Trails in the Sky 1st Chapter Recensione: i primi passi verso il cielo!

Trails in the sky

La genesi di The Legend of Heroes, rinomata serie di videogiochi di ruolo giapponesi, affonda le radici nel 1989 grazie all’operato di Nihon Falcom, con i primi due capitoli che si inserivano nella serie Dragon Slayer. Nel corso della sua evoluzione, il franchise ha abbracciato diverse ambientazioni e saghe, tra cui la celebre Gagharv Trilogy, ognuna delle quali era autonoma rispetto ai capitoli precedenti. Il punto di svolta, e oggetto della nostra analisi, è rappresentato da Trails in the Sky 1st Chapter: sebbene si collochi come sesto episodio della serie principale The Legend of Heroes, funge da vero e proprio atto di nascita per la sottoserie Trails (o Kiseki), inaugurando un universo narrativo completamente nuovo e coerente, distinto dalle narrazioni che lo avevano preceduto.

La serie dei Trails è organizzata come un grande mosaico narrativo in cui ogni arco esplora una diversa nazione del continente di Zemuria ma si collega e intreccia con le altre storie e saghe. Il primo arco è ambientato nel regno di Liberl e comprende i tre Trails in the Sky. A seguire viene l’arco di Crossbell, composto da Zero ed Azure, mentre l’arco di Erebonia, noto come Cold Steel, include quattro titoli principali.

Successivamente si sviluppa l’arco di Calvard con Daybreak e il suo seguito. Le vicende delle varie aree si svolgono spesso contemporaneamente e mostrano prospettive differenti degli stessi eventi, come nel caso dell’occupazione di Crossbell, raccontata sia nei giochi dedicati a quella regione sia nelle storie ambientate a Erebonia. Alcuni titoli fungono da crocevia, unendo i fili narrativi e preparando il terreno per archi successivi (Reverie) e un altro, di prossima uscita, farà da chiusura all’intera saga. Falcom ha costruito la saga come un vero e proprio romanzo corale, in cui culture, governi, religioni e intrighi politici all’interno della stessa grande mappa del mondo si intrecciano e si approfondiscono man mano che la storia procede.

Cerchiamo però di mettere le cose nella giusta prospettiva per capire perché, per tanti, questo remake è un piccolo miracolo. La Nihon Falcom (il cui nome, per curiosità, è ispirato proprio al Millennium Falcon di Guerre Stellari) è una storica software house giapponese cresciuta all’ombra dei giganti del settore e conta, secondo gli ultimi dati, poco più di sessanta dipendenti interni, un numero molto contenuto se confrontato con i quasi diecimila dipendenti di Konami , gli oltre 4.500 di Square Enix o i quasi quattromila di Capcom.

Nonostante le dimensioni ridotte, è riuscita a ritagliarsi una solida nicchia di mercato, contribuendo in modo significativo all’evoluzione dei giochi di ruolo. La serie Dragon Slayer, uno dei primi action-RPG giapponesi, ha posto le basi per titoli successivi come Ys, caratterizzati da combattimento in tempo reale e forte enfasi sull’avventura, e di contro si è evoluta verso il formato a turni, dando origine alla celebre saga The Legend of Heroes, di cui costituisce l’origine storica.

La Falcom ha sempre operato con budget e risorse limitati rispetto ai colossi del settore eppure ha saputo distinguersi per una qualità esemplare, soprattutto nella cura delle trame, nella coerenza dei mondi di gioco e nella raffinata costruzione del gameplay, incarnando quello che potrebbe essere definito uno studio AA ante litteram: priva dei mezzi industriali dei grandi nomi, ha comunque mirato a creare esperienze videoludiche di grande spessore e appeal internazionale, privilegiando innovazione, narrazione e profondità ludica rispetto alla mera scala produttiva.

Estelle in versione Sun Wukong.

Trails in the Sky 1st Chapter: Journey

La storia segue i due protagonisti, i fratelli Estelle e Joshua, figli del leggendario eroe di guerra Cassius Bright, intenti a seguire le orme paterne e a completare l’esame per diventare Bracer, un’organizzazione non governativa che si occupa di mantenere l’ordine, di aiutare la popolazione e di risolvere problemi di ogni genere.

