Jurassic World - La Rinascita

Jurassic World – La Rinascita Recensione: Passo indietro e riavvio

Certe saghe non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. È il caso di Jurassic Park/World di Universal Pictures, giunta alla conclusione di ben due trilogie cinematografiche, senza contare le iterazioni esterne come libri, fumetti, serie animate e – soprattutto – videogiochi. Così, dopo aver accarezzato l’idea di un mondo urbano in cui umani e dinosauri avrebbero dovuto imparare a convivere, con il nuovo capitolo La rinascita (e il titolo dice tutto) si torna indietro, cancellando questa interessante ipotesi con un colpo di spugna.
Da un lato, c’è da capirlo. Narrativamente parlando, sarebbe stata una bella gatta da pelare, e inoltre c’è il problema di mantenere, sebbene in ambito sci-fi, un certo “realismo”. È risaputo che i dino non avrebbero potuto sopravvivere all’atmosfera e all’ambiente batterio-virologico del mondo moderno, ancor più se consideriamo l’inquinamento. In una situazione circoscritta come un’isola dispersa nell’oceano, pure pure… ma in piena New York, magari, anche no. E quindi ecco il ribaltone, scientificamente anche “quasi” plausibile: nel 2027, cinque anni dopo gli eventi di Jurassic World – Il dominio, la Terra si è dimostrata un ambiente ostile per i dinosauri. Le poche creature sopravvissute hanno trovato rifugio in regioni tropicali e selvagge, simili agli antichi ecosistemi in cui un tempo dominavano. Se vogliamo essere precisi, probabilmente per un grande rettile trasportato dalla preistoria a noi sarebbe stato fatale anche l’equatore, ma calcolando che, alla base, ci sono esperimenti di laboratorio, possiamo soprassedere immaginando che qualche modifica genetica abbia permesso ai bestioni del “neo giurassico” un certo margine aggiuntivo di stabilità. D’altro canto, però, questa scelta è anche un punto di debolezza del plot, che rinuncia così a sviluppi narrativi nuovi e potenzialmente interessanti per tornare su uno schema classico.

Jurassic World - La Rinascita
L’uovo di dinosauro è sempre una delle immagini più iconiche legate alla saga.

Jurassic World – La Rinascita: Che succede, amico?

In questo nuovo equilibrio precario, Zora Bennett (Scarlett Johansson), agente sotto copertura, viene ingaggiata da una potente azienda farmaceutica per prendere parte a una missione segreta. Al suo fianco ci sono il paleontologo Dr. Henry Loomis (Jonathan Bailey) e il comandante operativo Duncan Kincaid (Mahershala Ali). L’obiettivo è ambizioso: penetrare un’isola proibita – un tempo sede della leggendaria struttura di ricerca di Jurassic Park – per rintracciare le tre più imponenti specie preistoriche della terra, del mare e del cielo. Il DNA di questi colossi potrebbe contenere la chiave per un rivoluzionario trattamento medico in grado di salvare milioni di vite. Ma l’isola nasconde segreti dimenticati. La squadra si imbatte in una famiglia di civili naufraghi, e presto tutti rimangono intrappolati in quel luogo selvaggio. Mentre cercano una via di fuga, scoprono che l’isola ospita esperimenti falliti e mutazioni terrificanti: dinosauri deformati e potenziati, frutto di decenni di evoluzione isolata e manipolazioni genetiche. La figura femminile “action” interpretata – in maniera convincente – da Johansson contrasta con il maschio Bailey meno alfa e più intellettuale che in situazioni passate, e rappresenta un buon segno di modernità, così cme la quota “latina” rappresentata dalla famiglia di naufraghi. C’è da riflettere sull’intelligenza del padre che porta le figlie in una traversata in barca in un mondo infestato da creature marine aggressive e gigantesche, ma il film culturalizza l’elemento giocandoci in parte su, il che rende anche questa forzatura abbastanza credibile.

Jurassic World - La Rinascita
Mahershala Ali nel ruolo di Duncan Kincaid.

Teoria, Pay-off e Plot Twist

Ponendosi come ideale primo capitolo di una terza trilogia, questo La rinascita cade in un parziale paradosso. Si chiama ancora Jurassic World (perché non cambiare titolo, come fatto tra la prima e la seconda) ma non presenta affatto un mondo dominato dai dinosauri, come recitava la mitica fascia, diventata un simbolo iconico del franchise, che adorna il museo nel primo capitolo. Come dicevamo, è una scelta che facilita le cose, ma porta anche la serie su binari classici e prevedibili come quelli di una jeep elettrica che segue un percorso in un parco a tema.

