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Ninja Gaiden Ragebound Recensione: un ritorno in grande stile!

Ninja Gaiden è da sempre sinonimo di sfida implacabile, una nomea forgiata sin dai tempi del suo capostipite arcade Shadow Warrior del 1988, un picchiaduro a scorrimento dall’identità inconfondibile e una schermata di “continue” capace di gelare il sangue. Quasi in concomitanza, per NES, emerse il primo capitolo di una trilogia entrata nella leggenda non solo per la sua brutalità, ma per una costruzione narrativa inedita per l’epoca.

È proprio a quei tre titoli storici che Ragebound si ricollega, raccogliendone l’eredità e rilanciandola con una potenza. Questa volta, però, l’esperienza trascende il mero omaggio; quest’ultimo capitolo mi ha letteralmente riportato indietro nel tempo, risvegliando ricordi sepolti con sorprendente chiarezza e innescando incessantemente “l’effetto DiCaprio”: il gesto iconico, il fischio e il dito puntato verso lo schermo a riconoscere qualcosa di profondamente familiare.

La trama si dipana in parallelo agli eventi del primo capitolo ad 8 bit: mentre Ryu Hayabusa parte per l’America in cerca di vendetta, un’invasione demoniaca lo costringe ad affidare la difesa del villaggio a Kenji, suo amico e allievo. Sarà lui il protagonista incaricato di sventare i piani oscuri di forze maligne e non solo, in un’odissea suddivisa in una ventina scarsa di livelli (a cui si aggiungono una decina bonus), per una durata complessiva di circa otto ore.

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Cosa sarebbe Ninja Gaiden senza un’orda di demoni a causare disastri?

Ninja Gaiden Ragebound: un erede degno della corona

Pur cercando di avvicinare anche le nuove generazioni con un impianto più accessibile, Ragebound è un’opera profondamente radicata nella tradizione, ponendosi come il secondo dei Ninja Gaiden del 2025 e un ponte ideale per il futuro della serie, con il quarto episodio in arrivo. È evidente l’impegno nel recuperare le radici della saga, mettendo in piedi un’avventura adrenalinica in cui la componente narrativa non viene relegata a un ruolo marginale; al contrario, la trama è centrale, persino ingombrante in certi momenti, proprio come nella trilogia originale, che potremmo definire il primo esempio di platform cinematografico.

Qui la struttura è classica, anzi, orgogliosamente tale: progressione a livelli dalla difficoltà crescente, segreti nascosti tra le pieghe dello scenario e un negozio, con l’immancabile Muramasa , dove acquistare potenziamenti. Un ritorno alle origini che non si limita alla superficie, ma che affonda le radici in un tempo in cui ogni pixel contava e ogni salto poteva essere fatale.

Il genere degli action platformer bidimensionali a scorrimento, un tempo onnipresente, è oggi una rarità, soffocato dall’avvento della terza dimensione e dall’ibridazione con generi come metroidvania e roguelite. Pochi titoli recenti hanno tentato di raccogliere seriamente l’eredità dei grandi del passato. Alcuni buoni esempi esistono: Vengeful Guardian Moonrider, Oniken, Cyber Shadow e, forzando leggermente la classificazione, Katana Zero (a mio avviso, il più riuscito del lotto).

Escludo volutamente dal gruppo Mark of the Ninja, che pur presentando una struttura bidimensionale affine, appartiene a pieno titolo al genere stealth, lontano dall’impostazione da action puro. Discorso diverso per i due Shank, che condividono moltissimo sul piano ludico, dal ritmo frenetico al sistema di combattimento, fino alle sezioni in cui ci si aggrappa ai soffitti, ma che si collocano in un immaginario così distante da risultare fuori contesto. La loro esclusione, dunque, è una scelta più concettuale che strutturale.

Ma in tutti questi casi, tranne Katana Zero e Mark of the Ninja, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a pallide imitazioni, omaggi rispettosi ma privi di quella scintilla che li elevi a veri successori spirituali. La corona, per così dire, giace a terra, in attesa di un degno erede: l’avventura di Kenji, affiancato dalla letale Kumori, ninja del Clan del Ragno Nero, riesce finalmente nell’impresa di raccogliere tale corona (in attesa di Shinobi: Art of Vengeance a fine agosto).

Il lavoro svolto recupera con rigore tutte le caratteristiche fondanti della saga, le rielabora e le aggiorna ad un gusto più moderno: la giocabilità è frenetica e incalzante, ma al contempo estremamente precisa e reattiva. Ogni azione risponde con puntualità millimetrica, trasmettendo al giocatore quella sensazione di pieno controllo, prerogativa dei grandi platform d’azione.

