NBA 2K26 Recensione: la miglior difesa è l’attacco?

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Con gli Europei di Basket in pieno corso di svolgimento, non c’è momento migliore per iniziare a muovere i primi passi con NBA 2K26. Il nuovo capitolo dell’ormai ultra ventennale saga cestistica, targata 2K e Visual Concepts, è arrivato sul mercato con un grosso carico di aspettative. Gli sviluppatori hanno promesso tante novità, soprattutto sul piano del gameplay, e sin dalle primissime sessioni di gioco si sono fatte sentire chiaramente, pad alla mano. NBA 2K26 è un titolo conservativo, ma mai rinunciatario. Il team di sviluppo parte dalle solide basi degli ultimi capitoli, ma perfeziona non poco tutta la struttura di gioco. A fare la voce grossa sono le animazioni, capaci di evolvere non poco l’esperienza di gioco, soprattutto in alcuni frangenti di gioco. Se la fase difensiva è stata impreziosita – e non poco – con il capitolo dell’anno scorso, quest’anno, a ricevere le maggiori attenzioni è l’attacco.

Grazie alle nuove animazioni e alla “nuova” fisica dei giocatori, 2K26 si presenta alla palla a due della nuova stagione videoludica più in forma che mai. Fluidità e armonia sono le chiavi di lettura principali, e sotto canestro e nelle conclusioni in post basso si ha – finalmente – un controllo quasi totale del giocatore. Insomma: ogni anno gli sviluppatori riescono a superarsi a rendere il titolo sempre più completo e totale, e mai come quest’anno – lato gameplay – il livello raggiunto è davvero impressionante. A questo, però, si aggiunge un’offerta ludica ormai troppo stagnante e con pochi guizzi innovativi. MyTeam, salvo qualche aggiunta, rimane sempre la stessa modalità, così come tutte quelle offline che, ormai, hanno veramente poco senso di esistere, in queste condizioni. MyCareer è un po’ più interessante degli anni scorsi, ma rimane comunque un’esperienza di gioco per pochi, che può stufare velocemente. NBA 2K26, dunque, è una partita dal punteggio tiratissimo: come finirà? Scopriamolo insieme, con la nostra recensione!

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L’inizio di NBA 2K26 è spettacolare!

NBA 2K26: un gioco (quasi) per tutti

Prima di immergerci nei meandri di una disamina mai come quest’anno necessariamente minuziosa, specialmente in alcuni aspetti, vogliamo subito scoprire le carte, e anticiparvi quello che è l’aspetto – a nostro modo di vedere – più problematico della produzione: le modalità di gioco. Sia chiaro, sul piano numerico siamo di fronte alla solita quantità e varietà di opzioni, e non si segnalano sparizioni illustri o gravi mancanze, anzi. Il problema risiede nella qualità, specialmente in alcuni casi specifici e alcuni fattori hanno un impatto anche importante sull’economia del gioco, soprattutto considerando il valore storico e culturale che risiede nella filosofia della serie. O, almeno, risiedeva.

Parliamoci chiaro: la serie NBA 2K ha – praticamente – definitivamente mollato i giocatori “vecchio stile”, quelli che, per capirci, hanno vissuto anni diversi, sia per la pallacanestro sia per la serie. E, sotto questo aspetto, NBA 2K26 lo chiarisce in maniera spietata, senza mezzi termini. L’ultimo capitolo della serie sta facendo un po’ quel che ha fatto – con le dovutissime proporzioni – KONAMI con eFootball, il fu PES, in maniera più lenta e meno drastica, certo, ma il senso è tristemente il medesimo. NBA 2K26 ha chiarito ancora una volta una cosa: le modalità offline hanno perso quasi del tutto il senso di esistere, e il MyGM, una parte chiave dell’esperienza di gioco della serie fino a qualche anno fa, ne è l’esempio perfetto.

Anno dopo anno, infatti, gli sviluppatori hanno manifestato la volontà di volersi concentrare in maniera sempre più evidente sulle “nuove” modalità, tralasciando e mettendo ormai quasi definitivamente all’angolo quello che è stato lo zoccolo duro della serie fino a qualche anno fa. Con NBA 2K26 l’abbiamo percepito in maniera evidente, sin dal lancio. Gli sviluppatori hanno parlato veramente pochissimo del MyGM e di tutto quel blocco dell’offerta ludica, e il motivo è molto semplice. Tralasciando qualche piccola possibilità in più in termini di opzioni, NBA 2K26 non innova in alcun modo quella parte del gioco, rimandando – per l’ennesimo anno – l’appuntamento con un’operazione “svecchiata” a dir poco necessaria, ma su cui iniziamo ad essere veramente molto scettici. Lo stesso discorso si può applicare – più o meno – a tutte le modalità “classiche”, offline e online, che risultano sempre e comunque bloccate nel tempo, con elementi di ristoro praticamente assenti e che, onestamente, non invogliano minimamente il giocatore all’approccio.