Poco dopo la loro investitura, il padre Cassius parte per una missione segreta all’estero, ma l’aeronave sulla quale avrebbe dovuto viaggiare scompare in circostanze misteriose. I giovani eroi decidono di avventurarsi nel regno per guadagnare l’approvazione di tutte e cinque le sedi regionali della Gilda, requisito fondamentale per diventare Bracer Senior. Quello che inizia come un semplice viaggio di formazione si trasforma lentamente in un’indagine ad ampio respiro, aprendo le porte a una cospirazione che minaccia le fondamenta stesse del Regno di Liberl.

Il remake, intitolato Trails in the Sky 1st Chapter, rappresenta una trasformazione profonda e completa del gioco originale del 2004 sia a livello visivo, sia di gameplay, sia di narrazione, quest’ultima significativamente espansa. La grafica è stata completamente rimodellata in 3D con ambienti interconnessi e fluidi che permettono di esplorare città, strade e dungeon senza caricamenti separati, aggiungendo profondità verticale e dettagli architettonici prima assenti. Inoltre, gli sprite originali sono stati sostituiti da modelli tridimensionali animati con grande espressività che rendono i personaggi più vivi e le cutscene più immersive, anche grazie alle scene principali finalmente doppiate.

Il remake si arricchisce ulteriormente grazie al doppiaggio e a una colonna sonora riarrangiata (ma è possibile scegliere anche l’originale) e ampliata con tracce orchestrali e nuove composizioni che valorizzano ulteriormente l’atmosfera dei luoghi e delle situazioni narrative. Sul fronte dei contenuti, oltre alla storia principale sono state arricchite le interazioni con i personaggi non giocanti e introdotti piccoli dettagli che approfondiscono la vita quotidiana di Liberl e delle sue città.

L’interfaccia utente è stata completamente rivista, ispirandosi ai titoli successivi della serie come Cold Steel, con una gestione più intuitiva di equipaggiamento, Orbment e inventario, mentre la mappa e i menu sono stati resi più accessibili e chiari per migliorare la qualità della vita del giocatore. Tutto questo rende il remake non solo un aggiornamento tecnico, ma una vera e propria rivisitazione dell’esperienza originale, conservando la trama e l’anima del gioco ma offre una fruizione più moderna, immersiva e accessibile sia ai veterani che ai nuovi giocatori.

Potevano forse mancare gli attacchi combinati?

Carry On Wayward Son

Quello che mi sono trovato di fronte è una fantastica opera di modernizzazione attenta, però, a mantenere intatto il cuore dell’esperienza originale, pur integrando numerose migliorie alla qualità della vita e meccaniche prese in prestito dalle saghe successive. L’aggiunta del Fast Travel è fondamentale, permettendo ai giocatori di spostarsi istantaneamente tra le aree, eliminando i lunghi viaggi che caratterizzavano il gioco originale e riducendo sensibilmente il backtracking e le perdite di tempo, un miglioramento atteso per decenni. Il High-Speed Mode (o Turbo Mode) velocizza l’esplorazione e le animazioni di gioco, e in battaglia, la possibilità di saltare tutte le animazioni di magie e S-Craft permette di rendere il combattimento significativamente più rapido e, di conseguenza, rende gestibile il grinding.

Il gioco include anche marcatori sulla mappa per la destinazione di ogni quest, una funzione rimovibile che guida il giocatore attraverso le missioni secondarie, semplificando di molto le operazioni per chi non desidera perdere tempo. Un’ulteriore comodità è il quest log dettagliato ripreso direttamente dalle saghe di Crossbell e Cold Steel, che registra chiaramente lo stato e la posizione delle missioni.

Anche il sistema di cucina trascende il mero meccanismo di recupero degli HP, assumendo un ruolo cruciale nella progressione del gioco. Lo scopo primario del sistema culinario è quello di creare piatti unici e consumabili che non solo ripristinano salute e energia orbal in battaglia o nell’esplorazione, ma possono anche conferire bonus temporanei alle statistiche o effetti curativi di stato superiori agli oggetti acquistabili. Inoltre, scoprendo e cucinando una nuova ricetta per la prima volta, si può sbloccare un bonus permanente alle statistiche del party, incentivando attivamente l’esplorazione, l’interazione con gli NPC e la meticolosità del giocatore nel ricercare ingredienti e nuove preparazioni in tutto il regno di Liberl.

Inoltre, la dinamica dei Tactical Bonus introduce moltiplicatori di esperienza e ricompense basate sull’efficienza e sulle azioni compiute in battaglia, incoraggiando i giocatori a padroneggiare le meccaniche di combattimento più avanzate. A questo si affianca un sistema di premi legato al completamento di specifici obiettivi di gioco, una sorta di achievement interno recuperato dalle saghe successive, che incentiva ulteriormente la sperimentazione e l’esplorazione.

