Citizen Pain Provato: un’anima da beat ’em up nell’oscurità del dark fantasy

Citizen Pain

Che bel mese, ottobre, non trovate? Sarà per l’aria autunnale, per le giornate che si accorciano e per quel clima che invita a restare in casa, magari davanti a un buon videogioco.
E per chi gioca su PC, questo periodo dell’anno ha un fascino particolare: è il momento dello Steam Next Fest, la settimana in cui la piattaforma di Valve si trasforma in un enorme distributore di demo gratuite, offrendo spazio e visibilità a centinaia di sviluppatori in cerca di feedback.

Tra i tanti progetti che ho deciso di provare, la mia attenzione si è fermata su un progetto tutto italiano: Citizen Pain, un action dark fantasy in prima persona costruito in Unreal Engine 5. Dietro al progetto c’è un vero one-man band, Alessandro Capriolo, sviluppatore attualmente in forza a Nixxes Software, lo studio olandese di proprietà Sony responsabile dei porting PC di giochi come Spider-Man 2, Ratchet & Clank: Rift Apart, Helldivers 2 e del prossimo Saros.

Nel tempo libero, Capriolo ha deciso di imbarcarsi in un progetto personale, lavorandoci in solitaria per oltre tre anni: un action con meccaniche da beat ’em up, una prospettiva insolita per il genere, quella in prima persona, e una difficoltà volutamente tarata verso l’alto.

La demo permette di provare i primi due stage di un’avventura che, nella versione finale, dovrebbe contare sei capitoli. Un assaggio breve ma intenso che, al netto di qualche sbavatura tipica dei progetti indie, nasconde un’esperienza sorprendentemente divertente. L’uscita completa non dovrebbe comunque essere lontana: il lancio è previsto per il 5 dicembre 2025. Se volete farvi un’idea e capire se valga la pena metterlo in wishlist, non vi resta che arrivare ai titoli di coda di questo Provato targato Vgmag.

Citizen Pain
Gli scontri iniziali mettono subito alla prova i riflessi

Citizen Pain: c’era una volta nel regno di Moges

Citizen Pain si apre con il più classico degli incipit dark fantasy. Siamo nell’anno 1280 del calendario imperiale: il Re dei Non Morti ha conquistato il regno di Moges, trasformando i suoi sudditi in un esercito di cadaveri animati tutt’altro che amichevoli. In mezzo al massacro, la guerriera Catherina cade in battaglia, ma una misteriosa figura, Agnes, le offre aiuto. Accettando il potere oscuro chiamato Pain, la giovane ottiene una seconda possibilità, tornando in vita per liberare il regno, stavolta dotata di una forza sovrumana.

Da qui prende forma una narrazione che alterna cut-scene in-engine a immagini statiche in bianco e nero, accompagnate da testi in lingua inglese (peccato per l’attuale assenza dell’italiano). È un espediente funzionale per introdurre il giocatore al mondo di gioco, ma non sempre perfettamente integrato nel resto della produzione.

Sul piano della messa in scena emerge presto una certa povertà espressiva: la protagonista e gli altri comprimari, pur inseriti in un contesto visivamente curato, appaiono spenti, privi di quella forza comunicativa che ci si aspetterebbe da un racconto tanto carico di pathos. Il fatto che siano muti e impassibili nelle cut-scene, accentua questa sensazione di distanza. Una scelta che potrebbe anche funzionare, considerata l’evidente fascinazione per l’estetica dei Souls, ma che qui suona più come limite tecnico che come decisione stilistica.

Nelle sequenze animate, la rigidità dei modelli e la scattosità delle animazioni, finiscono per tradire l’animo di un progetto che avrebbe sicuramente giovato di maggiori risorse. Chissà se nei prossimi mesi si potrà intervenire su questo fronte: forse puntare su artwork più evocativi potrebbe rendere l’insieme più armonioso. Fortunatamente si tratta di brevi intermezzi, compensati da una direzione artistica gotica degli ambienti che invece brilla al di fuori delle parentesi narrative. Tra gli elementi più riusciti spicca la magnificenza della cattedrale, che funge da hub narrativo e ludico, con le sue imponenti statue e la luce filtrata dalle magnifiche vetrate.

Citizen Pain
Tra le macerie di Greenmont, ogni duello diventa una danza di parry e schivate.

Il dolore come ritmo

Arriviamo finalmente al fiore all’occhiello dell’esperienza: il combat-system, vero cuore pulsante di Citizen Pain. Come avevo anticipato, non siamo di fronte a un soulslike a basso budget, ma piuttosto a un beat ’em up in prima persona, con colpi pesanti, ritmo serrato e tempi stretti. Catherina combatte con un set di mosse essenziale ma raffinato. Gli attacchi leggeri formano una combo da quattro colpi, con l’ultimo che lancia in aria l’avversario, aprendo la possibilità di un Front Stab, una finisher ravvicinata eseguibile sui nemici storditi.
L’ispirazione, credo, sia chiaramente ravvisabile nella modalità Mercenari di Resident Evil, reinterpretata però in chiave medievale.
Gli attacchi pesanti servono invece a stordire immediatamente o rompere la guardia, ma non possono essere direzionati: una scelta che obbliga a valutare bene i tempi, perché sbagliare significa esporsi.

Come in ogni buon Action, è presente un Cancel System che consente di interrompere un’animazione a metà per passare a una schivata o a una parry in extremis.
Proprio la parata è una delle meccaniche più riuscite: simile a quella di Lies of P, punisce il tempismo sbagliato con la perdita di una parte della salute, ma premia la precisione assoluta con due secondi di invulnerabilità e la possibilità di contrattacco.
Al posto della classica barra della stamina, entra in gioco il Dash, che dona agli scontri una profondità tattica inaspettata e mantiene il ritmo sempre alto.
Peccato solo per alcune fasi più concitate, dove può capitare di essere colpiti alle spalle senza avere il tempo di reagire: un piccolo avvertimento sonoro o visivo in più non guasterebbe.