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Solo a me viene immediatamente in mente un boss del primo Contra?

Tradizione ed evoluzione del ninja

Il gameplay si mantiene semplice e perfettamente in linea con la tradizione della saga, riproponendo tutte le movenze storiche che hanno reso celebre la serie: dalla scalata verticale lungo le pareti, alle traversate sospese appesi ai soffitti, passando per i fendenti di katana, il lancio preciso dei kunai, la capriola eseguita in salto e un ampio arsenale di armi secondarie tra cui scegliere. A queste si aggiungono due novità che alleggeriscono sensibilmente l’esperienza: una rotolata dotata di frame d’invincibilità e la possibilità di un recupero aereo per correggere la traiettoria dopo essere stati colpiti, la causa della maggior parte delle morti nella trilogia originale.

Il tutto è ulteriormente reso più accessibile da una rete di checkpoint estremamente generosa, disseminati con abbondanza, e da vite infinite. Una scelta in netto contrasto con il passato della serie, che non prevedeva checkpoint intermedi nei livelli e che, nel primo capitolo, si distingueva per una crudeltà leggendaria: bastava morire durante lo scontro finale dell’Atto VI per essere ricacciati all’inizio dell’intera sezione, senza alcuna pietà.

È però evidente come alcune scelte appartengano a un passato ormai irripetibile, figlio di un’epoca in cui la sfida era non solo tollerata, ma ben accetta. Oggi la domanda si è spostata verso l’accessibilità e la scalabilità dell’esperienza, nell’intento di rivolgersi a un pubblico quanto più ampio ed eterogeneo possibile ha condotto gli sviluppatori a ridimensionare, se non addirittura annullare, il coefficiente di difficoltà, rendendo l’esperienza assolutamente alla portata di tutti.

Ciò nonostante, il gioco non rinuncia del tutto a un guizzo di severità: il boss finale cela infatti un elemento tanto inatteso quanto spietato, capace di strappare un sorriso a chi conosce la lunga tradizione di inganni e bastonate ludiche che la serie ha nel suo DNA. Anche i boss, pur non disponendo di un repertorio di mosse particolarmente ampio e risultando dopo qualche tentativo leggibili, richiedono un livello di abilità sensibilmente superiore rispetto a quello necessario a raggiungerli.

L’aura blu che avvolge il teschio volante permette di accedere alla “ipercarica”.

La forte continuità con il passato non ha però impedito l’implementazione di poche ma significative novità. La più evidente è l’inedita sinergia tra il protagonista e Kumori, membro del Clan del Ragno Nero che ci accompagnerà nel corso del gioco: due personaggi legati non solo da trama, ma anche da un sistema ludico complementare.

Fulcro dell’azione resta il giovane ninja: agile, letale e specializzato nel combattimento ravvicinato, mentre la sua nemica/amica , entra in gioco in sezioni specifiche attivabili tramite altari. In questi momenti, il giocatore assume direttamente il controllo della kunoichi per esplorare brevi segmenti nel regno demoniaco, risolvendo enigmi ambientali o raggiungendo zone altrimenti inaccessibili ed aprendo nuovi percorsi anche nel mondo reale. 

La presenza della compagna di viaggio agevola Kenji in diversi modi: anzitutto potrà utilizzarne le abilità come fossero le proprie, è infatti grazie ai poteri della nostra compagnia di viaggio che si possono attivare armi secondarie, kunai e kama che vanno ad aggiungersi all’arsenale del protagonista. Un’altra novità riguarda lo scatto a ghigliottina, una tecnica acrobatica che consente di rimbalzare su nemici o proiettili, prolungando le traiettorie dei suoi salti ed il tempo in sospensione: ogni impatto riuscito riattiva il salto, permettendo sequenze dinamiche tra piattaforme e combattimento.

Questa meccanica risulta fondamentale per mantenere fluidità e controllo in volo. Ultima, ma non certo per importanza, l’Ipercarica: una modalità potenziata capace di infliggere colpi devastanti, utile per abbattere gran parte degli avversari in un solo colpo. Per attivarla, il giocatore deve colpire nemici avvolti da un’aura speciale che può essere blu (richiede un’abilità di Kenji) o viola (richiede Kumori). La meccanica premia il tempismo e la lettura del campo, aggiungendo profondità e strategia al ritmo di gioco e attivando, una volta completa la barra, un potente attacco capace di infliggere ingenti danni anche ai boss.