Il livello di dettaglio è più che buono in questo remake, pur non raggiungendo i livelli di un Final Fantasy VII Rebirth

Trails in the Sky: pregi e difetti di un’opera unica

Il sistema di combattimento è stato arricchito con animazioni dinamiche delle arti e delle S-Craft, ed effetti visivi più spettacolari. Ciò rende ogni scontro più fluido e visivamente appagante, e si aggiunge la possibilità di accelerare le battaglie. Non si tratta solo di aggiunte: questo remake non si limita a un aggiornamento estetico, ma presenta un sistema di combattimento profondamente rinnovato. È stato introdotto un sistema ibrido che combina il classico combattimento a turni tattico con il Quick Battle in tempo reale, il quale consente di eliminare rapidamente i nemici deboli sul campo senza entrare nella schermata di battaglia a turni, contribuendo a velocizzare sensibilmente gli scontri, in particolare con i nemici più deboli. Tutto è stato revisionato, perfezionando e portando all’estremo gli elementi che già distinguevano l’originale.

Il combattimento ora accentua con maggiore incisività il posizionamento tattico, superando persino la rilevanza strategica che tale meccanica già possedeva nel titolo originario. L’arsenale magico è stato riequilibrato: molti incantesimi (Arts) hanno subito modifiche al loro raggio d’azione e alcuni a bersaglio singolo ora colpiscono più nemici, offrendo una maggiore versatilità strategica.

Sono state incorporate diverse meccaniche di combattimento introdotte nelle saghe successive (come Crossbell e Cold Steel), tra cui Brave Attacks, Chains, la potente mossa Overdrive e sistemi di supporto come Character Support e le Follow-ups e Finishing Moves, che migliorano il dinamismo e la sinergia del party. Inoltre, l’equipaggiamento ha subito una profonda rivisitazione per aumentare la personalizzazione: mentre in precedenza gli accessori offrivano quasi esclusivamente immunità agli stati alterati, ora forniscono bonus statistici significativi. Allo stesso modo, le armi che prima non influenzavano l’ATS (la statistica che potenzia le magie) ora possono farlo, il che rende i personaggi in grado di lanciare incantesimi più efficaci.

È fondamentale muoversi sulla scacchiera per sfuggire alle aree d’effetto delle magie nemiche, che possono mancare il bersaglio se ci si sposta per tempo, oltre che per accaparrarsi gli importanti bonus tattici segnalati in modo chiaro nell’elenco dei turni di attacco. Inoltre, la difficoltà Normale è stata finemente bilanciata, offrendo un’esperienza impegnativa ma largamente scalabile: il giocatore gode della comodità di poter riprovare immediatamente un combattimento dopo una sconfitta, con la possibilità di semplificare o di modificare liberamente il livello di difficoltà in qualsiasi momento. Altrettanto cruciale è l’enfasi data alle resistenze e debolezze elementali, affiancata da un’ampia customizzazione dei personaggi resa possibile dall’intelligente sistema degli Orbment, la cui profondità di personalizzazione meriterebbe un approfondimento dedicato.

La gestione della magia è un meccanismo profondo e altamente personalizzabile, interamente basato sull’uso degli Orbment tattici. La magia, nota come Arts, non è appresa con l’esperienza, bensì è direttamente vincolata alla combinazione di cristalli elementali chiamati Quartz. Inserendo i cristalli negli slot dell’Orbment di un personaggio, non solo si migliorano le sue statistiche, ma si accumulano valori elementali (Terra, Acqua, Fuoco, Vento, Tempo, Spazio, Miraggio) lungo specifiche linee del circuito. È il raggiungimento di determinate soglie e combinazioni di questi valori che sblocca le diverse Arts; dunque, la vera maestria sta nel selezionare e disporre i Quartz per manifestare l’incantesimo desiderato, rendendo ogni personaggio una tela strategica unica nel dispiegamento della sua potenza mistica.

A quando un crossover Food Wars x Trails in the Sky?

