Killing Floor 3 Recensione: mostri mutanti, un po’ incespicanti

Killing Floor 3

Il genere wave shooter viene spesso percepito come una scelta ludica di secondo piano, un’aggiunta marginale, quasi un’appendice accessoria a una campagna principale più strutturata o a una modalità multiplayer di maggior appeal. Eppure, esistono titoli che hanno deciso di abbracciare con convinzione questa forma, elevandola da semplice distrazione a nucleo portante dell’esperienza videoludica. Si tratta di giochi che hanno puntato tutto sul loop di gameplay puro e immediato, valorizzando accessibilità, rapidità e una gratificazione istantanea e continua. Killing Floor, nato come una mod amatoriale per Unreal Tournament 2004 prima di affermarsi come titolo stand-alone sotto l’egida di Tripwire Interactive, è uno di questi casi emblematici. Sono trascorsi oltre quindici anni dalla comparsa della saga, il panorama videoludico si è trasformato radicalmente, eppure il franchise resiste, pronto a riaffermarsi e rinnovarsi con il suo terzo capitolo: Killing Floor 3.

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Benvenuti su Killing Floor 3, gioco in cui vedrete il grottesco molto da vicino.

Killing Floor 3: un altro giro di giostra in un luna park di sangue

Con questa nuova iterazione, Tripwire Interactive tenta di mantenere intatti i tratti distintivi che hanno reso celebre la serie, cercando al contempo di aggiornare la formula per renderla appetibile a un pubblico più giovane e contemporaneo. Un’operazione rischiosa, dal momento che la forza intrinseca di Killing Floor è sempre risieduta nella sua essenzialità. L’aggiungere componenti superflue, fronzoli meccanici o narrativi troppo elaborati, rischia di snaturarne il DNA ludico dell’esperienza e di trasformarla in un ibrido che risulta poi essere eccessivamente carico, se non addirittura barocco. Fortunatamente, nella sua struttura portante, Killing Floor 3 resta fedele alle sue radici: un wave shooter multiplayer diretto, brutale e soddisfacente, che non pretende di essere di più di ciò che effettivamente è. Si sceglie una mappa, ci si prepara all’assalto, si affrontano orde di Zed – mutanti dall’aspetto grottesco e dal comportamento famelico –, tra una fase e l’altra si acquistano armi e risorse, si abbatte un boss e si ricomincia daccapo. Un ciclo reiterato, ma dannatamente coinvolgente.

Non aspettatevi una trama articolata o soluzioni atmosferiche degne di un tripla A: il gioco non finge di voler offrire qualcosa che non gli appartiene. Killing Floor 3 si inserisce perfettamente in quella categoria di titoli dove ci si ritrova a dire, con sempre minore convinzione, “ancora una partita e poi smetto”, mentre fuori dalla finestra l’alba comincia a scolorire il cielo. Se il tipo di esperienza che cercate è quella adrenalinica e reiterativa di una sfida pura e diretta, questo gioco farà centro, soddisfacendo anche le esigenze più basilari di frenesia e appagamento istantaneo. Tuttavia, se la formula rimane inalterata, cosa spinge davvero l’utenza a passare da un vecchio capitolo a questo nuovo episodio?

Se Killing Floor 3 riesce senza sforzi a recuperare e riproporre l’essenza dei suoi predecessori, ciò che cambia in modo più sostanziale è l’apparato formale, ovvero l’infrastruttura tecnica e visiva su cui si poggia l’esperienza. A colpire immediatamente è il lavoro svolto sul motore grafico: livelli più rifiniti, creature più dettagliate, effetti visivi resi con una cura minuziosa. Il sistema di smembramento, marchio di fabbrica della serie, è stato ulteriormente perfezionato, con risultati che sconfinano nel gore spettacolare, quasi teatrale. Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica: questa nuova veste, per quanto tecnicamente avanzata, tradisce una certa inclinazione all’eccesso. Il senso estetico cede talvolta il passo a una spettacolarità gratuita e invasiva che, invece di aggiungere profondità, tende a saturare lo spazio visivo e a “macchiare” lo schermo con effetti che finiscono con il nascondere quelle minuzie che invece dovrebbero valorizzare.

Il multiplayer a sei tende a essere molto caotico. Sia perché lo schermo è pieno di schizzi di sangue ed esplosioni, sia perché il motore grafico fatica a reggere l’insieme.