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Il menù di NBA 2k26 ha subito un bel restyling

Il ProPlay per i Pro Player

Del resto, l’avevamo capito ed era anche stato detto più o meno chiaramente in fase di presentazione: NBA 2K26 è stato pensato per espandere e perfezionare, prima di ogni altra cosa, l’aspetto ludico della produzione – sempre più curato e realistico – portandolo su livelli a tratti impensabili. La missione, in tal senso, è a dir poco riuscita, per quanto rimangono alcuni fattori che ci fanno storcere il naso, specialmente se contestualizzate ad alcune situazioni specifiche. Ma ne parliamo con calma. Se lo scorso anno gli sforzi principali si sono concentrati particolarmente sulla gestione difensiva, quest’anno il team si è focalizzata in particolar modo sul ball handling, su alcuni aspetti della fase offensiva e, in generale, sulla modellazione di un sistema di “movimento” sempre più realistico, profondo, mai casuale. In una sola parola: appagante.

L’infornata clamorosa di animazioni, in tal senso, ha giocato un ruolo a dir poco chiave. E lo si capisce subito, anche dopo qualche palleggio virtuale. Con questa edizione, la serie NBA 2K ha raggiunto un livello di credibilità e profondità ludica impressionante, soprattutto se si considera il grandissimo sforzo compiuto nel creare un ecosistema di gioco a metà tra la potenza creativa e la fedeltà al basket reale. Ogni giocatore è ricreato alla perfezione: il sistema ProPlay riesce a fare la voce grossissima, un po’ come i bei tempi di Ben Wallace che spadroneggiava sotto canestro e a rimbalzo, confezionando un prodotto allo stesso tempo più realistico e “pignolo” ma allo stesso tempo più aperto al pubblico e meno “pesante”. NBA 2K26 porta con sé una nuova vita per i giocatori virtuali, che si muovono sul campo con una fluidità senza precedenti.

La pallacanestro è uno sport per tutti!!!

Ancora una volta, a risultare fondamentali, sono le animazioni. L’ampliamento del parco movimenti dei giocatori è impressionante e rende ogni singolo frame più autentico, con movimenti sempre più credibili e fluidi. Con NBA 2K26 si passa dal palleggio al tiro con una naturalezza clamorosa, ci si muove spalle a canestro con una leggiadria degna di un Tim Duncan in versione Prime, e ci si attacca – per poi volare subito in contropiede – alle caviglie avversarie con una velocità impressionante, ricordandoci – in alcuni momenti – perché Kawhi Leonard è uno dei più grandi rimpianti dell’era NBA attuale. Insomma, l’avrete capito: ogni cosa è stata rifinita e perfezionata, e in particolar modo la fase offensiva in post e in penetrazione ha giovato dei vantaggi più evidenti. Ora, i giocatori possono gestire il tempismo di tiro anche buttandosi dentro, cosa che nei primi momenti può gettare un po’ di sconforto – perché la curva di apprendimento rimane ripida – ma che può, alla lunga, dare grandi soddisfazioni.

Il rovescio della medaglia, è però sempre il solito. Anche stavolta, si ha la sensazione che masterando al meglio i vari tempismi di tiro si può rompere il gioco, tant’è che gli sviluppatori sembrano essere già al lavoro su alcune patch che riducono l’efficacia dei tiri con il timing “verde”, ossia con il rilascio perfetto, che in alcuni casi risultano troppo efficaci. È proprio questo il grande problema: troppa efficacia può creare situazioni a dir poco surreali, specialmente nelle partite online, in cui si abusa sempre e comunque fino allo stremo di queste meccaniche di gioco. È un grosso peccato, perché negli anni si era già abbondantemente capito che questo sistema non funziona e ci saremmo aspettati qualche piccolo cambiamento, in tal senso, soprattutto considerando le nuove possibilità “tecniche” e una gestione anche dell’intelligenza artificiale più evoluta, che rende i giocatori sul campo più attivi e credibili nei movimenti, tanto in difesa quanto in attacco.

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Il gameplay ha raggiunti livelli stratosferici

MyTeam: largo a Paige Bueckers (e non solo)

Nelle intenzioni, e anche a conti fatti, il core principale dell’esperienza di NBA 2K26 rimane il MyTeam, quest’anno non ricchissimo di novità ma comunque ricco di aggiunte molto interessanti. La più importante, senza dubbio, è quella relativa all’ingresso tra le “carte” della WNBA. Seguendo la falsariga di FC, infatti, anche NBA 2K si apre sempre di più al basket femminile, e da quest’anno è possibile creare un team misto con i giocatori e, appunto, le giocatrici preferite in totale libertà. Questa introduzione, però, ha degli aspetti indubbiamente positivi e altri, per forza di cose, menu entusiasmanti. Come per FC, in primis, è evidente che le atlete della WNBA sono meno conosciute, quindi diventa più complesso esaltarsi nel trovare una carta o, più semplicemente, puntare a mettere in campo una giocatrice piuttosto che il Curry o il Durant di turno.

