Indiana Jones e l’Antico Cerchio L’Ordine dei Giganti Recensione: Roma segreta

Indiana Jones e l'Antico Cerchio L'Ordine dei Giganti

C’è un’emozione particolare nel tornare a vestire una fedora marrone e ascoltare il familiare schiocco di una frusta che sibila nell’aria, una che affonda le radici in un immaginario che ha nutrito intere generazioni, da quel 1981 in cui un archeologo dal sorriso sornione e dal piglio avventuroso si è catapultato nei nostri cuori di adulti e bambini. Eravamo abituati a trovarlo sul grande schermo, a seguirlo in inseguimenti mozzafiato, a vederlo risolvere enigmi millenari, a sventare complotti nazisti. Il suo mondo fatto di mappe ingiallite, cripte polverose e reperti luccicanti si è fatto strada anche nei videogiochi, con alterne fortune. Ci sono stati tentativi più o meno riusciti, ma la formula, quella vera, sembrava perduta per sempre. Poi, un anno fa, è successo qualcosa. Un editore spavaldo e un team di sviluppatori talentuosi, evidentemente innamorati di quel mito, ha riaperto il sipario e ci ha invitati a un nuovo viaggio con Indiana Jones e l’Antico Cerchio, colmando una lacuna che, dopo il terzo lungometraggio, per molti non era stata adeguatamente soddisfatta dai successivi. Il risultato è stato un’avventura che ha saputo catturare l’autentica essenza di Indiana Jones, trasportandola ai giorni nostri con una sensibilità moderna, ma con un rispetto quasi religioso per le sue radici. Ora, a un anno di distanza, ci viene proposto un bis, un’espansione che promette di riportarci in quel mondo, con le medesime atmosfere. Ma i “bis” sono sempre un’incognita: sarà una pietanza degna di nota, o un semplice spuntino per riempire la pancia?

Indiana Jones e l'Antico Cerchio L'Ordine dei Giganti
Le catacombe di Roma nascondono ben più di un segreto

Indiana Jones e l’Antico Cerchio L’Ordine dei Giganti: Polly vuole un cracker?

Questa parentesi aggiuntiva si apre in un luogo familiare, a Roma, dove un innocente favore nei confronti di un giovane prete ci trascina nuovamente nel vortice di una caccia al tesoro. Non è una missione per sventare un complotto globale, non c’è in gioco il destino del mondo, e questo, per certi versi, è un bene. L’avventura raccontata è più circoscritta, più recondita, come fosse un ritorno alle origini. Indy si ritrova a indagare sulla leggenda del “Crociato Senza Nome”, un mistero avvolto nel tempo che lo porterà a percorrere un labirinto di cripte, passaggi segreti e fognature che serpeggiano sotto le antiche strade della Città Eterna. Non si tratta di una vicenda completamente sconnessa, ma di un filo narrativo che si riallaccia a indizi e accenni che avevamo già intravisto nel gioco principale, e che qui vengono finalmente approfonditi. I vecchi nemici, i nazisti, compaiono all’inizio, ma presto cedono il passo a nuovi avversari, dei cultisti fanatici e spaventosi, che donano alla narrazione un’atmosfera più tesa e misteriosa. È una scelta azzeccata, che sposta il punto di vista dalla guerra al misticismo, un tema da sempre caro al franchise. La durata del DLC, intorno alle cinque ore per chi vuole dedicarsi soltanto alla trama, ma che può estendersi a sei o sette per i completisti, è forse un po’ limitata ma non fa sentire il peso di una lunghezza eccessiva.

La storia si presenta come un’avventura a sé stante, e questo porta con sé un’interessante ambivalenza: chi ha già completato il gioco principale, come me, sarà costretto a sospendere la propria incredulità di fronte a svariate incongruenze narrative, con diverse scene che non tengono conto dei progressi compiuti e sembrano dimenticare gli eventi passati, un’occasione persa per introdurre qualche variazione anche solo dialogica ma comunque rispettosa del tempo già investito. Al contrario, se l’espansione viene affrontata prima di completare la trama principale, si inserisce perfettamente nel fluire degli eventi. È un tocco di design che rende il DLC accessibile a un vasto pubblico, indipendentemente dal punto in cui si trova nel gioco, ma che avrebbe potuto beneficiare di una cura maggiore. Il comparto narrativo, grazie anche al ritorno del magistrale doppiaggio italiano, è solido, ben scritto e capace di tenere il giocatore incollato allo schermo, anche se non raggiunge i picchi di spettacolarità e adrenalina della storia principale. È un’avventura più riflessiva, pensata per ricordarci che, a volte, la più grande scoperta non è il tesoro ma il percorso compiuto per raggiungerlo.

A volte gli aiuti migliori provengono dalle fonti più inaspettate

Un po’ di sano esercizio fa bene alla digestione

Dal punto di vista del gameplay, l’espansione non stravolge la ricetta che ha reso il gioco base un grande successo, ma ne affina le meccaniche in un ambiente ermetico e controllato. La struttura è quella che abbiamo imparato a conoscere e amare: mettiamo piede in luoghi proibiti, risolviamo enigmi con la forza di intuito e pazienza, conseguiamo l’obiettivo preposto e tentiamo una fuga  tanto disperata quanto rocambolesca. La furtività rimane la pietra angolare dell’intero tragitto: i nemici rimangono in costante allerta e, quando veniamo individuati, il caos è dietro l’angolo. Spesso la soluzione migliore non è caricare a testa bassa, ma sfruttare l’ambiente e il proprio ingegno per superare le guardie, in una perpetua alternanza tra tensione e rilassamento, tra pianificazione e improvvisazione. L’esplorazione, inoltre, è ricca di note da trovare e casseforti da scassinare, tutti elementi ideali per chi ama spulciare ogni angolo alla ricerca di scampoli di folclore del mondo videoludico in cui si trova immerso.