La difficoltà è in linea di massima spietata ma tendenzialmente corretta. Il gioco punisce gli errori, ma con un po’ di pratica le soddisfazioni arrivano, eccome.
Il peso degli impatti è convincente, con una risposta dei nemici solida e un ritmo degli scontri veloce e galvanizzante. La dinamica dei colpi non è rigida e restituisce bene l’energia del combattimento corpo a corpo. Sul fronte dei nemici, la varietà è buona: soldati non morti armati di spada e scudo, cavalieri corazzati capaci di curarsi a metà scontro e mini-boss più aggressivi.
Le mappe sono molto lineari, ma arricchite da casse distruttibili e qualche sorpresa all’interno, tra cui i famigerati polli curativi che ripristinano parzialmente la vita.
Ogni stage è scandito da un timer entro il quale bisogna eliminare tutti i nemici e completare l’area. Il limite è piuttosto generoso, ma aggiunge un tocco dal sapore arcade, spingendo a rigiocare le missioni per migliorare tempi e punteggi.

Le pozioni curative si attivano automaticamente quando la salute si azzera, ripristinando parte della vita e respingendo i nemici vicini. Finite le pozioni, però, la morte comporta il riavvio completo dello stage, in puro stile semi-permadeath.
Il cuore del loop si chiude nella cattedrale-hub, dove è possibile potenziare Vitality e Potions parlando con Agnes. Le altre statistiche – Strength, Vigor e Faith – restano disattivate nella demo, ma lasciano intuire una progressione più ampia nella versione finale.

Catherina e Wolf, un ultimo momento di quiete prima che il dolore inizi davvero.

Citizen Pain: una prova fuori contesto

Ho provato Citizen Pain in una situazione tutt’altro che ideale, e forse anche per questo l’esperienza è stata più interessante del previsto. Il mio PC principale, purtroppo, ha deciso di andare ko proprio durante i giorni dello Steam Next Fest, costringendomi a cercare un piano B. Così ho lanciato la demo su un Mac mini M4, sfruttando Crossover per far girare la versione Windows. In pratica, un esperimento dentro l’esperimento: un progetto indipendente e solitario eseguito in un ambiente che, almeno sulla carta, non dovrebbe nemmeno farlo partire.

E invece il risultato è stato sorprendentemente stabile. Il gioco non ha mostrato crash o cali di frame rilevanti, segno che la base tecnica costruita in Unreal Engine 5 è solida e ben ottimizzata. A dettagli medi, i caricamenti sono rapidi, l’input lag praticamente nullo, e l’unico difetto tecnico visibile riguarda qualche bug di troppo nei pressi dei filmati, dove talvolta le texture dei personaggi non si caricano subito e qualche animazione dei personaggi inizia a scattare.

Per dare un riferimento concreto, la GPU integrata del chip Apple M4 può essere approssimata, in termini di resa grafica pura, a una RTX 3050 Laptop o poco meno, anche se con differenze dovute all’architettura ARM e alla memoria unificata. Considerando ciò, vedere il gioco girare in modo fluido su questa configurazione è un segnale più che positivo. Chiaramente, per godere a pieno soprattutto degli splendidi ambienti in Unreal, se si alza la potenza grafica la situazione non potrà che migliorare, ma ipotizzo che anche nelle configurazioni piuttosto modeste non dovrebbero esserci grossi problemi.

L’impatto visivo di Citizen Pain è il primo elemento che mi aveva colpito. Capriolo dimostra una padronanza evidente del motore grafico, usando la luce come strumento narrativo. Le torce e i candelabri dei corridoi gotici creano contrasti netti, mentre le rovine di Greenmont, immerse nella nebbia e nella pioggia, evocano la malinconia di un mondo in decomposizione. La palette cromatica alterna toni caldi e dorati negli interni a verdi e grigi freddi negli esterni, mentre il sistema Lumen garantisce riflessi e ombre credibili.

Gli ambienti sono ricchi di dettagli e texture curate, mentre, ribadisco, sono i personaggi a mostrare il lato più acerbo del progetto, con mancanza di lip sync, rigging facciale basilare e animazioni rigide.  Dove la parte visiva alterna alti e bassi, quella sonora è invece sorprendentemente matura. La colonna sonora orchestrale accompagna l’esperienza con eleganza, solenne e lenta nelle fasi narrative, corale e drammatica in combattimento. Gli effetti sonori restituiscono un feedback fisico e coerente: i colpi, i passi, le urla dei nemici e i riverberi negli spazi chiusi contribuiscono a rendere l’esperienza ancora più coinvolgente.


Citizen Pain è un progetto che vive di contrasti. Da un lato c’è la competenza tecnica di chi conosce a fondo l’Unreal Engine e la solidità di un combat system pensato con logica. Dall’altro i limiti naturali di una produzione solitaria, ancora priva di rifiniture in animazioni e storytelling. La demo riesce però nell’impresa più difficile: quella di comunicare una visione chiara. Ogni parry, ogni schivata e ogni sconfitta raccontano la filosofia di Alessandro Capriolo, quella di un gioco che non accompagna ma educa, che ti costringe a imparare attraverso il fallimento. Il dolore non è punizione, ma disciplina. Se riuscirà a mantenere questa intensità fino alla fine, potrebbe rivelarsi una piccola sorpresa indipendente, capace di mettere davvero alla prova la vostra abilità.Â