Arcade Archives 2 Mach Breakers Recensione: io corro per vincere!

Mach Breakers

Nel crepuscolo scintillante degli anni ’90, l’era delle sale giochi stava raggiungendo il suo apice, un periodo in cui i neon e il suono metallico delle monete scandivano il ritmo di una rivoluzione ludica. Mentre i picchiaduro a incontri monopolizzavano le attenzioni, un sottogenere apparentemente meno aggressivo, ma non meno impegnativo, continuava a sfolgorare: i giochi sportivi multievento. Benché la categoria fosse dominata da riproduzioni più o meno fedeli delle varie discipline olimpiche, inaugurate dall’insigne Track & Field di Konami del 1983, fu Namco a compiere un’irruzione maestosa e repentina, un’anomalia di creatività e stile che avrebbe lasciato un segno indelebile. Sto parlando di Numan Athletics e del suo glorioso successore, Mach Breakers: Numan Athletics 2, due titoli che non si limitavano a riprodurre le solite gare di atletica per joystick e pulsanti, ma proponevano una celebrazione esagerata di forza e velocità, uno slancio in un mondo dove gli atleti erano, letteralmente, dei superuomini, i Numan, capaci di imprese che sfidavano le leggi della fisica. Il loro spirito era quello di un’epoca che non aveva paura di essere sopra le righe, di mescolare lo sport con il puro spettacolo arcade, confezionando una produzione che era tanto una prova di riflessi quanto un’esplosione di pura gioia visiva. Con l’esordio del secondo episodio sulle piattaforme casalinghe, che ne segna anche la fuoriuscita dal mercato nipponico, abbiamo la possibilità di riscoprire non solo una piccola perla del passato, ma anche un pezzo di storia che, per troppi anni, è rimasto confinato all’ombra del dimenticatoio.

Le citazioni agli altri grandi classici di Namco si sprecano tra i fondali delle varie prove

Arcade Archives 2 Mach Breakers: signori, alla linea di partenza

Il primo capitolo, Numan Athletics, fece la sua comparsa nelle sale giochi nel 1993, un vero e proprio raggio di sole in un genere che, nonostante i tentativi sporadici, non aveva goduto negli anni di grandi variazioni sul tema. Il gioco, che girava sul robusto hardware Namco NA-2, si impose subito per l’estetica audace e per il concept singolare: dimenticatevi i capienti stadi olimpici e le piste in terra battuta, qui l’atletica leggera si trasformava in una serie di imprese bizzarre e sovrumane. C’erano quattro atleti a contendersi la gloria: l’affascinante Sharon L’Halles dalla Francia, il grintoso Harry Boffin dagli Stati Uniti, il saggio Masaemon Nakamura dal Giappone e il possente Bongo Tembo dal Kenya. Ognuno di loro era una caricatura ricca di personalità, che si esprimeva attraverso animazioni esagerate e frasi memorabili al fulmicotone. Il gioco proponeva otto eventi di forza e velocità che, pur richiamando i classici del genere, li reiventavano con un tocco di consapevole follia: i 100 metri piani diventavano un Turbo Dash, dove bisognava superare un’auto da corsa, mentre il salto triplo si traduceva nel Niagara Jump, un balzo che richiedeva un tempismo perfetto per non finire tra le rapide. Ma è con eventi come Vs. Express, nel quale dovevamo arrestare un treno in corsa a mani nude, e Tower Topper, un’arrampicata tra i grattacieli a colpi di salti puntuali sui muri, che Numan Athletics mostrava il suo genio. Le meccaniche erano intuitive, basate su un layout a tre pulsanti, ma la curva di apprendimento era gratificante, con un’enfasi sula tempestività e sulla precisione. A completare il quadro c’erano le musiche di Nobuoshi Sano, un breakbeat incalzante che rimaneva in testa per ore, e una grafica vivace e colorata, emblema dello stile arcade dei primi anni ’90. Numan Athletics era un gioco che non solo divertiva, ma trasmetteva un senso di gioia pura, una vera e propria competizione per superatleti con cui valeva la pena cimentarsi.

