Ninja Gaiden 4 recensione: sangue, acciaio e rinascita

Tutto ha inizio con la più semplice delle conversazioni: due amici che, tra un sorriso e un sogno condiviso, si chiedono quasi per gioco, “quanto sarebbe bello avere l’occasione di lavorare insieme?”. È una frase che chiunque abbia mai condiviso un legame profondo con un amico può riconoscere, ma quando i protagonisti di quella conversazione sono Hisashi Koinuma, presidente di Koei Tecmo, e Atsushi Inaba, presidente di PlatinumGames, le conseguenze non possono che essere straordinarie.

Un’idea nata per caso, approvata con entusiasmo da Phil Spencer e concretizzata in un titolo che molti consideravano ormai impossibile: Ninja Gaiden 4. La saga che ha definito un’epoca del genere action torna sulle scene dopo oltre un decennio di silenzio (in mezzo ci sono state collection, l’ottimo Ragebound e la remastered del secondo episodio) dalla versione migliorata del terzo capitolo Razor’s Edge, e lo fa con una forza rinnovata, portando con sé tutto ciò che l’ha resa leggenda: la ferocia del combattimento, la brutalità delle esecuzioni, la danza letale di acciaio e sangue che da sempre accompagna Ryu Hayabusa e il suo mondo.

Ambientato diversi anni dopo Razor’s Edge, Ninja Gaiden 4 apre un nuovo capitolo nella mitologia della serie. Tokyo è ormai una metropoli in rovina, divorata da un miasma oscuro che si espande come una piaga, portando con sé una pioggia incessante, emanazione diretta del ritorno del Drago Oscuro, un’antica entità legata alla leggendaria Spada del Drago Nero. La città, caduta nel caos, è ora sotto il controllo dell’Ordine del Drago Divino, una setta che ne governa le rovine con pugno di ferro.

Yakumo, la pioggia incessante e le luci al neon: l’essenza di Ninja Gaiden 4 racchiusa nell’ombra del Drago Nero.

It can’t rain all the time

Dalle ombre di questa metropoli decadente emerge Yakumo, un giovane ninja del clan Karasu, ramo segreto del clan Hayabusa e discendente diretto del Drago Nero. Chiamato a spezzare i sigilli che imprigionano il male e portare a compimento il destino del clan, Yakumo si trova a fronteggiare un destino intrecciato con la stessa corruzione che sta consumando il mondo. Ad accompagnarlo in questa impresa c’è Seori, sacerdotessa del Drago Nero, che lo guida con l’intento di redimere il proprio passato. Non sarà solo nel suo viaggio: al suo fianco agiranno Misaki, responsabile dell’intelligence del clan; Umi, ninja e amica d’infanzia che lo assiste da remoto; e Tyran, il suo maestro e mentore, che lo ha formato fin dai primi anni di addestramento. Insieme, questi personaggi danno vita a una storia di eredità, redenzione e oscurità, dove ogni passo verso la luce sembra inevitabilmente condurre più a fondo nell’abisso.

Ryu Hayabusa non scompare, ma diventa una figura guida: un mentore silenzioso, simbolo del passato che osserva il futuro con consapevolezza e malinconia. Il rapporto tra lui e Yakumo è il cuore emotivo del gioco, un dialogo generazionale tra chi ha combattuto e chi ora deve imparare a farlo, tra l’eredità e la rinascita. L’atmosfera è cupa, intrisa di un’estetica che fonde tradizione giapponese e futurismo cyberpunk, tra templi in rovina e grattacieli sventrati, tra pergamene e droni, tra spade che affondano nella carne e circuiti che pulsano come vene metalliche. È un mondo dove l’onore antico si scontra con la follia moderna, e dove la linea tra l’uomo e il demone si fa sempre più sottile.

Il cambio di protagonista è un passaggio audace, e il team non lo nasconde: la sequenza introduttiva dopo il tutorial è una dichiarazione d’intenti, un omaggio palese a Metal Gear Solid 2. Yakumo atterra da un velivolo in una posa che ricorda Raiden sul ponte dell’incrociatore, e il messaggio è chiarissimo, Ninja Gaiden entra nel ristretto club delle saghe che hanno avuto il coraggio di voltare pagina.

