The Precinct Speciale: io sono uno sbirro vero, e questa è una pistola vera!

The Precinct

Era l’inizio del 2025 quando ho avuto la possibilità di mettere le mani su un titolo che, fin dai primi trailer, mi aveva incuriosito non poco: The Precinct, novello open world che prometteva di ribaltare le convenzioni del genere, mettendoci nei panni non del fuorilegge ma del lungo braccio della legge. L’idea di calarsi in un’ambientazione carica di neon e atmosfere anni ’80, con un gameplay che si preannunciava un mix di azione e protocolli procedurali, prometteva una ventata di freschezza in un panorama videoludico spesso dominato da cloni e formule fin troppo consolidate. Ho deciso dunque di concedergli una possibilità con la mente più aperta possibile, pronto a immergermi in una Miami (o meglio, la sua controparte fittizia, Averno City) effervescente e pericolosa, dove ogni sirena in lontananza o chiamata alla radio possono portare a un’emergenza inaspettata oppure a una classica pattuglia di routine. Le speranze erano quelle di un gioco che non offrisse un semplice svago ma anche, fatte le debite proporzioni, un punto di vista unico sul mestiere del poliziotto, sempre carico di sfide e responsabilità.

The Precinct
Gli inseguimenti a volte finiscono male, altre molto peggio

The Precinct: hai mai incontrato qualcuno senza ammazzarlo?

Non appena messo piede nel mondo di The Precinct, la prima cosa che salta all’occhio è l’incredibile lavoro svolto per ricreare l’atmosfera degli anni ’80. La città è un tripudio di luci al neon, synthwave e architetture che richiamano immediatamente un’epoca d’oro, evocando una nostalgia palpabile per chi ha vissuto quel periodo o ne è affascinato. Non si tratta solo di estetica; le intere fondamenta del gioco, dalla musica che ci accompagna in pattuglia ai modelli dei veicoli, contribuiscono a creare un coinvolgimento totale in un decennio iconico. Guidare per le strade di questa metropoli virtuale, con il sole che riflette sui palazzi di vetro e le palme che si stagliano contro un cielo rosa e arancione, è un’esperienza quasi trascendente. L’attenzione ai dettagli visivi è meticolosa, e la direzione artistica, pur non puntando al fotorealismo, riesce a catturare l’essenza di quell’era con uno stile distintivo che personalmente ho trovato molto accattivante. Ogni angolo della mappa sembra studiato per evocare un senso di familiarità, quasi come se stessimo percorrendo i set di un vecchio film poliziesco o di una serie TV cult. Questo tocco retrò non è solo un abbellimento; è parte integrante dell’identità del gioco, un elemento che lo distingue e gli conferisce una personalità forte e riconoscibile in mezzo alla moltitudine dei suoi analoghi.

Tuttavia, sotto questa affascinante vernice estetica si cela un gameplay che, pur ambizioso, presenta alcune peculiarità. L’esperienza di gioco si concentra fortemente sui protocolli di arresto e sulla necessità di una condotta appropriata. Non è un gioco in cui si può agire con impunità; l’uso eccessivo della forza è penalizzato, e la risoluzione dei crimini richiede pazienza e un approccio metodico. Si tratta di un aspetto che apprezzo molto, poiché riesce ad elevare il gioco oltre la semplice azione arcade, e ci spinge a riflettere sulle nostre azioni e sulle conseguenze derivanti. L’obiettivo non è solo fermare i criminali, ma farlo nel rispetto della legge, un concetto che in molti titoli simili viene spesso trascurato. Le chiamate di emergenza arrivano a getto continuo, trasformando la pattuglia di routine in una serie di eventi dinamici: inseguimenti adrenalinici, sparatorie intense e indagini complesse si susseguono senza sosta. Questa varietà mantiene alto il livello di coinvolgimento, impedendo alla routine di diventare monotona. Ho trovato particolarmente gratificante la sensazione di contribuire all’ordine pubblico, di essere parte di qualcosa di più grande, con ogni arresto riuscito che rafforza il senso di progressione. Il sistema di progressione, infatti, ricompensa l’efficienza e la professionalità, incentivando un gioco pulito e strategico.

Non mancheranno casi da risolvere abbastanza sui generis

A Averno City, chiunque guidi una macchina è un maniaco suicida!