Mach Breakers, lanciato nel 1995 sulla ben più potente NB-2, cercò di sviluppare ulteriormente il concept alla base di Numan Athletics senza limitarsi a poche aggiunte estetiche, un “more of the same” nel senso più positivo del termine. Il gioco riprese il testimone dal suo predecessore per trasporlo a un livello di spettacolarità ancora più elevato. L’elenco degli atleti venne ampliato, includendo sette nuovi volti da ogni angolo del globo: il carismatico Johnny Sanders (USA), la determinata Makoto Kotobuki (Giappone), il fulmineo Michael Fletcher (Giamaica), l’elegante Sophia Rayleigh (Inghilterra), il preciso Karl Weiseman (Germania), il misterioso Masala Tikka Masala (India) e l’imponente Long Rui Hu’An (Cina). L’introduzione di un roster così variegato permetteva ai giocatori una scelta più vasta, un tocco di personalizzazione assente nel primo capitolo, anche se le differenze nelle loro statistiche erano minime e si manifestavano soprattutto in sottili variazioni di animazioni e tempismo. La struttura stessa del gioco subì un’importante revisione: gli eventi venivano ora affrontati in giornate, con una certa flessibilità nella scelta del percorso da seguire. Se un giocatore si trovava in difficoltà in una gara, poteva persino saltarla e passare alla successiva. Questo approccio rendeva il titolo più accessibile e meno punitivo, pur mantenendo l’intrinseco spirito di sfida che caratterizzava il genere. Mach Breakers si presentava come una manifestazione grandiosa ma, al contempo più perspicace in termini concettuali, dimostrando una maturità nel design che solo un team che aveva già affinato la formula poteva raggiungere.

Trascinarsi dietro un kaiju non è mai stato tanto divertente!

La speranza nei cuori, e le ali ai piedi

Le meccaniche di Mach Breakers riprendono il collaudato schema a tre pulsanti, ma ogni concorso è stato riprogettato per essere più dinamico e spettacolare. Molti dei vecchi eventi vennero rivisitati in versioni ancora più estreme. Un esempio lampante è Bomb’s Away, una variante di Vs. Express in cui non si deve più fermare un treno ma un gigantesco missile, con l’aggiunta di una meccanica di accuratezza per reindirizzare la spinta. Allo stesso modo, il Non-Stop Rock Chop diventa Block Buster, una prova di forza in cui è necessario abbattere una torre segmentata a suon di pugni. Anche le nuove gare, tuttavia, denotano un estro e un’ingegnosità davvero ragguardevoli. Monster Drag è uno degli esempi più riusciti, una straordinaria prova di forza ritmica in cui il giocatore deve trascinare un enorme kaiju incatenato lungo un percorso urbano, con la possibilità di ottenere bonus di velocità se si riesce a colpire il “punto giusto” a ogni pressione. L’evento finale, Ground Spike, è un’altra dimostrazione di pura follia “numanica”, dove l’atleta, dopo essersi lanciato da una mongolfiera, deve sferrare un pugno potentissimo al suolo, e solo un tempismo perfetto può garantire il punteggio massimo. Non tutte le sperimentazioni sono però altrettanto valide: Beast Hole, una variante dell’Interceptor del primo gioco, diventa frustrante dopo poco a causa delle regole più severe e della difficoltà aumentata. Per fortuna, la maggior parte dei nuovi eventi, come il sottomarino Deep Dive o il folle Hyper Glider, nel quale si plana su una pista per montagne russe, erano brillanti e contribuiscono a rendere Mach Breakers un’esperienza unica e indimenticabile, capace di catturare l’immaginazione e di spingere il giocatore a dare il massimo per sbloccare tutti i segreti e le animazioni nascoste, anche quelle relative ai tentativi falliti.