E come accaduto in altre serie iconiche come Devil May Cry, Gears of War, The Last of Us, anche qui il nuovo volto non è una semplice sostituzione, ma un rinnovamento narrativo. Yakumo è un personaggio più impulsivo, più umano, un ninja tormentato dal peso del proprio lignaggio, discendente del clan Karasu, i Corvi, da sempre legati al potere oscuro del Drago Nero. Questa connessione si riflette nel gameplay stesso, dove il sangue diventa risorsa, strumento e maledizione.

Il livello di violenza è in linea con la serie, anzi, probabilmente alza ulteriormente l’asticella

Due cuori, un solo petto: PlatinumGames e Team Ninja si incontrano sul terreno più naturale possibile, quello dell’azione pura. Il risultato è un sistema di combattimento che unisce la precisione chirurgica della tradizione di Ninja Gaiden alla spettacolarità furiosa tipica degli action di Inaba e Kamiya.

Ritroviamo tutte le meccaniche storiche: la schivata che parte dalla parata; le combo lunghe e articolate che si sviluppano in catene ipnotiche di colpi; e le immancabili esecuzioni, ancora più cruente e cinematografiche. Il ritmo è vertiginoso, più rapido perfino di Razor’s Edge, ma senza scivolare nell’esuberanza coreografica di Bayonetta: qui la danza del sangue ha un peso, una fisicità che si avverte a ogni colpo.

La novità assoluta è la Forma del Corvo di Sangue, una postura di combattimento che consente di sfoderare attacchi potenziati in cambio del consumo della barra del Fulcro Sanguigno. Una risorsa preziosa che può essere ricaricata con il tempo, infliggendo danni o, più rapidamente, con le esecuzioni. In questa forma Yakumo può spezzare guardie, interrompere attacchi nemici devastanti e ribattere i colpi dei boss incrociando le lame,  un duello d’acciaio e riflessi che culmina in esplosioni di particelle e sangue, visivamente magnetiche.

Il tutto si intreccia a un sistema di maestria che ricompensa la fedeltà a un’arma: più si uccide con essa, più si sbloccano nuove abilità e tecniche, fino a trasformare il proprio stile di gioco in un’estensione naturale del personaggio. E in questo equilibrio tra novità e tradizione, il titolo trova il suo respiro più profondo.

Ryu Hayabusa osserva da lontano lo svolgersi degli eventi, il suo intervento si farà attendere.

Ninja Gaiden 4: duality

Ninja Gaiden 4 è costruito su due anime: da un lato quella che parla ai veterani, riportando in vita la Discesa di Izuna, la Rondine Volante e tutte le mosse leggendarie che hanno reso la saga un culto; dall’altro, un cuore nuovo che pulsa di coraggio e di voglia di reinventarsi. Tante le modifiche introdotte, piccole e grandi vanno ad operare un bilanciamento meticoloso: le Ultimate Techniques, le tecniche caricate, non si interrompono automaticamente se Yakumo viene colpito (dipende dall’entità del colpo), regalando momenti di pura potenza visiva.

I danni temporanei e permanenti, ormai caratteristica storica della saga introdotti nel secondo episodio (il 3 lo ha inserito solo con Razor’s Edge, nel base non era presente) aggiungono una dimensione strategica nella gestione della salute, costringendo il giocatore a ponderare ogni rischio. E il sangue, ancora una volta, diventa meccanica e non solo elemento narrativo: Yakumo può infondere il proprio sangue nelle armi, trasformandole e rendendole simbolo del suo tormento.

Fedeli alla filosofia della serie, gli sviluppatori non rinunciano alla sfida. Ninja Gaiden 4 rimane un titolo spietato nelle sue fasi di combattimento capace di punire l’errore e premiare la disciplina. L’esperienza complessiva però si apre davvero a tutti, come prima prima più di prima: Tre livelli di difficoltà: Hero, Normale e Difficile, modificabili in qualsiasi momento, accompagnati da un ventaglio di opzioni di accessibilità che permettono di automatizzare parate, schivate e persino le sezioni platform.  Un sistema che non snatura l’anima del gioco ma la rende più inclusiva, consentendo a ogni tipo di giocatore di trovare la propria soglia di dolore.

