Nata nel 2002 a San Sebastián de los Reyes in Spagna, la storia di MercurySteam come sviluppatore di videogiochi è ancora quella di un’azienda relativamente giovane, ma in questi 23 anni di attività hanno permesso a questo team di togliersi qualche piccola soddisfazione non da poco. Dal lavorare con l’autore e game designer American McGee, fino a lavorare con grandi aziende del settore come Konami e Nintendo, riuscendo con quest’ultima a revitalizzare la serie 2d di Metroid in un periodo in cui l’attesa per Prime 4 assumeva i connotati della più crudele delle torture. Eppure, in tutti questi anni di progetti sviluppati in collaborazione, nessuno si è mai posto questa domanda: come se la caverebbero con lo sviluppo di una propria idea autoriale? Ebbene, con l’analisi di Blades of Fire oggi avremo finalmente la risposta, snocciolando approfonditamente questo nuovo e atipico action adventure basato sul folklore europeo ma soprattutto dotato di un combat system dalle potenzialità interessanti? Ma basteranno per superare “la prova del fuoco”? Scopriamolo!

Per mano dell’acciaio
Tanto tempo fa nel mondo di Blades of Fire esisteva l’acciaio e da esso gli esseri umani utilizzavano questo materiale per creare armi, spade, martelli e asce utilizzati come strumenti di guerra e rafforzati dalle prodezze dei Forgiatori, esseri titanici che hanno impartito alla razza umana i segreti dietro l’arte della forgiatura. Un dominio durato millenni fino a quando la perfida Regina Nerea lanciò sulla landa un potente sortilegio che trasformò ogni oggetto creato dall’acciaio in legno, risparmiando solo i suoi sottoposti che con tale vantaggio hanno sovvertito lo status quo, iniziando a mettere a soqquadro l’intero regno. Questo è a grandi linee l’incipit del gioco, prima di passare al controllo da parte del giocatore di Aran de Lira, un fabbro di apparenti umili origini e che attraverso un incontro fortuito entra in possesso di una delle 7 Incudini dei Forgiatori, un artefatto antico in grado di tramutare il suo corpo in Carbone e Fuoco, donandogli la facoltà di forgiare e utilizzare armi create dall’acciaio. Un dono ottenuto dagli dei e necessario per inseguire il suo obiettivo: entrare nella fortezza della Regina Nerea e ucciderla.
Cercando di non fare spoiler, da un punto di vista narrativo Blades of Fire imposta la sua storia in modo particolare cercando di portare l’interesse del giocatore a mille fin dai primi minuti attraverso uno stile di storytelling non lineare. Il problema è che all’interno della sua struttura manca quell’elemento in grado di supportare il tutto durante i lunghi silenzi tra l’esplorazione della grande mappa di gioco e il prossimo evento significativo. Sono sì presenti dei codex e degli appunti sbloccabili attraverso il gameplay, sia attraverso appunto l’esplorazione di un determinato luogo assieme ad Adso – la giovane “spalla” di Aran dalle abilità magiche – sia uccidendo più e più volte ogni singolo nemico che ci parerà la strada e il tutto è anche presentato bene con illustrazioni rifinite e con un effetto in divenire che stuzzica la curiosità per il suo completamento. In tutto questo vi è però una grave mancanza di momenti di approfondimento della trama, in grado di dare quella tridimensionalità ai personaggi che avrebbe sopperito a una ridondanza di dialoghi secondari fin troppo percepibile, al punto da renderli fastidiosi. Un peccato per quello che – nonostante i buoni propositi – è a conti fatti l’elemento più debole del gioco.