A questo, poi, si aggiunge l’ovvio gap fisico che intercorre tra le due tipologie di atleti, un po’ coma accade per FC, che risulta per forze di cose più evidente in alcune situazioni. Nel calcistico di Electronic Arts, ad esempio, questo aspetto si rende più evidente con i difensori centrali, che risultano meno efficaci per via della prestanza fisica rispetto alla controparte maschile. In NBA, ovviamente, lo stesso effetto si ha quando si analizzano i “lunghi”, ossia i giocatori che giocano sotto canestro. Non è così marcato come in FC, e dobbiamo ammettere che alcune atlete ai sono anche distinte più del previsto, ma è chiaro che, considerando anche tutte le carte promo in continuo arrivo sui server, alla lunga questo aspetto diventerà evidente e potenzialmente molto limitante.

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La schermata dei play-off!

Nel complesso, però, è una valida introduzione e rende la creazione dei team più variegata. Peccato, però, che per il resto è rimasto tutto fondamentalmente invariato, compreso la gestione – a tratti oscena – delle microtransazioni. Quest’anno, e forse anche più dell’anno scorso, si avverte ancora più chiaramente quanto la valuta reale sia un fattore determinante. Con tutte le carte disponibili, compresa la nuova – sterminata – batteria di atlete della WNBA, tra stelle attuali e leggende del passato, poter sbustare rende – ovviamente – tutto più semplice, e ne abbiamo già avuto più di un assaggio sul campo. Con i soldi “veri” è possibile anche comprare i salti da livello a livello, tanto per dirne una, del pass sbloccando così, sin da subito, tutte le ricompense, compresi i giocatori di rarità elevata (diamante rosa, ad esempio) sin da subito.

Non dobbiamo certamente spiegare quanto tutto questo possa essere frustrante per un giocatore medio, e anno dopo anno sembra questo aspetto sia sempre più evidente. Una novità interessante è la modalità All Star Team Up, che permette di giocare 5vs5 con giocatori online, selezionando il proprio giocatore preferito dalla propria collezione. Non è nulla di rivoluzionario, certo, ma è un ottimo modo per aiutare a “farmare” sfide online anche per i giocatori meno talentosi. Un altro punto dolente è la gestione dell’interfaccia e degli obiettivi. Con NBA 2K26 permane un caos quasi incomprensibile, con obiettivi difficili da seguire a da scovare, incastonati in un blocco indecifrabile e visivamente superato.

La WNBA è entrata con grande prepotenza nell’ecosistema di gioco

MyCareer: una buona giocata, ma con i soliti errori tattici

Discorso molto simile con la MyCareer, l’altra modalità – ormai – cardine dell’offerta ludica della serie. Quest’anno, gli sviluppatori hanno puntato ancora su MP, sulla sua storia, ma che però ha un taglio nettamente diverso, almeno nella scrittura e nelle intenzioni, rispetto a quanto visto negli ultimi anni. Con NBA 2K26, infatti, il viaggio del nostro alter ego non parte in pompa magna, ma dal basso, dalla strada e – addirittura – dalla necessità di farsi spazio e minuti sui campi dei college e persino dei campionati europei. Questo aspetto, sulla carta, offre un potenziale davvero importante e una longevità seriamente entusiasmante, ma a conti fatti non riesce a svecchiare un’idea ludica ormai troppo ripetitiva e povera di idee veramente innovative.

MyCareer è, infatti, ancora una volta accompagnata da una scrittura e una narrazione di fondo banali, ricche di cliché e momenti ai limiti della sopportabilità, con i personaggi coinvolti – sia quelli reali sia quelli creati ad hoc per la storia – che parlano, si muovono e, in generale, hanno atteggiamenti troppo sdoganati, troppo esagerati e quasi volutamente imbrigliati in stereotipi ormai superati e fastidiosi. Il basket lontano dalla NBA viene raccontato con grande superficialità, ma in generale si sente proprio come gli sviluppatori vogliano – ancora una volta – spingere la storia a portare il giocatore a correre a testa bassa verso la NBA, dando, in realtà, ben poco spazio a quello che c’è intorno.

Alcune “arene” sono davvero spettacolari!