Morire, qui, non è una condanna: il gioco offre ripartenze immediate dal combattimento in cui si è stati sconfitti, azzerando la frustrazione e spingendo il giocatore a tentare, imparare e perfezionarsi. Anche muoversi tra i livelli è tutt’altro che complesso: laddove il primo capitolo tridimensionale flirtava con l’esplorazione semi open, intrecciando con rara maestria enigmi ambientali, backtracking e poteri progressivi capaci di dischiudere nuovi percorsi, consacrandosi così a capolavoro di design (e non solo), il secondo capitolo, segnato dall’uscita di Itagaki in corso d’opera e da tempistiche di sviluppo serrate, ridusse drasticamente tali elementi, lasciando intravedere un potenziale sacrificato sull’altare della consegna forzata e di un progetto non pienamente rifinito anche a causa dell’abbandono di Itagaki.

Il terzo poi toccò il punto più basso della serie, anche e non soltanto per un level design impoverito e privo di visione. Ninja Gaiden 4, oggetto di questa recensione, sceglie con consapevolezza la via dell’essenzialità, abbracciando una struttura più lineare ma coerente, che rimette al centro l’azione pura, spogliata di ogni orpello superfluo proseguendo sulla linea tracciata dalla terza iterazione.

Ninja gaiden 4
Seori, sacerdotessa del Drago Nero e nostra compagna di viaggio

After the flash

L’azione si erge a fulcro indiscusso e ogni elemento del level design è concepito per alimentarne l’impeto. Le mappe adottano una struttura consapevolmente lineare, ma non per questo risultano impoverite: esse offrono occasionali deviazioni esplorative, che conducono a zone opzionali capaci di modulare il ritmo ludico senza mai giungere a diluirlo. La presenza di numerosi forzieri è gestita in maniera trasparente ed evidente, con i contenitori luminosi di ricompense spesso disseminati lungo il percorso principale impossibili da non vedere, salvo rare eccezioni.

Il flusso dell’esperienza è scandito da frequenti, seppur brevi, variazioni tematiche che mirano a infondere fantasia e dinamismo: si annoverano sessioni di corsa acrobatica su binari, evoluzioni aeree tramite tuta alare tra turbine e rovine decadenti, intermezzi furtivi in stile stealth e frenetiche corse su moto d’acqua. Tali segmenti, pur nella loro semplicità strutturale, arricchiscono l’esperienza; tuttavia, il notevole abuso di queste meccaniche accessorie le espone al rischio di degradare, nel lungo termine, da piacere episodico a mero fastidio procedurale.

A questo impianto si aggiungono i Test del Valore, ridenominati per l’occasione “Purgatori“: sfide segrete che impongono la sopravvivenza a ondate di avversari. Qui risiede un tocco di design acuto e intelligente, ovvero la possibilità di auto-imporre un handicap vitale all’ingresso. Il sacrificio volontario di una maggiore percentuale di salute, infatti, è direttamente proporzionale all’entità della ricompensa ottenuta, incentivando la sperimentazione ardita e la dimostrazione di maestria.

Il pacchetto ludico si completa con un corredo di missioni secondarie di ispirazione tenue: spesso commissioni di omicidi dislocate in aree dedicate o obiettivi camuffati da quest (come l’eliminazione di un numero specifico di nemici con determinate armi). Queste aggiunte, pur fornendo un incentivo basato sulle ricompense, non apportano alcun arricchimento significativo alla lore o alla profondità narrativa del titolo, rimanendo esercizi di gameplay isolati.

Ninja gaiden 4
Un primo piano di Yakumo, una scelta ben più che riuscita.

Sotto il profilo strettamente tecnico, la resa visiva non sempre collima con l’apice delle aspettative riposte in un titolo dell’attuale generazione: pur attestandosi su standard innegabilmente accettabili e dignitosi, l’opera potrebbe essere inquadrata come un pregevole titolo della generazione passata, laddove opere come Stellar Blade o Wukong si attestano su vette visive nemmeno lontanamente paragonabili.

Paradossalmente, le prestazioni disegnano un’inversione di marcia sulla piattaforma PC, poiché nonostante le promesse e la potenza degli hardware di fascia alta, le sessioni di gioco hanno restituito una fluidità meno esaltante rispetto alle controparti console, dove l’ottimizzazione per il frame rate è risultata granitica; sulla piattaforma domestica, infatti, si è registrata qualche sporadica e inattesa flessione, un intoppo che smorza il piacere derivante dalla proverbiale stabilità garantita su console.

