Quartet Recensione: il mondo infine avrà ciò che merita

Quartet

Tornare a casa dopo un viaggio, più o meno lungo che sia, infonde sempre un calore che avvolge l’anima e fa svanire le preoccupazioni del mondo moderno. Per molti, me compresa, questo ritorno spesso non è fisico, ma prende la forma di uno sguardo alle mie spalle, un tuffo nei luminosi trascorsi dei JRPG a turni. C’è qualcosa di magico nel rigore strategico di una battaglia a turni, un’eleganza che la frenesia degli action RPG non potrà mai eguagliare poiché legata alla sensazione di prendersi il proprio tempo, di soppesare ogni mossa, di assaporare una storia che si dipana con pazienza, come un arazzo tessuto con cura. Ho cercato questo tepore nelle giornate frenetiche e durante le notti insonni, quando l’ansia si faceva sentire, e ho trovato in Quartet un rifugio, una coperta confortevole che mi ha avvolta riportandomi al periodo in cui i dischetti per home computer e le cartucce per le console a 16-bit erano il mio unico passatempo. E, anche se lontano dalla perfezione, è riuscito in un intento che pochi altri suoi simili possono, o vogliono, raggiungere: mi ha donato un sorriso.

Quartet
Il comparto stilistico di Quartet è un sentito omaggio agli anni d’oro dei JRPG

La sinfonia narrativa di Quartet

La vita di tutti i giorni, nella sua semplicità, a volte nasconde più forza drammatica di qualsiasi epopea fantastica, una filosofia abbracciata in toto da Quartet che si apre in maniera insolita, con una scelta ben precisa. Non tra il bene e il male, ma tra quattro esistenze comuni che stanno per incontrare lo straordinario. Facciamo dunque la conoscenza di Ben, un cuoco che scopre la magia per caso, spinto dalla necessità di pagare l’affitto; Nikolai, un sergente dell’esercito in un territorio in guerra che si trova a mettere in discussione gli ordini ricevuti; Alexandra, una giovane che gestisce un negozio e lotta per la salute della madre; e Cordelia, una brillante studentessa di magia, la cui ambizione si scontra con il peso del passato che le appartiene. Ognuno di questi percorsi narrativi è un racconto a sé stante, dotato di un tono e uno stile unici. Ben ci porta in un’avventura spensierata e affascinante, ricca di dialoghi divertenti che non mancheranno di strapparvi più di una risata, mentre Cordelia ci conduce in un’avventura ai confini del mondo, dove deve fare i conti con un tradimento inaspettato. È una formula sicuramente apocrifa ma non per questo meno audace, che rompe la convenzione del protagonista unico al pari di altri classici come SaGa Frontier, Octopath Traveler o Wild Arms, e mi ha fatto sentire come se stessi leggendo quattro libri diversi, collegati solo da un filo invisibile.

La navigazione a bordo dell’aeronave in “finto” Mode 7 è un richiamo ai tempi in cui il 3D era una novità assoluta e incredibile

Dopo aver vissuto queste quattro catene di eventi, ciascuna della durata di un paio d’ore, il gioco cambia registro. Le trame individuali si fondono in un’unica, grande narrazione, e i protagonisti convergono in una compagnia che, senza addentrarci troppo in zona spoiler, si rivela più numerosa del previsto. È a questo punto che Quartet mostra le sue reali intenzioni, trasformandosi da cronaca delle vicissitudini di quattro individui nel racconto di un’intera compagnia che si unisce per uno scopo comune. Un passaggio quasi dovuto che, pur rendendo il gioco più lineare, non ne sacrifica il ritmo, che rimane sempre elevato. I dialoghi tra i personaggi, sebbene a volte non così frequenti come avrei sperato, sono brillanti e pieni di carattere. Le loro interazioni, le piccole scaramucce e le amicizie o i contrasti che vanno a formarsi rappresentano la spina dorsale della storia, il perno sul quale la scrittura, che definirei il vero fiore all’occhiello di Quartet, sostiene tutto il proprio peso, arricchendo il mondo di dettagli e sfumature che raramente si trovano nei JRPG moderni. Le quest secondarie che si sbloccano con il prosieguo non sono semplici riempitivi, ma valorizzano le traversie dei protagonisti ed elargiscono ricompense narrative e oggetti che possono fare la differenza negli scontri più impegnativi.