Il fulcro di The Precinct risiede nella meticolosa ricostruzione della routine quotidiana di un agente di polizia. Non si tratta solo di inseguimenti mozzafiato, ma anche di compiti più terra-terra: rispondere a piccole infrazioni, pattugliare quartieri specifici, investigare su indizi apparentemente insignificanti. È un’incredibile attenzione al dettaglio che confeziona un’esperienza realistica e immersiva, bilanciando momenti di pura adrenalina con sequenze più riflessive e investigative. Mi sono trovato spesso a fermarmi e osservare gli scenari, a cercare prove, a interrogare testimoni, proprio come farebbe un vero detective. La combinazione di azione e investigazione è ben bilanciata e regala una profondità ludica che va ben oltre le semplici sparatorie. La varietà delle chiamate alla radio è notevole, e ogni intervento presenta le sue sfide uniche, costringendoci a pensare in fretta e ad adattare le nostre tattiche. La gestione delle risorse, come le munizioni e i rinforzi, aggiunge un ulteriore strato di strategia, rendendo ogni decisione significativa. Non è sempre facile prendere la decisione giusta sotto pressione, ma è proprio questa sfida che rende il gameplay così coinvolgente.

The Precinct
Inseguimenti e scartoffie, la dura vita del poliziotto

Tuttavia, come ogni titolo che tenta di coprire molteplici aspetti in un colpo solo, anche The Precinct non è esente da alcune imperfezioni. La gestione dei veicoli, ad esempio, può risultare a tratti scomoda: ho avuto spesso la sensazione che le auto fossero un po’ troppo scivolose, quasi come se si stessero guidando su una superficie saponata, rendendo gli inseguimenti a volte più frustranti del necessario, specialmente nelle fasi più avanzate dove la precisione diventa cruciale. È una sfaccettatura che, sebbene non infici completamente l’esperienza, può richiedere un certo periodo di adattamento e a volte spezza l’immersione. Un altro elemento che ho notato sono state le animazioni e i dialoghi nelle scene di intermezzo. Pur non essendo un ostacolo insormontabile per la generale godibilità, in alcuni frangenti le espressioni dei personaggi e le interazioni fra gli stessi sembrano un po’ rigide, quasi inespressive, e i dialoghi a volte risultano basilari e prevedibili. Si tratta di dettagli che, se migliorati, potrebbero elevare ulteriormente la qualità narrativa del gioco. La trama, sebbene coinvolgente nel suo intento di presentare un poliziotto responsabile, segue schemi narrativi piuttosto convenzionali, senza grandi colpi di scena. Le missioni, pur variando nelle loro dinamiche, possono a volte cadere in una certa ripetitività, specialmente dopo molte ore di gioco, il che potrebbe far sentire il peso della routine in modo meno dinamico di quanto sperato. Nonostante questi piccoli intoppi, la telecamera dall’alto si rivela un’ottima scelta, consentendo una visione d’insieme chiara e strategica dell’ambiente circostante, fondamentale per non perdere di vista i sospetti o per pianificare la migliore manovra in situazioni complesse. E, sì, c’è un dettaglio curioso: la possibilità di coprire i corpi, un tocco quasi affascinante nel suo macabro realismo che contribuisce a un’esperienza più cruda e diretta.


Tirando le somme, The Precinct è un titolo che, malgrado qualche piccola lacuna tecnica e narrativa, riesce quasi del tutto nel suo intento. La sua forza risiede indubbiamente nell’atmosfera anni ’80 ricostruita con dovizia di particolari che permea ogni aspetto del gioco, dal design estetico alla colonna sonora. L’approccio al lavoro dell’agente di polizia, che enfatizza la responsabilità e il rispetto dei protocolli, rappresenta un’interessante novità  tra gli open world, distinguendolo da molti altri titoli in cui la violenza è spesso l’unica risposta. Sebbene le animazioni dei personaggi e il sistema di guida necessitino di qualche rifinitura, l’equilibrio tra azione, investigazione e la libertà di pattugliare una città vibrante lo rende complessivamente gradevole e capace di divertire come pure di far riflettere sul ruolo della giustizia in un contesto urbano. Consigliato vivamente a chi cerca qualcosa di diverso, una prospettiva inedita sul lato “giusto” della legge, con un tocco di stile retrò che non guasta mai.


Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.