Shadow Labyrinth Recensione: Pac-Man come non lo avete (quasi) mai visto

Shadow Labyrinth

Protagonista giallo brillante, fantasmi dai colori neon, labirinti arcade facilmente leggibili e un’infinita serie di sfere da divorare. Questa è la riconoscibilissima formula che ha cementato per decenni l’immaginario legato a Pac‑Man, titolo storico di casa Bandai Namco. Ora, a più di quarant’anni dal debutto del brand, l’editore videoludico ha pensato di stravolgere la ricetta consolidata per dare vita a un metroidvania dalle tinte cupe e grottesche, nella speranza di attirare un pubblico che altrimenti rischierebbe di non avvicinarsi mai alla serie. Il risultato è Shadow Labyrinth, un videogioco che allo stesso tempo si distanzia e si richiama al materiale di riferimento, generando alchimie tanto interessanti quanto spiazzanti.

Shadow Labyrinth
I corpi dilaniati e appesi fanno subito trapelare che non si tratti di un videogame per famiglie.

Come siamo finiti nello Shadow Labyrinth

Shadow Labyrinth rappresenta una visione profondamente diversa dall’immaginario tradizionale di Pac‑Man, quindi viene da chiedersi cosa abbia spinto Bandai Namco a intraprendere questa direzione. In realtà, già in passato la saga si è rivelata un banco di prova per sperimentazioni eccentriche. L’azienda nipponica ha affiancato al classico arcade titoli dal gameplay radicalmente differente: nel 1984, Pac‑Land trasformò il brand in un platform a scorrimento orizzontale; nel 1994 arrivò Pac‑Man 2: The New Adventures, avventura grafica punta‑e‑clicca; nel 2000 Pac‑Man World divenne un platform 3D; nel 2002 Pac‑Man Fever si lanciò nel party game, con cameo che spaziano da Tekken e Soulcalibur. Shadow Labyrinth, quindi, non è un unicum improvvisato, ma l’ultima mossa di un IP storicamente aperto a orizzonti insoliti. Ma perché puntare proprio su un metroidvania dal tono cupo?

“Pac-Man è sempre stato un gioco per famiglie e volevamo raggiungere un nuovo genere di fan che non ha mai giocato Pac-Man prima di oggi”, aveva confessato il produttore Seigo Aizawa alla testata Digital Trends. “Quando abbiamo iniziato a riflettere sul come raggiungere questo traguardo, siamo tornati alle origini di Pac-Man, ovvero ai labirinti. E quando abbiamo pensato ai labirinti, abbiamo pensato anche che un action-platformer 2D potesse rappresentare il genere più adatto. Ed è stato in quel momento che abbiamo pensato che, forse, una versione dark di Pac-Man potesse funzionare alla perfezione”.

Shadow Labyrinth
Una parte essenziale del gameplay consiste nel divorare i propri avversari.

Shadow Labyrinth: un progetto a forma di livello segreto

L’ultima fatica di Bandai ha una natura ibrida e, a tratti, confusa: sotto molti aspetti Shadow Labyrinth difficilmente sembra affiancarsi all’immaginario di Pac‑Man. I richiami alla saga sono labili, con l’atmosfera che si avvicina decisamente più a titoli quali Metroid o Hollow Knight. Il modo migliore per comprendere la natura del gioco è dunque andare a rivedersi Secret Level, antologia di animazione PrimeVideo dedicata ai videogame: il sesto episodio, PAC‑MAN: Circle, funge infatti da prequel e getta le basi per ciò che è Shadow Labyrinth. Se il corto animato si concentra sul “spadaccino 7”, nel gioco vestiamo i panni dello “spadaccino 8”, un umanoide senza braccia ingaggiato da un drone volante di nome Puck. Con una protesi meccanica e una spada hi‑tech, ai giocatori non resta che scandagliare sotterranei claustrofobici e boschetti ostili per raggiungere una tetra torre sacra: un edificio che vuole essere una “lancia” con cui infliggere un colpo letale a un’entità apparentemente divina nota come Onnipotente.

Se questo incipit vi sembra complesso, è solo l’inizio. Shadow Labyrinth rivela gran parte della propria storia tramite documenti collezionabili che sono stati nascosti nelle zone più recondite delle mappe. A livello di tematiche, si parla di imperialismo galattico, guerre interplanetarie, mecha da combattimento e antichi esseri spettrali celati nelle viscere del pianeta, il tutto condito da momenti di ambiguità e paranoia. Di Pac‑Man, dunque, rimane ben poco, se non qualche espediente secondario.

Spadaccino 8 può per esempio fondersi con Puck per assumere la forma di una “morph ball” che è identica alla figura classica del protagonista della saga classica. In puro stile Metroid, questa trasformazione può essere usata per attraversare passaggi inaccessibili, ma questi binari vengono accompagnati da sfere punteggio da divorare mentre ci si muove. Sono presenti anche sezioni “maze” ispirate a Pac‑Man Championship Edition. Purtroppo, questa commistione di meccaniche resta però profondamente disomogenea: le due anime — action‑platform e maze esplorative — coabitano in parallelo senza mai fondersi in un’identità univoca. I livelli più fedeli all’originale, per esempio, si sbloccano dopo 5–7 ore di gioco e si collocano in una dimensione parallela che non sfrutta le nozioni acquisite fino a quel momento, rallentando il ritmo con nuovi tutorial e alienazioni atmosferiche che infrangono il grado di immersione maturato nei giocatori.