Eppure, a dispetto di queste riserve tecniche, l’esperienza nel complesso è funzionale e piacevole. L’art design si erge a elemento di grande distinzione: la collaborazione con PlatinumGames è palpabile e infonde un tocco estetico moderno e dinamico nella caratterizzazione dei nemici e dei protagonisti; l’atmosfera generale, tetra e cupa, amplifica il senso di urgenza e violenza dell’azione, confermando la promessa di un titolo “più veloce e sanguinoso che mai,”.

Tuttavia, l’impronta stilistica non è univoca: l’eccessivo impiego di tonalità “neon” e ambientazioni ad alta saturazione conferisce al gioco un’identità che in alcuni momenti si allontana dal mood classico della serie, avvicinandosi esteticamente a titoli come Vanquish; inoltre, in una specifica sequenza di gioco, la concezione del livello ha evocato un chiaro e intenzionale omaggio a una celebre ambientazione di DMC (un riferimento la cui matrice, per gli estimatori, non risulterà difficile da cogliere, essendo stato tra l’altro creato proprio da Ninja Theory).

In conclusione, sebbene la potenza visiva non raggiunga i vertici assoluti per l’attuale generazione, il gioco riesce nel suo intento primario: un’azione brutale, stilisticamente incisiva e perfettamente funzionante, che onora la frenesia del franchise pur abbracciando influenze estetiche moderne. Per quanto attiene al comparto sonoro, le musiche seguono un discorso simile a quello visivo: le tracce risultano piacevoli e assolvono al loro compito con sobria efficacia, senza infamia e senza lode, con qualche eccezione positiva e più incisiva in particolare quando i ritmi si fanno più sostenuti durante i combattimenti contro i boss.

L’avventura dopo essere stata completata può essere riaffrontata con Ryu

Ninja Gaiden 4: una luce fioca

Il tanto atteso ritorno di Ryu Hayabusa, che si fa desiderare a lungo prima di manifestarsi in questo quarto episodio, purtroppo non riesce a risplendere con la grandezza che la sua leggenda meriterebbe. Le sue meccaniche di combattimento, pressoché identiche a quelle di Yakumo, con il potere della luce a sostituire quello del sangue, finiscono per appiattire l’impatto del suo ritorno, privandolo di quella forza simbolica e ludica che ci si sarebbe aspettati da un eroe di tale calibro. Sarebbe stato affascinante assistere a una contrapposizione più marcata tra i due stili, quasi a incarnare il dualismo tra tradizione e rinnovamento, ma così non è stato.

A rendere ancor più pallida la sua ricomparsa è la scelta di assegnargli sezioni già vissute con Yakumo, inclusi i medesimi scontri con i boss, riducendo l’intera esperienza a un déjà vu privo di entusiasmo. Il tutto è incorniciato da una porzione di trama che appare incollata con artificio, come se la presenza di Ryu fosse stata inserita non per necessità narrativa, ma per dovere di fanservice: un ritorno più evocato che realmente vissuto, una fiamma che avrebbe dovuto ardere di gloria e che invece si limita a tremolare, fioca, nell’ombra del passato.

E purtroppo, le criticità non si esauriscono nell’ambito visivo o nella semplicità strutturale del level design, elementi che, benché degni di nota, potrebbero essere considerati secondari nell’economia complessiva del titolo. Anche il cuore pulsante dell’esperienza, il sistema di combattimento, manifesta problematiche ereditate e mai risolte. Il difetto più grave è senza dubbio la telecamera, che persiste nell’essere un ostacolo ulteriore, quasi un nemico aggiunto, specialmente nelle sezioni di scontro ravvicinato.

A ciò si somma una velocità di gioco spinta al limite estremo, in netto contrasto con l’impianto ludico più ragionato e meticoloso che ha storicamente contraddistinto la serie. In questa ultima iterazione, tale iper-velocità non consente una chiara gestione degli scontri, degenerando spesso in sequenze di schivate compulsive senza la piena visibilità dei nemici e in un indiscriminato button mashing, un esito davvero spiacevole a fronte dell’ottimo lavoro profuso nella creazione di un profondo sistema di combo.