Non è necessariamente un male. Si chiama ‘pay off’ ed è un espediente narrativo, per certi versi opposto a quello del ‘plot twist’. Invece di cercare di sorprendere lo spettatore a tutti i costi, anche quello di ingannarlo parzialmente per buona parte del tempo, si sceglie di gratificarlo proponendogli elementi a lui familiari e facilmente comprensibili. Il che può essere fatto in maniera, per così dire, endogena, inserendo nel corso della trama suggestioni che poi vengono ritrovate più avanti lungo lo sviluppo (pensiamo all’automobile caricata sul Titanic nella scena iniziale del film di Cameron, che poi scopriremo essere quella dove Jack e Rose fanno l’amore per la prima e ultima volta), oppure esogena, ovvero con riferimenti e citazioni a storie esterne, che possono far parte dello stesso franchise o meno. Qui di rimandi ne abbiamo parecchi in entrambi i sensi. Vi lasciamo scoprire quelli interni, mentre per quanto riguarda l’appartenenza al complesso narrativo giurassico gli esempi saltano subito all’occhio: una scena di osservazione ammirata di giganteschi dinosauri pacifici, un inseguimento su un veicolo, una sequenza di tensione in uno spazio ristretto… eccetera. Poi, tante strizzate d’occhio anche a Lo squalo – siamo pur sempre a casa di Spielberg, essendo Amblin uno dei produttori – che proprio in questo periodo compie cinquant’anni.

C’è una struttura semplice, un po’ “da videogioco di una volta”, con tre grosse prove da superare, per mare, per terra e per aria, che puntellano anche i tre atti principali. E anche questo va bene. Ci sono i personaggi umani, scritti anche decentemente (considerando la natura corale dell’opera) a parte quelli che – ce l’hanno scritto in fronte – faranno una fine pessima. In generale, il film è molto meno “horror” del capostipite – che già edulcorava parecchio i toni del romanzo di Michael Crichton – il che esaspera un potenziale difetto che corre lungo tutto il franchise. I dinosauri sono bestie stupide, molto più stupide dell’uomo (lo dice espressamente un personaggio) e questo giustifica il fatto che raramente riescano ad acchiappare un umano come preda, a meno che non sia più stupido di loro, il che solitamente coincide con il cattivo della situazione. Ma è anche vero che, una volta capito quanto sono pasticcioni, fanno meno paura. Probabilmente anche questo è un tentativo di rendere il tutto più family friendly e adatto a una visione infantile.

Jurassic World - La Rinascita
Poteva forse mancare un enorme dinosauro marino? Ecco il Mosasauro!

Mostruosità genetica

A compensare il quadro arriva la presenza di autentiche mostruosità genetiche, non esistenti in natura e frutto di mescolanze e aberrazioni da laboratorio, come il Distortus rex, un mix tra un classico T-Rex, il Rancor di Star Wars e uno xenomorfo di Alien. Con sei arti che gli donano un flavour insettoide di puro schifo e terrore, domina l’ultima parte della pellicola, restituendo un po’ di sana paura, ma facendo storcere il naso a chi pensa che i dinosauri redivivi siano già abbastanza in termini di sospensione dell’incredulità. Va detto che il concetto di ibridazione e deformazione la saga l’ha sempre accarezzato. Si trovano in rete schizzi preparatori per dinosauri fusi con gli umani, mai usati in Jurassic Park III. Nel primo Jurassic World c’era l’Indominus Rex, specie inesistente nel mondo reale ma dall’aspetto ancora abbastanza attinente a quello di un dinosauro reale. E ancora l’Indoraptor de Il regno distrutto, e la bambina con DNA rettile, Maisie Lockwood, presente anche in Dominion. La novità è che questo è veramente brutto come la morte, e apprezzarne o meno la presenza in campo è solo una mera questione di gusti.

La regia di Gareth Edwards, comunque, è solida, e il film si lascia guardare senza annoiare, complice anche un’attenzione vispa da parte dello sceneggiatore David Koepp sulle motivazioni personali degli umani. Alcune sottotrame – la possibilità di rendere pubblico l’uso del DNA raccolto piuttosto che darlo a una multinazionale, per esempio – vengono solo accennate e non risolte. Ma anche questo fa un po’ cifra stilistica. Molti ricordano la boccetta con gli embrioni di dinosauro dispersa da Nedry nel primo film, di cui si perdono totalmente le tracce finché non le recupera, in epoca tarda, un videogioco della Telltale. Diciamo che sono potenziali finestre aperte sul futuro. Il peccato più grosso è proprio quello all’origine: rinunciare a mostrare il mondo del ‘saurodominio’ per riportare tutto a una grossa e circoscritta riserva naturale. Non lo consideriamo un difetto, essendo evidentemente intenzionale, però ci dispiace.


Jurassic World – La Rinascita riporta il franchise indietro, a un mondo dove i dinosauri sopravvivono solo in remote zone equatoriali, e non camminano in città. Con effetti visivi spettacolari e l’introduzione di nuove creature geneticamente modificate, la pellicola affascina ma anche divide: il suo punto di forza è anche il suo limite. La trama, semplice e strutturata quasi come un videogioco a livelli, punta più sulla familiarità e sul pay-off che su veri colpi di scena, e offre momenti iconici che richiamano i primi capitoli: l’osservazione dei grandi erbivori, inseguimenti adrenalinici, e scene di tensione in ambienti chiusi. Visivamente impeccabile, è però discutibile la scelta di puntare ancora su dinosauri mutati, ormai cifra stilistica della saga. Alcuni fili narrativi restano aperti, come accadeva già nel primo film, con la celebre bomboletta di Nedry scomparsa nel fango. Ormai anche questo è una cifra stilistica.


 

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