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Una delle divertentissime boss battle.

Visione e suono: l’arte della nostalgia perfetta

A dare forma al mondo di Ryu Hayabusa e compagni è stata chiamata una garanzia assoluta: The Game Kitchen, autori della saga Blasphemous, noti per aver elevato l’arte del pixel a livelli di straordinaria raffinatezza visiva. A incorniciare il tutto c’è uno stile grafico brutale, ispirato ed inconfondibile. Con una cura maniacale per l’animazione, la composizione delle scene e la resa atmosferica.

Il risultato è un mondo visivamente ricco, stilizzato ma denso di dettagli, che restituisce perfettamente il senso di epicità e pericolo che permea l’intera avventura. Notevole anche la varietà delle ambientazioni e delle situazioni proposte, che spaziano ben oltre gli scenari canonici. Accanto agli immancabili castelli giapponesi, alle scalate montane con il maestoso Fuji a fare da sfondo e alle oscure caverne sotterranee, trovano spazio ambientazioni urbane decadenti, cantieri in costruzione, installazioni militari fortificate, missioni ad alta velocità ambientate su un treno in corsa e spettacolari sezioni aeree in cui il protagonista si aggrappa a un elicottero in volo, in un chiaro e riuscitissimo omaggio allo stile Contra.

La colonna sonora si rivela un’ode strumentale all’adrenalina, i cui ritmi sostenuti e incalzanti elevano ogni istante dell’azione. Ogni singola traccia risuona con una familiarità sorprendente, intessendo un profondo senso di nostalgia per i classici Ninja Gaiden, un effetto magistralmente ottenuto grazie al contributo degli stessi compositori originali della serie. Infatti, al fianco del talentuoso Sergio de Prado, già acclamato per il suo lavoro su Blasphemous, hanno preso parte alla creazione di questa gemma sonora Keiji Yamagishi, Ryuichi Niita e Kaori Nakabai.

La loro imprescindibile presenza assicura che Ragebound trascenda il mero omaggio, integrando con autenticità il DNA sonoro e l’anima musicale dei primi tre capitoli della saga, forgiando un’esperienza acustica che non solo accompagna, ma amplifica l’immersione nel mondo di gioco. Gli effetti sonori sono altrettanto curati: il clic preciso dei salti, il sibilo delle armi che fendono l’aria e le esplosioni dei proiettili demoniaci creano un tappeto sonoro dinamico e reattivo.

Ogni impatto, ogni schivata e ogni abilità speciale è accompagnata da un feedback acustico nitido e soddisfacente, rafforzando la sensazione di controllo e potenza. Sebbene non vi sia un doppiaggio esteso, l’assenza non si fa sentire, poiché le sequenze narrative sono ben supportate dalle musiche evocative e dai testi a schermo, mantenendo l’atmosfera fedele allo stile classico del genere.

La “famosa” corsa in moto, non esattamente la sezione più riuscita di Ragebound

Ninja gaiden Ragebound, varietà e longevità: Un’odissea senza sosta

Come già accennato, i livelli si distinguono per una notevole eterogeneità sul piano ambientale, ma lo stesso principio si estende felicemente anche al gameplay. La noia non trova spazio: ogni stage propone situazioni peculiari e strutture ludiche differenti, offrendo una varietà sorprendente che mantiene alta la tensione e il coinvolgimento. Si alternano corse adrenaliniche in moto, combattimenti sospesi su una teleferica, inseguimenti in acquascooter, fughe disperate da creature colossali, traversate su treni in corsa e scontri spettacolari appesi a un elicottero in volo.

Non mancano stage ambientati nel vuoto, dove il giocatore è chiamato a compiere salti millimetrici tra micropiattaforme, così come sequenze in cui il combattimento prende il sopravvento, restituendo tutto il peso dell’azione frenetica e tecnica tipica della serie. La varietà rappresenta senza dubbio uno dei punti di forza più evidenti del titolo, anche se il livello qualitativo medio non si mantiene sempre costante.

Alcune sezioni risultano più ispirate e rifinite di altre: in particolare, le fasi in acquascooter e in motocicletta appaiono come gli anelli deboli dell’esperienza, meno riuscite sul piano del controllo e della dinamicità rispetto al resto della produzione. Le sezioni appena descritte sono in molti casi il motivo per cui è facile definire Ragebound come una “lettera d’amore” ai vecchi classici del genere.