I combattimenti a turni sono una porzione fondamentale del gioco

L’orchestra si riunisce

Il combat system di Quartet è un’ode al design tradizionale, che farà sentire subito a casa gli estimatori di lunga data. È un sistema a turni standard, ma non per questo banale, poiché ogni eroe possiede una dotazione di abilità e incantesimi singolari, e la vittoria spesso dipende dalla capacità di sfruttare le debolezze elementali dei nemici. La vera ingegnosità, però, risiede nella gestione del gruppo: benché lo schieramento da battaglia sia limitato a un massimo di quattro membri attivi, abbiamo la facoltà di scambiare i personaggi in prima linea con i riservisti in qualsiasi momento e senza penalità. Tale meccanica, che incoraggia a sperimentare e a non rimanere attaccati a una sola combinazione, è un tocco strategico apprezzabile, in particolar modo nel corso dei duelli con i boss. A differenza di molti RPG che mi hanno costretto a grindare per ore, Quartet ha un approccio più “onesto”: gli incontri con i mostri sono visibili sulla mappa e si limitano a pochi punti specifici, evitando il fastidio dei combattimenti casuali e garantendo un bilanciamento (quasi) sempre ottimale ma comunque ponderato, un criterio che ho apprezzato enormemente.

Sebbene non sia un prodigio tecnico, e alcuni potrebbero trovare i suoi scenari fin troppo semplicistici, il design estetico di Quartet si appropria di un fascino e di un’autenticità tutti suoi, pur rifacendosi anche in questo caso a grandi titoli del passato quali Earthbound e i primi Final Fantasy dall’I al VI. Ci sono diversi tocchi di classe, come gli sfondi animati durante le battaglie sui treni, che dimostrano tutta la cura riversata dagli sviluppatori nel comparto artistico. La colonna sonora, poi, è un’autentica gioia per le orecchie: all’inizio potrebbe sembrare discreta ma, crescendo assieme alla trama, rivela pian piano una complessità notevole. Ogni luogo sfoggia una melodia unica che ne riflette cultura e atmosfera, dal jazz di New Orleans alle sonorità balcaniche, e costruisce un paesaggio sonoro eclettico e gradevole. È una raccolta di tracce che ti accompagnano per l’intero viaggio, insinuandosi nella mente senza lasciarti nemmeno quando hai spento lo schermo, proprio come accadeva con i beneamati classici del genere.

Quartet: melodie dal passato

Dopo tante belle parole spese per questa nuova opera di Something Classic Games, non posso esimermi dal parlare anche dei difetti, dato che alcuni di essi sono difficili da ignorare. La mancanza di un salvataggio automatico è una svista che mi ha causato qualche attimo di frustrazione, mentre i veterani più accaniti potrebbero risentire dell’impossibilità di impostare un livello di difficoltà più elevato. Tuttavia, si tratta di dettagli davvero da poco se confrontati con quanto il gioco riesce a offrire. La sua capacità di raccontare una storia avvincente, di creare personaggi di cui ti innamori e di portare sul tavolo un’esperienza coinvolgente e bilanciata è più che sufficiente per assolvere qualche piccola imperfezione, in particolare se consideriamo che sono pochi gli analoghi contemporanei, per quanto graziati da budget decisamente superiori, capaci di fare lo stesso.


Quartet è un tributo a buona parte dei JRPG che l’hanno preceduto, e che sono parte integrante di un’epoca celebre e rinomata per la categoria. Non introduce meccaniche rivoluzionarie, ma perfeziona quelle che tutti gli appassionati conoscono bene affiancando loro una scrittura brillante, personaggi indimenticabili e una giocabilità ben strutturata. Il lavoro degli sviluppatori statunitensi è un nido nostalgico accogliente e confortevole, che ogni appassionato di RPG dovrebbe concedersi. La sua stessa essenza serve a ricordarci che, a volte, la grandezza non è insita nella ricerca dell’innovazione a tutti i costi, ma nel fare ciò che ami nel miglior modo possibile.