Un altro elemento che incide negativamente, soprattutto in termini di varietà, e il cui peso è accentuato dalle diciotto ore necessarie per completare il titolo, che si configura come il più lungo ma anche il meno vario della serie, è la monotona e ripetitiva successione di arene aperte e gigantesche. I precedenti Ninja Gaiden avevano insegnato a sfruttare l’ambiente a proprio vantaggio, utilizzando muri e piattaforme come trampolini, rendendo l’ambiente parte attiva del combattimento e costringendo il giocatore a studiare la struttura delle zone in funzione delle diverse situazioni. Qui, al contrario, si assiste a un’azione meccanica: si giunge in una zona aperta, si combatte e si passa alla successiva, vanificando ogni tentativo di fusione organica tra il design dei livelli e le dinamiche del combattimento.

Come da tradizione, il post-game si rivela piacevolmente ricco e sostanzioso, offrendo un ventaglio di contenuti degno della fama della serie. Oltre a consentire l’accesso alla consueta modalità Maestro Ninja, vero banco di prova per i più temerari, il gioco propone una serie di sfide pensate per ogni tipo di giocatore: dal completamento delle missioni lasciate in sospeso alla possibilità di individuare tutti i collezionabili mancanti in ciascun livello, passando per la ripetizione dei “Purgatori” e i nuovi “Cimenti”, prove a condizioni speciali che elevano sensibilmente l’asticella della difficoltà.

A coronamento di questo ricco epilogo, vi è la possibilità di riaffrontare l’intera avventura nei panni di Ryu, il leggendario maestro del clan Hayabusa. Su questo punto, tuttavia, occorre aprire una parentesi che esula dallo scopo di questa recensione: al momento, il suo arsenale è limitato alla sola Spada del Drago, in attesa dell’uscita di un DLC post-lancio (con data ancora non definita) che ne amplierà il racconto e ripristinerà le armi mancanti, completando così il cerchio della sua eredità. Vi è inoltre un altro volto storico della saga che fa più volte capolino nel corso della narrazione: Ayane. La sua presenza, per ora fugace ma significativa, lascia intendere sviluppi futuri; resta da vedere se verrà pienamente integrata nel gioco e se le sarà concesso un ruolo di maggiore rilievo nelle vicende a venire. A dir poco rivelatrice la sequenza giocabile dei titoli di coda, che illumina con chiarezza, almeno dal mio punto di vista, il significato della scrosciante e perenne pioggia che permea l’intero gioco, svelandone infine la valenza.


Ninja Gaiden 4 è l’epilogo di una decennale attesa e, al contempo, il prologo di una coraggiosa, benché imperfetta, metamorfosi. Non è un’opera priva di pecche: trascina con sé il fardello di difetti atavici, come una telecamera che si conferma un nemico ulteriore nelle mischie e introduce nuove criticità, quali un’accelerazione della velocità di gioco che talvolta ne intorbidisce la cruciale leggibilità. Inoltre, la gestione dell’iconico Ryu Hayabusa, ridotto a un mero re-skin ludico e narrativo della sua stessa leggenda, resta la più grande e dolorosa occasione sprecata. Sotto il profilo tecnico, le riserve permangono: sebbene l’ottimizzazione su console assicuri una fluidità encomiabile, la resa su PC è molto lontana dalle vette massime dell’attuale generazione. Eppure, nel suo cuore pulsante, Ninja Gaiden 4 batte al ritmo di un sistema di combattimento di eccellenza adamantina che però non è valorizzato a dovere. La fusione tra la precisione chirurgica di Team Ninja e lo slancio coreografico di PlatinumGames ha generato un action che, a dispetto di ogni riserva, è capace di sfidare, torturare e gratificare gli amanti del genere. Yakumo incarna un’eredità sanguigna e brutale, riportando in auge un franchise che sembrava destinato al silenzio. Questo titolo è un violento, trionfale ritorno che però traccia prosegue il malinconico declino di una serie che non sembra riuscire a trovare la direzione giusta da seguire.

Non è questa la sede giusta per parlare di certe cose, ma grazie per tutto quello che ci hai dato, Itagaki-sensei.


 

Provengo da un’epoca particolare, in cui le edicole vendevano videogames e le sale giochi erano giungle urbane abitate da creature stravaganti. Si sognava per mesi (o anni) su una singola immagine vista su rivista, si attraversavano quartieri interi per noleggiare un gioco sperando che fosse ancora lì, pronto ad accoglierci per un’avventura irripetibile. Il marketing si faceva per strada, la console war si combatteva faccia a faccia, e il venditore era una creatura leggendaria. Un mondo folle e ingenuo, forse, ma proprio per questo indimenticabile.