I rimandi a livelli molto simili, se non identici, di giochi famosi e non, sono inevitabili per i giocatori meno giovani, che vedranno sovrapporsi a molte scene immagini iconiche da Elevator Action Returns, Shinobi, Contra, Ghouls’n’Ghosts, Metal Slug, Dragon Ninja, solo per citarne alcuni. Personalmente, questo aspetto è stato un bellissimo ritorno al passato e mi ha scaldato il cuore con una piacevole malinconia, trovandolo perfettamente adatto a un gioco che si propone come prosecuzione di una trilogia cominciata nel lontano 1989. Tuttavia, è innegabile che per altri, tali citazioni potrebbero anche essere percepite come una mancanza di originalità o un difetto. Sta a voi, come giocatori, decidere quale prospettiva adottare.

Il giocatore, inoltre, è fortemente incentivato a esplorare e a perfezionarsi  attraverso un sistema di valutazione dei livelli che non solo premia l’abilità, ma stimola la rigiocabilità. Ogni stage può essere affrontato più volte, non solo per scoprire i numerosi segreti nascosti, ma anche per ottenere il punteggio massimo, necessario a sbloccare livelli aggiuntivi e contenuti extra. La valutazione finale è strutturata su criteri molteplici ma sempre chiari e visibili a schermo.

Ogni missione presenta una serie di obiettivi, vere e proprie sfide opzionali che variano da livello a livello: evitare di cadere nei baratri, sconfiggere un boss senza subire danni, eliminare un certo numero di nemici specifici, o realizzare uccisioni in volo, con affondi o combo particolari. Il tempo di completamento, il numero totale di avvefrsari sconfitti, e la combo di uccisioni consecutive influiscono anch’essi sul punteggio: scappare da tutto, per intenderci, non è mai una buona strategia.

A rendere il tutto ancora più interessante vi è la possibilità di equipaggiare alcuni oggetti speciali, vere e proprie “sfide nella sfida”, che aumentano sensibilmente la difficoltà del livello, ma in cambio migliorano il punteggio finale. È, in un certo senso, un gioco nel gioco: una modalità pensata per i puristi, per chi ama mettersi alla prova senza compromessi, alla ricerca della corsa perfetta.

Tornano tra i collezionabili alcuni elementi ricorrenti della saga come gli scarabei d’oro e le pergamene. Presenti anche i teschi di cristallo, che erano stati inseriti su Ninja Gaiden II su Xbox 360. Carina la possibilità di cambiare skin al completamento del gioco. Si segnala inoltre che il gioco è interamente in italiano e offre, per chi desidera una sfida ulteriore, un’interessante Hard Mode che non si limita ad aumentare artificialmente la difficoltà incrementando i danni subiti, ma opera un vero e proprio re-design dei livelli, aggiungendo strategicamente nuovi nemici e ostacoli; idem per quanto riguarda i boss, anche se non ne modifica i pattern d’attacco. Peccato che questa difficoltà non possa essere selezionata in partenza, così come dispiace non avere a disposizione una boss rush.


In conclusione, Ninja Gaiden Ragebound si inserisce con autorevolezza in un genere oggi raramente esplorato dalle software house contemporanee, proponendo un titolo tecnicamente solido, sorprendentemente vario, ricco di segreti e impreziosito da una pixel art di straordinaria fattura. Sfruttando con intelligenza un marchio iconico e ampiamente riconoscibile, il gioco si presenta come un’operazione lucida e ben congegnata, offerta a un prezzo equo e contraddistinta da un’eccellente rigiocabilità. Finali multipli, livelli nascosti e una modalità difficile tutta da padroneggiare ricompensano il giocatore più curioso e tenace, offrendo un’esperienza densa e appagante. Pur non esente da piccole sbavature, riesce nel delicato intento di essere al tempo stesso un omaggio rispettoso per i nostalgici della saga e una proposta stimolante per chi vi si accosta per la prima volta.


 

Provengo da un’epoca particolare, in cui le edicole vendevano videogames e le sale giochi erano giungle urbane abitate da creature stravaganti. Si sognava per mesi (o anni) su una singola immagine vista su rivista, si attraversavano quartieri interi per noleggiare un gioco sperando che fosse ancora lì, pronto ad accoglierci per un’avventura irripetibile. Il marketing si faceva per strada, la console war si combatteva faccia a faccia, e il venditore era una creatura leggendaria. Un mondo folle e ingenuo, forse, ma proprio per questo indimenticabile.