Dal punto di vista estetico, Mach Breakers rappresenta un rimarchevole passo in avanti rispetto al suo predecessore. L’hardware NB-2 permetteva uno stile visivo più raffinato e dettagliato, con una palette di colori più profonda e animazioni dei personaggi più fluide. L’estetica, a differenza dello stile schiettamente anni ’90 dell’antesignano, ha un sapore prossimo a quello dei giochi per console casalinghe, con fondali più elaborati e una maggiore ricchezza di dettagli, dalle pubblicità di Namco sullo sfondo di Hyper Glider alle creature marine nascoste in Deep Dive. L’impatto visivo è sbalorditivo, e ogni singola disciplina trasuda un’autentica sensazione di impresa supereroistica, come nella sequenza di Bomb’s Away che si sposta su una geniale prospettiva in terza persona del missile in volo. Anche l’audio contribuisce a creare parecchia atmosfera: per quanto la musica non possieda la medesima intensità del primo capitolo, le tracce presenti sono ugualmente orecchiabili e appropriate per l’azione mostrata a schermo. Gli effetti sonori, in particolare, sono eccezionali, con il suono metallico dei pugni che vanno a segno, le esplosioni che si scatenano tutt’intorno e il ruggito dei mostri, aggiungendo un peso e un impatto quasi palpabile a ogni esibizione. Le voci dei nuovi atleti, sebbene non così iconiche come lo “STAY WITH ME, OK?” di Sharon, servono a caratterizzare e distinguere ulteriormente l’intero cast. In sintesi, Mach Breakers non era soltanto un naturale perfezionamento del gameplay di Numan Athletics, ma anche un trionfo visivo e sonoro che dimostrava quanto il genere si fosse evoluto in pochi anni.

Mach Breakers
Anche i fallimenti sono un’occasione per ammirare dei simpatici siparietti animati

Arcade Archives 2 Mach Breakers: è la tua occasione di rivincita!

Dopo decenni di quasi dimenticanza, interrotti solo da un’introvabile versione per cellulari giapponesi e un’edizione per Wii Virtual Console anch’essa limitata al solo mercato nipponico, la collana Arcade Archives di Hamster Corporation ha riportato Mach Breakers alla luce. Questa conversione, disponibile per console moderne come PlayStation 4 e Nintendo Switch, ma anche su PlayStation 5, Switch 2 e Xbox Series come parte della nuova linea ACA2, è un esempio di come un’emulazione possa essere non solo fedele, ma anche arricchita da opzioni moderne che ne esaltano la fruibilità, perfetto connubio tra meticoloso lavoro di conservazione e riproduzione pixel-perfect del gioco originale.

Tra le opzioni più apprezzate c’è la possibilità di utilizzare lo stick analogico per sostituire il frenetico button-mashing, un’alternativa che salva i pollici dei giocatori pur mantenendo lo spirito della sfida. I filtri grafici, che riproducono l’effetto dello schermo a tubo catodico, sono un tocco di classe per i nostalgici. Inoltre, la conversione include la possibilità di scegliere tra la ROM giapponese e quella tradotta in inglese, annullando completamente eventuali barriere linguistiche. Un’aggiunta significativa è il Time Attack, che spinge i giocatori a completare il gioco il più velocemente possibile, e la funzionalità di salvataggio dello stato, che permette di riprendere la partita in qualsiasi momento, un lusso che nelle sale giochi era impensabile. Sebbene la conversione non includa la pratica modalità Hi-Score del primo Arcade Archives: Numan Athletics, che consentiva di allenarsi su singoli eventi, la presenza dei salvataggi compensa ampiamente questa mancanza, regalando ai giocatori un escamotage per padroneggiare gli eventi più difficili senza ricominciare da capo ogni volta.


Mach Breakers: Numan Athletics 2, nella sua nuova incarnazione Arcade Archives, non è solo un semplice porting: è una riscoperta, una celebrazione di un’epoca in cui la creatività arcade raggiungeva vette insospettate. Il gioco è una delle vette più alte mai raggiunte dal genere, che ottimizza la formula del suo predecessore con una maggiore spettacolarità, un roster più ampio e un design degli eventi ancora più ispirato. La conversione di Hamster è come sempre impeccabile, grazie a un’emulazione fedele e ricca di funzionalità che si traduce nella versione definitiva di questo classico. Per gli appassionati di retrogaming e per chiunque desideri esplorare uno dei migliori titoli sportivi 2D mai creati, l’arrivo di Mach Breakers nella collana Arcade Archives è un’occasione da non perdere.


 

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.