Blades of Fire: Blazing Steel Action
Una volta entrati nel vivo del gameplay di Blades of Fire, il gioco non si fa troppi problemi nell’introdurre il suo peculiare combat system basato su un rapporto sasso-carta-forbice rappresentato dalle proprietà distruttive delle armi. A differenza dei classici Action Hack ‘n Slash, il sistema di controllo che gestisce le movenze di Aran de Lira gli permette di effettuare fendenti verso le quattro direzioni orizzontali e verticali, con effetti che varieranno a seconda del tasto premuto, dalle proprietà offensive delle armi e dall’equipaggiamento nemico. Alcuni soldati delle truppe di Nerea sono più deboli ai colpi di una spada tradizionale mentre altri hanno a disposizione armature più resistenti alle armi da taglio e potranno essere sconfitti tramite una bella “martellata nel muso”. Ma non solo: kukri, lance, alabarde, flamberghe e chi più ne ha più ne metta, Blades of Fire abbraccia lo spirito dell’ecletticità dando al giocatore la possibilità di scegliere il proprio stile di gioco preferito.
Un sistema che viene approfondito non solo dalla possibilità di cambiare il tipo di impatto o danno da infliggere “al volo” tramite la pressione del grilletto destro, ma anche dal modo in cui si sviluppano le strategie attorno ai vari nemici. A seconda del livello d’affilatura, la tipologia d’attacco e la parte del corpo selezionata, l’impatto potrà effettuare un roll di danni diverso e intuibile attraverso un lock-in attivabile tramite la pressione dell’analogico destro per evidenziare i punti deboli di ogni nemico. Il risultato è un loop di combattimento meno adrenalinico di quanto si possa pensare e anzi molto punitivo nel momento in cui si cerca di fare i temerari e andare alla ricerca del “mucchio selvaggio” sperando di poterne uscire illesi e che diventa incredibilmente appagante nel momento in cui si riesce finalmente a padroneggiare ogni sottigliezza e tecnicismo fino ad arrivare a stendere i nemici minori in un colpo solo attraverso lo “smembramento”, attacchi caricati molto lenti ma che ben calcolati sono in grado di staccare arti e facilitare di molto il percorso. Il tutto è bilanciato da un sistema di stamina ed equilibrio che ci tiene a bada e andrà di volta in volta a rallentare le movenze del protagonista qualora dovessimo spammare più volte i tasti offensivi.

“Con 20.000 anime il mio fabbro lo faceva meglio”
Entrando nel merito delle armi, ci teniamo a dare un particolare focus sul modo in cui Blades of Fire da modo al giocatore di sviluppare il proprio arsenale. Interagendo infatti con una delle innumerevoli incudini disseminate nel mondo di gioco, è possibile entrare all’interno della Fucina, un luogo oltre lo spazio tempo in cui Aran potrà dedicarsi all’arte della forgiatura di nuove armi, attraverso un sistema di crafting unico nel suo funzionamento. Una volta trovati i materiali necessari, sia tramite il farming e la distruzione dello scenario sia tramite l’interazione con particolari statue raffiguranti antichi guerrieri in grado di “refillare” la scorta di materiali di una determinata arma, basterà scegliere il modello di arma desiderato per entrare nel vivo della forgiatura.
Quello che ci viene messo davanti è un incredibilmente dettagliato e complesso sistema di progettazione del proprio arsenale, dove è possibile scegliere ogni pezzo che comporrà la nostra nuova arma, selezionando il metallo e il legno più adatto a seconda della tipologia d’arma da creare, il suo stile di gioco e soprattutto la sua ipotetica potenza. Tra le innumerevoli combinazioni disponibili, sarà compito del giocatore individuare quella che fa più al caso suo anche in termini di durabilità e fragilità del prodotto finale. Ma cosa fare nel momento in cui un’arma si rompe o perde la sua affilatura? Possiamo ovviare a questo scenario attraverso la fase finale della forgiatura, dove dovremo di persona “battere il ferro finché caldo” con un piccolo minigioco in cui utilizzeremo il martello degli Antichi Forgiatori per dare all’arma una forma più compatta alla nostra “fedele alleata”. A seconda della nostra performance e rapidità, assegneremo all’arma una o più stelle che andranno a rappresentare le riparazioni che quell’arma può sostenere e che dovranno essere consumate all’occorrenza fino al loro esaurimento. A quel punto, l’arma potrà essere “riciclata” per ottenere qualche materiale extra, in una sorta di loop e personalizzazione del proprio arsenale volto a giocare sull’attaccamento del giocatore verso le proprie creazioni, spingendolo a performare al meglio durante gli scontri.