Arrivare in NBA e dominare, poi, è sempre legato a due scuole di pensiero: lo shop sfegatato o il grinding ossessivo. Per quanto, tra ricompense, obiettivi e missioni varie, come sempre disponibili in grandissima quantità, livellare è sempre un po’ più semplice e alla portata di tutti, la formula della modalità MyCareer rimane fondamentalmente la stessa, con risultati stucchevoli sui giocatori di vecchia data che, magari, si sarebbero aspettati qualche piccolo passo avanti in una fetta di gioco divenuta – ormai – troppo uguale a se stessa anno dopo anno. Il team di 2K, comunque, ha saputo limare molte delle spigolosità della modalità, rendendo ad esempio la Città un attimino più fluida e meno intasata in alcuni passaggi o creando un sistema di evoluzione più chiaro ma, sinceramente, non basta.

MyCareer era risultata un’idea geniale e interessante, nelle prime annate, ma ha lentamente e progressivamente perso un po’ la mano, diventando sempre più scontata e sempre meno intrigante. Quest’anno, con l’aggiunta degli archetipi “ad hoc” può dare una maggiore spinta per provare nuove build, magari imitando un Curry o un Leonard, o magari un Doncic (non nominiamolo dopo il bel regalo fatto all’Italia durante gli Europei), ma poi, dopo poche ore, siamo convinti che perderebbe comunque velocemente mordente, proprio a causa della formula generale che rimane sempre la stessa e non riesce ad offrire qualcosa di veramente innovativo. Magari, per questo, dovremmo attendere la next-gen?

Tecnicamente siamo sempre su livelli altissimi

La bellezza del basket

Ammettiamolo: fare di meglio, sul piano tecnico, allo stato attuale è veramente complesso. Sia considerando il livello di fotorealismo raggiunto in questi anni, sia – e soprattutto – le possibilità attuali del motore grafico utilizzato, nonché la potenza delle console, che rimangano il veicolo di riferimento per lo sviluppo, aspettarsi dei grossi stravolgimenti è veramente complicato. Tuttavia, come accade un po’ ogni anno, i ragazzi di Visual Concepts e 2K hanno saputo lavorare al meglio con il materiale a disposizione, andando ad aggiungere tante piccole migliorie che, nel complesso, hanno avuto un impatto notevole sull’esperienza di gioco.

NBA 2K26 si presenta in splendida forma, specialmente per quanto riguarda la gestione delle luci, dell’illuminazione e in generale di tutti gli shader che vanno a modellare gli oggetti su schermo, dai meno ai più importanti. Gli sviluppatori hanno – praticamente -rifatto in toto tutto l’impianto che gestisce luci e riflessi, con risultati evidenti sulla qualità dell’immagine già a un primissimo impatto. Ciò, chiaramente, risulta molto evidente prendendo in esame tutta la parte relativa ai riflessi sul parquet, che risultano praticamente perfetti, sia per coerenza sia per qualità visiva.

Anche proprio il design delle arene, sia quelle più famose sia quelle generiche, risulta più armonioso e visivamente più accattivante. L’ottimo lavoro sugli shader ha un impatto evidente anche sul corpo dei giocatori. La gestione dei riflessi influisce sul corpo degli atleti, partendo dalla qualità e la veridicità degli elementi come le stoffe delle divise e degli oggetti di corredo, ma anche – ad esempio – il sudore sui corpi, sono sempre più realistici e donano al quadro generale un livello di fotorealismo a volte impressionante, spiazzante.

Il lavoro svolto sull’ottimizzazione è davvero encomiabile. Su PS5 “liscia” il gioco è sempre fluidissimo, e anche quei fastidiosi lag nelle modalità online sono diventati uno spiacevole ricordo. Sul piano dei numeri, parliamo, chiaramente, di una risoluzione di riferimento di 4K, con 60fps granitici, in tutte le modalità. Le nuove animazioni, come abbiamo già detto, sono veramente tante e ampliano davvero tanto il valore produttivo del titolo, anche sul piano visivo. Sotto questo punto di vista, abbiamo apprezzato davvero tanto anche la qualità della moderazione dei corpi, sempre più credibili e realistici, anche sul piano delle proporzioni e dall’armonia visiva in generale.


NBA 2K26 segna un importante passo avanti per la serie, ma in modo conservativo. L’ultimo capitolo della serie targata Visual Concepts e 2K eredita e migliora praticamente ogni aspetto del capitolo precedente, ma non riesce a limarne alcuni dei difetti più evidenti e ingombranti. Ancora una volta, siamo di fronte a un prodotto dalla “doppia faccia”: un gameplay clamoroso, praticamente perfetto, che però fa da collante ad un’offerta ludica zoppicante e non sempre stimolante. MyTeam e MyCareer rimangono schiave delle microtransazioni, mentre le modalità offline, MyGM in primis, continuano a ricevere un trattamento molto superficiale, e questo è un vero peccato. Chi ha passato centinaia di ore con la serie NBA 2K a cavallo tra il 2005 e il 2015 può certamente comprendere il nostro malcontento.