Thunderbolts*, il titolo si fregia anche di un misterioso e sibillino asterisco che rimanda a una rivelazione poi dischiusa in corso d’opera e che qui non sveleremo per non rovinare la sorpresa. Si tratta di un film classico eppure atipico che riunisce una squadra di improbabili e disfunzionali “ultimi” in una moderna congrega di nuovi eroi, riunti per una missione che va ben oltre la classica sfida con il nemico – o nemici – di turno, e che si cala invece in un’atmosfera densa di malinconia tutta umana, alimentata nel confronto con il proprio malessere interiore e i tanti demoni (del passato, ma non solo) che ciascuno di noi ha, e cerca costantemente di tenere a bada. Capitanati dall’ottima Florence Pugh nei panni della “nuova Vedova nera” Yelena Belova, i Thunderbolts del titolo (ovvero il sostituto fallito di Capitan America, U.S.Agent; Ghost la criminale, già apparsa in Ant-Man and the Wasp; Red Guardian, supereroe sovietico e padre putativo di Yelena; e infine Bucky Barnes, che risponde al nome di Winter Soldier), dovranno infatti vedersela anche con Bob- Sentry, ovvero una rivisitazione super-potente dell’omonimo personaggio apparso per la prima volta nei fumetti nel 2000, e che racchiude in sé una super potenza divina, ma anche un malessere incontrollabile che inghiotte e oscura tutto, ovvero Void. Due facce della stessa medaglia, dunque, che confluiscono in un’entità controversa, essenza stessa e mix puro di yin e yang, difficile e insidiosa da affrontare proprio per la sua capacità di far riemergere il lato oscuro di ognuno. Eppure, disfunzionali ma non sempre, inadeguati ma non troppo, questi Thunderbolts sono in un certo senso anche una parabola di riscatto che affida agli ultimi il ruolo dei protagonisti e regala loro la grande chance di dimostrare, in extremis, il proprio valore.

Una trappola mortale per i Thunderbolts*
La nuova Vedova nera Yelena Belova vive un momento di profonda crisi che la porta a eseguire ogni nuova missione con apatia, sempre più malessere e meno slancio. Decisa a condurre un ultimo compito prima di ritirarsi a una vita e dimensione esistenziale più tranquille, Yelena si ritroverà in un caveau segreto in compagnia di altri tre agenti: U.S.Agent, Ghost e Taskmaster. Tutti assoldati in segreto dalla machiavellica Valentina Allegra De Fontaine detta “Val”, direttrice della CIA indagata per loschi traffici e attività del passato, e invischiata in una misteriosa sperimentazione volta a creare una specie di super-uomo, i tre scopriranno di essere stati attirati in una trappola mortale, e faranno in quella circostanza anche la conoscenza di Bob, all’apparenza un innocuo civile, che poi rivelerà di essere ben altro. Riusciranno a sopravvivere e far fronte comune dinanzi a una minaccia che appare ben più grande del solito, e che pesca nel passato più oscuro e tenebroso delle loro vite?

Le ombre dell’eroe
In un film di due ore e dieci che diventano due ore e trenta con le due scene finali, di cui una piazzata ad hoc a fine credits per deliziare i fan più incalliti, Thunderbolts* di Jake Schreier mescola azione, avventura e fantasy in un cinecomic che appare sin dalla prima scena meno “classico” del solito, e che si spinge a confrontarsi (e confrontarci) con tematiche di umana fragilità come la depressione, la dipendenza e il senso di svilimento costruito lungo il bordo vertiginoso di esistenze vissute sempre come volubili e inadeguate. E, infatti, al netto dell’atmosfera sempre molto muscolare ed eroica (Florence Pugh domina la scena e regala un’ottima performance anche dal punto di vista visivo) e una parabola narrativa che segue, più o meno, sempre gli stessi stilemi cari al genere e al suo pubblico di riferimento, Thunderbolts offre anche – a sorpresa – un paio di spunti diversi, e alternativi, in grado di aprire il film a un pubblico diverso da quello degli “aficionados”.
Jake Schreier (Robot & Frank 2012, Lo Scontro 2023, e Città di carta 2015) si gioca bene la carta dell’ironia a tratti grottesca incarnata in particolar modo dal personaggio di Red Guardian (un gigionesco e divertente David Harbour), omone eccentrico e quasi sempre fuori luogo che donerà un carattere decisamente “alternativo” al gruppo di pseudo-eroi. Eppure, a controbilanciare l’essenza più “cine-comic” del film, subentra poi il lato prettamente riflessivo e decisamente oscuro in cui Thunderbolts* parla e si fa portavoce della fragilità che si oppone alla forza e dei punti deboli spesso legati a passati dolorosi così come a traumi mai del tutto elaborati. Una chiave del film che è molto presente e ottimamente esacerbata nel confronto tra Yelena e Bob, nel loro raggiungersi e comprendersi in una dimensione ultra-terrena che ha a che fare con la solidarietà accordata istintivamente a chi percepiamo simile a noi, nel dolore e nella sofferenza. E in questo fil rouge di malessere e inadeguatezza Thunderbolts* infine accoglie un po’ tutti i suoi protagonisti per trascinarli lungo il loro mondo irrisolto e farli poi riemergere, forse più forti o solo più consapevoli, in una sorta di eroi della rivalsa, vincenti nella resistenza, proprio come Bob, protagonista e anima di questo film ambivalente, leggero eppure in grado di acquisire una profondità e uno spessore narrativi non usuali per questo genere cinematografico.
Per il 36° film di casa Marvel, il regista Jake Schreier mette insieme una squadra di eroi/antieroi, invincibili e allo stesso tempo profondamente fragili che fanno di Thunderbolts* un film classico eppure sostanzialmente diverso nell’anima, nella sua volontà e capacità di scavare nelle complesse dinamiche umane della depressione e del senso di inadeguatezza spesso legati a passati difficili e di difficile elaborazione. Tante sorprese e novità in un film di eroi dal tratto molto umano, che riporta in auge il senso di fallibilità rendendolo ben più eroico e vincente di come siamo soliti (ri)conoscerlo. In breve, film ironico ma anche toccante che pesca a piene mani nell’universo Marvel cercando nel contempo un’umanizzazione che regala all’opera (specie nella seconda parte) una profondità nuova, e diversa, e che fa presagire una dimensione più umana anche per i prossimi film in programma. Da non perdere le due chicche/anticipazioni a fine film e poi in coda a tutti i credits.
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