L’analisi del remake di Trails in the Sky 1st Chapter rivela un sensibile innalzamento della qualità estetica e funzionale di elementi un tempo considerati marginali. Sebbene il design dei dungeon non raggiunga vette d’ingegno o complessità labirintica, rimanendo per lo più percorsi funzionali che collegano le regioni di Liberl, si nota un notevole miglioramento in termini di varietà e coerenza visiva rispetto all’opera originale. Contestualmente, anche il design dei mostri è stato oggetto di una fedele ma cruciale modernizzazione: i nemici sono stati interamente ricostruiti con modelli 3D più realistici e animazioni fluide, allineando il comparto tecnico a quello delle produzioni più recenti del franchise. Al di là della pura resa estetica, il significato strategico di queste creature è rafforzato dall’importanza delle loro resistenze e debolezze elementali, trasformandole in variabili essenziali nel complesso sistema di combattimento tattico del gioco.

La vera grandezza dell’opera risiede però nell’incredibile ricchezza del suo mondo e nella densità del suo cast corale. Ogni personaggio non giocante, anche il più marginale, vibra di storie e memorie, e i suoi dialoghi evolvono e si espandono insieme alla narrazione, creando un affresco narrativo che trascende i confini del JRPG tradizionale. Tuttavia, questa profondità ha un costo: la narrazione procede in modo lento e contemplativo, priva di colpi di scena immediati, diluendo in lunghe sequenze di dialoghi ciò che in titoli concorrenti si risolverebbe rapidamente.

Questa enfasi sull’approfondimento a discapito della sintesi porta l’opera ad assomigliare più a una Visual Novel con combattimenti a turni che a un JRPG classico, invitando il giocatore a un’esperienza di ascolto e osservazione paziente. La vastità di questo impegno narrativo è misurabile nei numeri: con oltre 700.000 parole nel solo primo capitolo, superando di gran lunga titoli come Final Fantasy VII (circa 150.000) e Xenogears (meno di 400.000). Il seguito, Second Chapter, ne contiene quasi il doppio, configurando la saga come una vera e propria montagna di testo. Per capirci ancora meglio Steins;Gate arriva a quota 450.000 parole.

È innegabile che questo remake porti il peso di essere il volume d’apertura di una saga così vasta, e ciò si riflette nella sua struttura. Il problema principale è che, se considerato come opera a sé stante, il gioco risulta poco soddisfacente dal punto di vista tematico e degli eventi. Questa carenza è dovuta al suo ruolo di pura e inevitabile introduzione. Chi è già familiare con l’evoluzione dei numerosi personaggi giocabili (tutti caratterizzati in modo eccellente, seppur attingendo a stereotipi ben definiti) potrà emozionarsi nel rivivere le loro origini. Tuttavia, per il neofita, l’arco narrativo di questi alleati potrebbe sembrare poco epico e la narrazione complessiva non fluida.

Trails in the sky
Potevano mancare gli attacchi combinati?

Chi si avvicina a Trails in the Sky deve essere consapevole di questo approccio misurato, in cui non tutti i nodi vengono sciolti immediatamente; la pazienza è premiata con una profondità emotiva e narrativa che pochi titoli possono eguagliare. Nonostante le notevoli migliorie introdotte, che facilitano l’approccio, l’opera rimane intrinsecamente non adatta a chi cerca una narrazione veloce, mantenendo le stesse criticità che l’originale poneva al giocatore.

L’approccio scelto alle missioni secondarie non aiuta a mitigare i problemi di ritmo, anzi, innesca una dicotomia inevitabile tra i giocatori. Da un lato, l’incredibile densità e il gran numero di quest che compongono la vita da Bracer sono il pilastro che rende Zemuria un mondo vivo, costringendo il giocatore a interagire con ogni NPC, le cui storie evolvono con la trama e fornendo lore vitale per l’epopea. Dall’altro lato, tuttavia, queste missioni espongono la loro intrinseca debolezza strutturale: una parte significativa rientra spesso nella categoria delle pure “fetch quest” o nella monotonia della “caccia al mostro”.

Per il giocatore interessato alla sola progressione della trama principale o per chi non tollera l’idea di eseguire decine di compiti strutturalmente banali per ottenere il massimo Grado Bracer, l’enorme volume di contenuti opzionali può trasformarsi in un fardello, ed essere percepito non come arricchimento ma come mero padding necessario per sbloccare ricompense cruciali per l’ottimizzazione del party.