A tal proposito, mi rincresce constatare il pessimo impatto di due scelte di design in particolare. La prima è l’assenza di atterramenti alle spalle, che si fa sentire soprattutto quando riusciamo a cogliere un nemico di sorpresa ma non possiamo fare altro che svicolare di soppiatto. La seconda, e più significativa, è l’equilibrio tra combattimenti e rompicapo poiché, a seconda del punto in cui decidiamo di iniziare il DLC, la difficoltà viene calibrata in automatico. Avendo terminato il gioco principale, mi sono ritrovato davanti avversari più coriacei e aggressivi, il che ha reso gli scontri, che solitamente evitavo, una necessità più frequente. È un espediente che sposta l’attenzione dall’ingegno alla forza bruta, andando un po’ contro lo spirito di Indy. Peraltro, in maniera quasi paradossale, ho percepito gli enigmi come meno elaborati e complessi rispetto a quelli del gioco base. Sono piacevoli, ben integrati nel contesto, ma raramente mi hanno dato quella sensazione di genio risolutore che ho provato nel corso della storia principale. Davvero un peccato, perché la sfida intellettuale è sempre stata una parte fondamentale di questo universo narrativo.

Indiana Jones e l'Antico Cerchio L'Ordine dei Giganti
In certi frangenti, il ricorso a soluzioni più pratiche e meno ingegnose sarà inevitabile

Indiana Jones e l’Antico Cerchio L’Ordine dei Giganti: dovremmo sbarazzarci del corpo

La prima cosa che ho notato dopo aver mosso i primi passi in questo DLC è l’atmosfera generale. L’espansione sostituisce gli elaborati colpi d’occhio e i paesaggi mozzafiato del Vaticano, dell’Egitto e della Tailandia con le tenebre e l’umidità dei sotterranei di Roma. È un cambio di prospettiva che può deludere chi cerca la maestosità visiva di un grande racconto d’avventura, ma che a mio avviso si rivela estremamente efficace. L’attenzione ai dettagli è maniacale: le catacombe sono realistiche, i passaggi segreti evocativi e le fognature sono… beh, decisamente poco invitanti, ma anche in esse si percepisce una storia, un’anima, una ricercatezza volta a trasmettere sensazioni ben precise. I giochi di luce, i riflessi sull’acqua, le ombre che danzano sui muri contribuiscono a creare una serie di ambienti unici, consistenti e suggestivi. Lontani dalla magnificenza dei templi lambiti dal sole e dalla vegetazione, ritroviamo qui una bellezza cupa, pressoché gotica, fatta di segreti sussurrati e antichità sepolte. È un contesto dal quale ci si lascia facilmente stregare, che rende l’esplorazione dei cunicoli un viaggio sensoriale prima ancora che ludico.

La recensione si basa sulla versione per Xbox Series X, dove il gioco gira in maniera stabile e fluida a circa 1800p e 60 FPS anche nelle scene più concitate, con qualche incertezza da segnalare soltanto negli intermezzi che non è stata limata dall’originale, ennesima testimonianza della bontà del motore proprietario id Tech. Ho avuto modo di testare anche la versione per PC, che si conferma impeccabile con le impostazioni grafiche al massimo, garantendo un’esperienza visiva di altissimo livello posto di avere una scheda grafica con sufficiente VRAM. Il comparto audio non è da meno: il rombo delle armi, il sibilo della frusta e la colonna sonora che si adatta alle circostanze sono di eccellente qualità e contribuiscono a rendere le peripezie sotterranee del dottor Jones intense e coinvolgenti. Il ritorno di Troy Baker nel ruolo di Indiana Jones, e del bravissimo Alessandro D’Errico in italiano, è la dimostrazione concreta che l’investimento dal punto di vista audiovisivo è stato massiccio e giustificato.


In definitiva, il DLC per Indiana Jones e l’Antico Cerchio è un’espansione onesta, che rispetta l’identità dell’originale e si mantiene sulla medesima falsariga. Certo, non raggiunge particolari vette in termini di opulenza scenografica o complessità degli enigmi, ma riesce a costruire un’avventura secondaria robusta e ricca di atmosfera. L’approfondimento della storia dell’Ordine dei Nephilim è un ottimo punto di partenza per futuri sviluppi e il gameplay, pur con qualche piccolo difetto, è sempre divertente e ben congegnato, muovendosi tra ombre e luci, tra vecchie glorie e nuove intuizioni, e ricordandoci ancora una volta perché amiamo così tanto questo franchise. Se avete apprezzato la reinterpretazione digitale dell’archeologo più famoso del grande schermo ad opera di MachineGames, si tratta di un acquisto obbligato che vi regalerà una manciata d’ore supplementari di puro divertimento e nostalgia. Resta un po’ di dispiacere legato alla quantità e alla qualità dei contenuti,  che avrebbero potuto osare qualcosa di più, ma la sensazione di tornare a far parte del mondo di Indy, con tutti i suoi misteri e le meraviglie che racchiude, non ha prezzo.


 

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.