La fusione con Puck permette di esplorare aree che risultano spesso parzialmente separate dalla normale mappa di gioco.

Seguire i puntini del genere

Concentrandoci prettamente sul lato in stile metroidvania, Shadow Labyrinth offre un combat system che è forse poco coraggioso, ma che è molto solido: per cominciare si può contare su comandi essenziali, combo di massimo tre attacchi e un pugno stordente che disabilita gli avversari. Schivate e parate entrano in gioco in un secondo momento, ma arricchiscono la sfida e premiano gli ardori di chi ama uno stile rapido e più scenografico. Complessivamente, l’ultima fatica Bandai Namco si pone come un titolo che è facile da fruire, ma complesso da padroneggiare. Il livello di difficoltà non è mai proibitivo, tuttavia le meccaniche di gioco si fanno man mano più sfaccettate e fluide, con il risultato che, con un po’ di talento, è possibile intavolare sinergie tattiche particolarmente eccitanti.

Spadaccino 8 può accedere a negozi dove acquistare potenziamenti ed equipaggiare nuove abilità, aggiungendo un grado di personalizzazione che giunge inatteso, ad avventura inoltrata. Forse anche troppo inoltrata. Questi elementi fanno la loro comparsa quando il giocatore medio ha già sviluppato confidenza con i comandi iniziali, con il risultato che questi non avrà necessariamente voglia di sperimentare nuove possibilità col rischio di dover reimparare da capo gli schemi di comandi, ormai consolidati.

Il più grande limite di Shadow Labyrinth è però la gestione dei checkpoint e il design delle mappe: gli avamposti di salvataggio sono posizionati in modo strategico per allungare artificialmente l’avventura, costringendo a ripetuti backtracking su aree ormai prive di insidie. I livelli sono caratterizzati da porte chiuse che forzano il giocatore in percorsi specifici, i quali si traducono spesso in un’alternanza di tentativi e fallimenti. Superato l’ostacolo, è possibile spalancare passaggi prima inaccessibili ricavando scorciatoie che, di fatto, rendono obsoleta buona parte dell’area precedentemente battuta. Questo approccio fa sì che le varie interconnessioni presenti nel mondo di gioco finiscano con l’essere irrilevanti, consolidando un’esperienza che rivela tutta la sua linearità. Volendo essere generosi, si può sostenere che questa ciclicità fatalista non sia altro che un collegamento con il concept narrativo, ma, nel caso, questa dinamica finisce comunque con il penalizzare l’immediatezza del gameplay.

Non fidatevi di certi trailer, le sezioni più affini ai vecchi Pac-Man non sono che una parte minuscola di Shadow Labyrinth.

Guardare al passato per creare la novità

Non è la prima volta che un classico arcade subisce un restyling dark: nel 2006 Hudson Soft lanciò Bomberman Act Zero, un flop clamoroso che tradì l’essenza leggera di Bomberman in favore di un panorama distopico che avrebbe dovuto attirare le nuove generazioni. Shadow Labyrinth si evita tranquillamente un destino tanto nefasto, tuttavia gli sporadici rimandi all’arcade non solo non valorizzano il brand, ma danneggiano un prodotto che altrimenti avrebbe potuto essere migliore: citazioni e ammiccamenti gravano sul ritmo e appesantiscono un metroidvania che, in sé, potrebbe vantare meccaniche solide e atmosfere intriganti.

Certo, Shadow Labyrinth non è comunque in grado di competere con i migliori esponenti del genere metroidvania, ma rappresenta una soluzione valida per passare un po’ di tempo tra le pause fra un grande titolo e l’altro. Le meccaniche di base sono ben calibrate e la trama suscita curiosità, tuttavia l’esperienza è penalizzata da tempi morti e da un level design privo di grandi ambizioni. Idealmente, ci piacerebbe che Bandai Namco rivedesse con una patch il posizionamento dei checkpoint e che introducesse un’opzione per velocizzare le animazioni di combattimento e movimento, tuttavia già di base il gioco esprime del potenziale ed eventuali modifiche potrebbero portare alla creazione di un sequel che sia in grado di esaltare quei punti di forza che fin qui sono solamente accennati.


Shadow Labyrinth è un esperimento coraggioso che reinterpreta l’icona Pac‑Man in una cupa chiave metroidvania. Si tratta di un prodotto che è dotato di un combat system solido e di un’atmosfera immersiva, tuttavia risente di un mix di meccaniche che stenta ad amalgamarsi. I richiami all’amato classico arcade sono troppi o troppo pochi, cadono in quella terribile fascia per cui la loro presenza è più una distrazione che un valore aggiunto, finendo con il porsi come una forzatura gratuita ed evitabile. Ignorando i richiami al retaggio Bandai Namco, Shadow Labyrinth si pone come un action-platformer che ha buone idee, ma anche molte carenze, le quali sembrano nascere da una mente brillante che deve ancora maturare l’esperienza necessaria a padroneggiare questo specifico genere videoludico.