È fondamentale quindi sottolineare che non si è di fronte a un titolo per tutti, un dato di fatto che era vero per l’opera originale e che resta valido anche per questo remake. Sebbene le innumerevoli attenzioni e le aggiunte di Quality of Life abbiano reso l’esperienza complessiva immensamente più accessibile e fluida, la natura intrinseca del gioco non è cambiata. Personalmente, pur avendo apprezzato la modernizzazione, devo ammettere di aver riscontrato nuovamente le stesse difficoltà che mi avevano affaticato nell’originale, faticando a godere pienamente dell’esperienza a causa delle criticità strutturali che permangono.

La dolce e delicata Tita.

Something in the Way

Lo ripeterò fino alla morte: quello che è stato effettuato è un lavoro di rifinitura a dir poco incredibile, che svecchia per quanto possibile l’opera originale, ma dopo aver apprezzato aggiunte, bilanciamento e novità mi sono ritrovato con una domanda atroce in testa e, per spiegarmi, sono costretto a prenderla leggermente alla larga prima di arrivare al punto.

L’attuale ondata di remake nel mondo dei videogiochi, che spazia da JRPG come Star Ocean: The Second Story R e Final Fantasy VII a classici dormienti come Silent Hill e Metal Gear, solleva un profondo dilemma filosofico sulla natura di questi prodotti, un interrogativo che il caso di Trails in the Sky First Chapter rende particolarmente evidente. Questa tendenza ci spinge a riflettere sul paradosso della nave di Teseo: se ogni elemento di un gioco originale viene sostituito con meccaniche aggiornate al gusto moderno fino a snaturarne l’essenza, il prodotto finale può ancora essere considerato lo stesso gioco?

La questione cruciale è stabilire la priorità di un remake: è più importante mantenere l’identità storica e il carattere dell’opera, accettandone le asperità e gli anacronismi, oppure sacrificarne la natura originale in favore dell’attualizzazione, rendendola più accessibile e godibile per il pubblico moderno, sacrificando, all’occorrenza, elementi cardine?

In sintesi, un remake è essenzialmente un atto di memoria che impone una scelta radicale: rievocare il passato nella sua forma più pura o reinterpretare l’opera per proiettarla nel futuro? Il remake di Trails in the Sky First Chapter si posiziona chiaramente in questo dibattito suggerendo che l’identità artistica debba essere preservata, ad ogni costo, incluse le sue imperfezioni intrinseche. In questo senso First Chapter emerge come un capolavoro di fedeltà, riproponendo pregi e difetti della saga.



Questa saga, invero, non contempla le mezze misure: essa impone un bivio: o la si odia o la si ama. Lasciarsi conquistare dalla meticolosa costruzione del mondo di Zemuria e dal suo world building, significa immergersi in una storia di rara profondità e dettaglio. Se, al contrario, si è alla ricerca di pura adrenalina, di un’azione incessante e di una narrazione dal ritmo tambureggiante e immediato, è assai probabile che non si troverà piena soddisfazione in questa esperienza. In definitiva, il lancio del remake di Trails in the Sky 1st Chapter non è solo un omaggio a un classico, ma è una rinascita fondamentale per l’intera serie. L’ostacolo rappresentato dall’età del capitolo originale è stato demolito, offrendo un punto d’inizio tecnicamente al passo con i tempi e narrativamente intatto. Per i neofiti, questo è l’invito perfetto per varcare la soglia di Zemuria; per i veterani, è l’occasione per rivivere l’inizio di un’epopea con una veste all’altezza della sua grandezza. Con la previsione del Second Chapter (ancora non annunciato ufficialmente, ma basterà guardare la scena post-credit per fugare ogni dubbio), non c’è più alcun motivo per esitare: il momento di unirsi ai Bracers e di intraprendere questo viaggio senza precedenti è adesso, prima che la storia ventennale, ormai giunta al tredicesimo capitolo, giunga al suo atteso completamento con Beyond the Horizon a Gennaio.


 

V MENSILE
Clicca sulla copertina per leggere
NeoGeo Collector’s Bible Special Preview
Provengo da un’epoca particolare, in cui le edicole vendevano videogames e le sale giochi erano giungle urbane abitate da creature stravaganti. Si sognava per mesi (o anni) su una singola immagine vista su rivista, si attraversavano quartieri interi per noleggiare un gioco sperando che fosse ancora lì, pronto ad accoglierci per un’avventura irripetibile. Il marketing si faceva per strada, la console war si combatteva faccia a faccia, e il venditore era una creatura leggendaria. Un mondo folle e ingenuo, forse, ma proprio per questo indimenticabile.