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L’aggiornamento grafico, per certi versi, riporta alla luce le radici più profonde del brand, avvicinandolo nuovamente a quell’immaginario sci-fi dai toni cyber-apocalittici che un tempo dominava la scena competitiva di Unreal Tournament. Tuttavia, pur conservando una sottile ironia dal retrogusto “british”, il titolo abbandona in parte quel gusto anarchico e punkeggiante che aveva caratterizzato gli esordi della serie. Lo scenario è ora più sobrio, forse più universalmente digeribile, ma anche meno distintivo, una direzione che suggerisce che Tripwire abbia optato per un’estetica meno polarizzante nel tentativo di attrarre una platea di giocatori più ampia.

Il team di avatar, un tempo formato di lunatici da pub reclutati in clandestinità da aziende prive di scrupoli, è stato messo da parte in favore di squadre di specialisti che si lanciano in missioni da elicotteri blindati con assetto multiturbina. La virata tematica è netta e riflette la trasformazione altrettanto radicale nelle dinamiche di gioco: Killing Floor 3 sposa infatti una struttura più vicina a quella degli hero shooter ove la scelta del personaggio non è più un mero vezzo cosmetico, ma diventa cruciale nella definizione del proprio stile di gioco, influenzando abilità attive, equipaggiamento e modalità d’interazione con il gruppo.

Al posto di affidarsi a “perk” condivise, il nuovo sistema di progressione è costruito intorno ad alberi di abilità che, pur essendo più articolati e sfaccettati rispetto a quelli visti nei titoli precedenti, sono collegati singolarmente a ogni personaggio selezionabile, il che obbliga il giocatore a ripartire da zero qualora volesse esplorare tutte le opzioni offerte dal roster. Lo stesso vale per l’arsenale, ora personalizzabile tramite moduli ed estensioni che, però, risultano specifici e non trasferibili da un’arma all’altra. Una scelta che allunga la longevità del titolo, sì, ma che potrebbe essere cinicamente interpretata anche come un artificio per moltiplicare artificialmente il tempo necessario a fruire il titolo nella sua interezza.

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L’uso degli elementi di scena – trappole, torrette, zipline – è uno dei fattori più esaltanti dell’esperienza.

L’odore della putrefazione e quello del live service

Chi è abituato a riconoscere nella dilatazione dei contenuti un segnale inequivocabile di un approccio da live service, non resterà sorpreso nel constatare che Killing Floor 3 integra un sistema di monetizzazione ben rodato: uno store interno, cosmetici sbloccabili, e un battle pass – ribattezzato “supply pass” – che ricorda da vicino quello implementato in Helldivers 2. Comprendiamo perfettamente che una tale impostazione possa risultare indigesta a molti, ma dobbiamo anche riconoscere che, nella nostra esperienza, la progressione si è rivelata fluida e integrata organicamente all’azione. Il grinding non è mai opprimente, in quanto sostenuto da un gameplay loop fortemente motivante. Inoltre, una trama principale appena abbozzata funge da incentivo extra, aggiungendo missioni straordinarie che spingono a esplorare determinate mappe e a completare obiettivi secondari. Questa struttura favorisce la memorizzazione dei layout del mondo di gioco– una competenza imprescindibile per affrontare le difficoltà più elevate – e incoraggia a sperimentare vari approcci tattici per tenere a bada le orde di Zed.

Il peso degli scontri può ovviamente essere alleggerito grazie alla modalità cooperativa online, la quale consente a un massimo di sei giocatori di unire le forze per dar vita a intense sessioni cross-play dal sapore tanto esilarante quanto disordinato. Peccato, però, che l’intera infrastruttura tecnica appaia ancora acerba. Il gioco soffre di bug, problemi di stuttering e crash sporadici che affliggono tanto il single player quanto il multiplayer. I molteplici problemi diventano particolarmente marcati durante le partite affollate, le quali sono inevitabilmente contraddistinte da una fluidità dell’immagine che è degna di un’animazione stop motion. Durante il periodo di prova siamo dunque incappati in un enigmatico “hydra error”, il quale dovrebbe essere collegato a una fase di manutenzione dei server, ma la stessa non è stata accompagnata da messaggi di stato o schermate informative adeguate.


Ci sono giochi che, nonostante difetti strutturali più o meno gravi, riescono a conquistare grazie a una formula ludica collaudata e appagante. Killing Floor 3 è senza dubbio uno di questi. Il loop di gioco pensato da Tripwire è ancora oggi potente e magnetico, e può facilmente stregarvi per settimane o addirittura mesi. Tuttavia – ed è un “tuttavia” che pesa – questo terzo capitolo è, ad oggi, il meno incisivo e memorabile della serie. La componente live service, unita a problemi tecnici non trascurabili, ne minano l’impatto, impedendogli di imporsi con la forza che il suo retaggio avrebbe meritato. Se amate il genere e non disdegnate qualche compromesso, ci troverete comunque pane per i vostri denti… e sangue, tanto sangue.