Tridimensionalità non ti temo!
Tenendo conto del fatto che MercurySteam vanta di una illustre carriera nell’ambito della creazione di mappe di gioco intrigate e piene di diramazioni in chiave bidimensionale, riscontrare le stessa filosofia di level design all’interno di un contesto 3D dopo Castlevania: Lord of Shadow è stata una piacevole sorpresa. Il mondo di Blades of Fire è infatti vasto e sviluppato su più livelli interconnessi tra di loro. Che si tratti della prima viuzza di campagna che porta al villaggio assediato dai soldati, oppure il Forte Cremisi e i suoi misteriosi anfratti in rovina, ogni ambiente del gioco è ricco fino all’orlo di tesori, chicchette nascoste e soprattutto sfide secondarie e collezionabili da scovare. E come ogni gioco dal retrogusto Metroidvaniesco che si rispetti, il backtracking sarà essenziale per poter progredire con gli eventi della narrazione e soprattutto raggiungere zone precedentemente irraggiungibili senza un particolare power-up o il supporto di un personaggio di rilievo. A conti fatti, l’esperienza esplorativa è piuttosto completa e divertente da scoprire ma deve fare i conti con alcuni nei che fanno intuire una certa indecisione da parte del team di sviluppo.
L’esempio più lampante è la decisione di non rendere del tutto visibile un qualche tipo di segnalibro dedicato all’obiettivo all’interno della bussola di gioco, che dovrà essere ogni volta richiamato entrando e uscendo dal menu di pausa a ogni cambio di bioma. Certo, non stiamo parlando di una prerogativa per questo tipo di gioco che sfrutta la dispersività degli ambienti come parte integrante della difficoltà, ma si tratta comunque di un piccolo errore a livello di ideazione della user-experience.

Sbavature sulla tela
Dal punto di vista tecnico, Blades of Fire vanta di una direzione artistica degna di nota, caratterizzata da un art style che può essere riassunto come un mix tra un character design cartoonesco e caricaturale arricchito da ambientazioni fantasy e incredibilmente dettagliate, segno dei grandi passi fatti dal Mercury Engine 5 fin dalla sua prima iterazione costruita nel 2004, passando da piattaforme fisse a portatili ad architetture ibride e infine arrivando su console di ultima generazione. Certo la presenza di personaggi e nemici a una prima occhiata “gommosi” potrebbe stonare all’interno di ambienti caratterizzati da sistemi di illuminazione e texture ben rifinite, ma questa sensazione viene meno nel momento in cui il gioco inizia ad ingranare e veniamo a contatto con le loro animazioni.
Ci sono nemici che per esempio sfruttano questa elasticità per esibirsi in veri sfoggi di abilità con la spada utilizzandola come trampolino ed effettuando fendenti verticali esagerati, mentre altri invece si faranno forza con la loro stazza per travolgerci o lanciarsi contro di noi “a palla di cannone”. Un’unicità che contraddistingue gran parte degli ostacoli presenti nel cammino di Aran, anche se con qualche eccezione come per esempio i vari “mid boss” e reskin di nemici già presenti tra un bioma e l’altro. Piccole note di demerito invece per una colonna sonora che oltre a risultare un po’ troppo ripetitiva risulta messa in terzo piano, un po’ come se una sua eventuale assenza non influirebbe sul godimento dell’opera e una stabilità software che cigola di fronte alle situazioni più concitate. Si passa infatti da momenti in cui – almeno su PS5 base – i 60 fps sono a malapena percettibili, per poi diventare del tutto inesistenti durante gli scontri contro grandi quantità di nemici. Non proprio il massimo per un titolo che sì, vanta di una grafica dai connotati interessanti ma che viene purtroppo castrata da problemi di fluidità che all’interno di un contesto action non dovrebbero essere la norma.
In definitiva, Blades of Fire è sicuramente un’opera in grado di soddisfare le esigenze di un pubblico di giocatori hardcore che bazzica spesso i lidi del genere action e che predilige l’azione pad alla mano e la profondità di gameplay prima di qualsiasi altro elemento di fondo. E in questo il primo titolo autoriale di MercurySteam riesce ad offrire un’esperienza divertente e appagante nella sua sfida, mettendo in mostra un combat system originale e che avrà modo di farsi conoscere ed apprezzare grazie a una longevità di gioco e strutturale ben progettata. Le crepe narrative e all’interno della sua struttura tecnica potrebbero invece far indietreggiare chi magari preferisce non solo giocare, ma anche mettersi comodo e immergersi all’interno di una narrativa altrettanto rifinita e coinvolgente. Ma in fondo, questo è solo il primo e ottimo tentativo per la software house di impostare una propria filosofia autoriale, scenario che speriamo possa ripetersi in futuro.
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