Once Upon a Katamari Recensione: un ritorno surreale tra stelle e ricordi

Once Upon a Katamari Cover

Far rotolare un mondo è un’immagine estremamente poetica. Se poi viene resa con uno stile semplice e diretto, acquista ancora maggiore forza. Con questi presupposti, Once Upon a Katamari ci regala una sensazione unica di caos controllato, di meraviglia infantile e assurdità cosmica. In questa storia, adatta a un pubblico molto piccolo e non solo, non servono armi, missioni epiche o trame drammatiche. Bastano una palla adesiva, un principe dal cuore piccolo ma tenace e un universo da ricostruire un oggetto alla volta. Partendo dalla formula che ha reso celebre la saga, il tutto viene reinterpretato in un racconto che si muove in epoche diverse, in cui ogni capitolo diventa un frammento di fiaba e follia. Non resta altro che lanciarci dentro quest’esperienza che oscilla tra nostalgia e sorpresa.

Once Upon a Katamari West
Far rotolare una palla non è mai stato così assurdo.

Once Upon a Katamari: una fiaba che rotola nel tempo

I vecchi episodi della serie di Katamari ci hanno insegnato che non c’è bisogno di una trama lineare per essere affascinanti. In questo nuovo capitolo, l’universo è ancora governato dal Re del Cosmo, accompagnato dal piccolo Principe. Mentre il primo è tanto maestoso quanto vanitoso e sbadato, il nostro eroe ha l’ingrato compito di rimediare a tutti i suoi disastri. In Once Upon a Katamari, però, il disastro è veramente senza precedenti. Il Re, mentre gioca con un’antica pergamena, disintegra il cielo e sparge le stelle in epoche diverse della storia umana. Ovviamente siamo noi a dover porre rimedio a questo ennesimo disastro. Insieme al nostro Katamari, dobbiamo quindi rotolare per la storia dell’umanità e raccogliere letteralmente tutto il cosmo. Viaggiando attraverso l’Era Glaciale, l’Antico Egitto, il Giappone Feudale e altro ancora, dobbiamo porre rimedio ai problemi causati da nostro padre e riportare ordine nel firmamento. La Storia che incontriamo, però, non si basa sul realismo quanto sulla voglia di stupire e divertire. Così ogni epoca diviene il palcoscenico di meraviglie e assurdità, popolato da oggetti anacronistici, animali impossibili e gag cosmiche. Appare così la vera anima del gioco: una fiaba che nasconde al proprio interno una parodia del progresso, portandoci a riflettere sul caos dell’universo e sulla leggerezza necessaria per affrontarlo.

Da questo punto di vista, il titolo rappresenta perfettamente la saga di cui fa parte. Katamari Damacy è diventata nel tempo il simbolo di un certo tipo di videogioco giapponese: bizzarro, artistico, indifferente (o forse al di sopra) ad ogni regola occidentale di coerenza narrativa. Once Upon a Katamari abbraccia pienamente questo spirito e cerca di trasportarlo nell’epoca moderna. Rende omaggio al passato disseminando al proprio interno riferimenti ai capitoli precedenti con personaggi secondari, canzoni reinterpretate, citazioni del Re che solo i fan riconosceranno. Allo stesso tempo, il nuovo tema e la struttura più simile alla fiaba regalano una sottile vena malinconica e una spinta alla riflessione più marcata. Elementi che non vanno in contrasto con lo spirito della serie ma, anzi, le donano più spessore. Il viaggio del Principe diventa quasi una metafora del giocatore stesso, che raccoglie frammenti del passato, cercando di ricomporre un cielo che non esiste più. La leggerezza dell’assurdo sembra quindi sposarsi con la maturità introspettiva, tenute insieme da una tenerezza dei toni e delle espressioni che permette a tutti di vivere questa esperienza. Once Upon a Katamari, dal punto di vista narrativo, può dirsi completo e coinvolgente, regalando momenti di divertimento ai più piccoli e istanti di riflessione ai giocatori di più lunga data.

Once Upon a Katamari Filosofi
Oggetti da raccogliere, power up da utilizzare, tutto per salvare il cosmo.

L’arte del rotolare tra meccaniche e meraviglia visiva

Ovviamente, dopo la narrazione, uno dei punti più importanti del gioco è sicuramente l’estetica e la grafica. Possiamo definirlo in maniera molto semplice: Once Upon a Katamari è un caleidoscopio. I colori esplodono, le forme si deformano, le prospettive sembrano uscite da un sogno febbrile. Il viaggio nel tempo e nelle epoche viene valorizzato e caratterizzato in maniera specifica. Per questo motivo ogni salto temporale porterà a una palette di colori differente, unica per il periodo a cui siamo approdati. Insieme ai colori, potremo immergerci anche in toni e materie differenti, che rendono ogni livello unico. L’oro sabbioso dell’Antico Egitto, i blu ghiacciati dell’Età Glaciale o i neon deliranti del futuro sono solamente alcuni esempi dei mondi che siamo chiamati ad esplorare. Se dal punto di vista della gamma cromatica non possiamo assolutamente lamentarci, allo stesso tempo le forme molto spigolose degli oggetti e dei personaggi potrebbero essere anacronistiche e allontanare giocatori. Anche se la saga si è sempre identificata con uno stile minimalista, il gioco riesce comunque a sorprendere visivamente creando combinazioni differenti di colore, luci e texture. Il risultato finale è la sensazione di trovarsi all’interno di un quadro animato, un sogno interattivo che celebra l’assurdità del mondo invece di nasconderla.

Al centro di Once Upon a Katamari c’è sempre il suo sistema di gioco, semplice ma non per questo meno stimolante. L’obiettivo è quello di spingere il Katamari, una sfera attraente, e raccogliere oggetti sparsi per lo specifico livello. Man mano che raccogliamo oggetti, questi rimarranno attaccati alla sfera, aumentandone le dimensioni, con tutti i pro e i contro del caso. Se infatti una sfera più grande ci permette di raccogliere elementi dalle dimensioni maggiori, rendono però difficile passare attraverso gli spazi e manovrarla con facilità. Ogni epoca storica è una mini mappa che contiene al proprio interno livelli con diverse missioni, in alcuni casi molto stimolanti, in altri molto ripetitive. Comunicazioni improbabili da parte del Re del Cosmo che appaiono in centro allo schermo e una telecamera non del tutto collaborativa, rendono inoltre alcuni momenti molto snervanti. Da questo punto di vista, il gameplay avrebbe bisogno di essere rivisto. In ogni caso, le ambientazioni sono variegate e ricche di personalità. Contribuiscono a dare un senso di movimento al tutto. Ogni epoca introduce regole specifiche: superfici che si sgretolano nell’Era Glaciale, sabbie mobili nell’Antico Egitto, tempeste nel futuro artificiale. Un livello di difficoltà che aumenta gradualmente, rende l’avanzamento nel gioco stimolante ma non impossibile. Ad aiutare il giocatore vi sono alcuni potenziamenti, come magneti, razzi, timer che bloccano il tempo. Piccoli oggetti che possono modificare la strategia per raggiungere lo specifico obiettivo.

Sicuramente non è un gameplay che pretende realismo, ma riesce comunque a toccare delle corde semplici come il piacere puro del movimento e della crescita. Le missioni sono differenti, come raggiungere una specifica grandezza del Katamari nel tempo dato oppure raccogliere il numero o la tipologia di oggetti richiesti. Se all’inizio appaiono divertenti, alla lunga possono essere però ripetitive. In ogni caso, al completamento, il Re del Cosmo ci assegna un punteggio e la nostra sfera viene spedita nel cielo per diventare un pianeta o un satellite dal nome improbabile. Se invece falliamo, il nostro amato padre non manca di ricordarci che, se il gioco non piacerà ai fan, sarà solo colpa nostra. Lungo i vari livelli, inoltre, abbiamo la possibilità di raccogliere anche i nostri cugini, che per un motivo o per un altro si trovano in viaggio nel tempo anche loro. Una volta raccolti, all’interno della nostra navicella temporale, possiamo cambiare il Principe con loro e vivere l’avventura in panni differenti. Qui possiamo anche modificare il nostro stile o la musica di sottofondo. Una piccola aggiunta per dare un tocco di varietà e personalizzazione a tutta l’avventura, senza troppo successo. In ogni caso, Once Upon a Katamari è un gioco che diverte, rilassa e a tratti commuove per la sua ingenua poesia. Un’esperienza sensoriale, una metafora travestita da giocattolo che, nonostante il tempo trascorso dalla sua ultima comparsa, continua a brillare.


Dopo la nuova storia di Keita Takahashi, (leggete le news sull’arrivo di to a T) possiamo goderci anche Once Upon a Katamari. Un ritorno sorprendentemente coerente per una saga che, più di qualsiasi altra, ha sempre celebrato il disordine. Torto o ragione, sceglie di staccarsi dai canoni di realismo dei videogiochi moderni per un’esperienza più onirica e fedele alla saga. La grafica quindi appare spigolosa ma allo stesso tempo regala un caleidoscopio di colori e combinazioni differenti nelle diverse epoche storiche che siamo chiamati ad esplorare. Infatti stavolta il Re del Cosmo l’ha combinata grossa: giocherellando con un’antica pergamena, ha distrutto il cielo e le stelle. Adesso dobbiamo viaggiare nel tempo e nello spazio per andare a recuperare vari oggetti e ricostruire la Terra e l’universo. Con noi abbiamo sempre il Katamari, una sfera da far rotolare che attrae a sé ciò che incontra. Un gameplay così semplice viene applicato a diverse missioni nelle varie mappe del gioco che divertono nel breve periodo ma rischiano di annoiare alla lunga. Se aggiungiamo anche una visione di gioco non sempre di supporto, sicuramente di cose da sistemare ve ne sono ancora. L’anima della saga, però, c’è tutta e brilla della sua unicità. Dedicato a tutti coloro che cercano qualcosa di diverso anche se non perfetto, per perdersi nella semplicità di una sfera che rotola, riuscendo a ricostruire un intero universo.