Halls of Torment Recensione: mezzogiorno e mezzo di ruolo

Halls of Torment

Quando un team di sviluppo trova una combinazione di meccaniche di gioco che incontra il favore inatteso e travolgente del pubblico, la risposta dell’industria è quasi sempre la stessa: un’ondata massiccia di repliche più o meno ispirate che invadono il mercato a strettissimo giro. Esattamente ciò che è accaduto con la formula del bullet hell unita al roguelite e popolarizzata con successo dall’incommensurabile Vampire Survivors, opera dello studio poncle di Luca Galante, dal quale ha preso forma un’orda di cloni che variano poco o niente rispetto al modello originale (a sua volta ispirato da Magic Survivors, un titolo mobile del 2019), poiché orientati semplicemente verso la strada più facile e veloce per cavalcare l’onda del successo con il minimo sforzo. In questa nicchia affollata, riesce ad emergere soltanto chi osa innovare oltre che imitare, magari amalgamando l’essenza del survival con ingredienti prelevati da giganti di altri generi. Ed è precisamente il modo scelto dalla squadra teutonica di Chasing Carrots per consentire a Halls of Torment di farsi strada con prepotenza, sintetizzandolo quale frutto proibito di una chimica tanto azzardata quanto emblematica.

La sua identità visiva e atmosferica è un inequivocabile omaggio ai primi capitoli di Diablo, un richiamo nostalgico che si manifesta attraverso l’uso di una grafica che evoca i render precalcolati dei gloriosi RPG isometrici degli anni ’90. La giocabilità, incentrata sull’urgenza di sopravvivere a ondate incessanti di abomini infernali, è palesemente debitrice nei confronti del genere survivors-like (sarà lecito usare questo neologismo, ormai?), ma non si accontenta di calzare i panni di una pedissequa riproduzione: al contrario, ciò che la fa spiccare al di sopra della media risiede nell’introduzione delle meccaniche di progressione del personaggio e gestione dell’equipaggiamento prelevate di peso dalla tradizione dei dungeon crawler. Lungi dall’essere un banale assemblaggio di elementi noti, questa amalgama rappresenta l’unione di due forze ludiche opposte: la gratificazione immediata e frenetica del bullet hell e la soddisfazione ponderata e metodica della costruzione di un personale alter ego ruolistico. Il risultato è una miscela sorprendentemente coesa e avvincente, un massacro senza sosta giustificato dalla promessa di build sempre più devastanti e di cifre mastodontiche stampate a video, un’evoluzione molto ben congegnata che onora i maestri da cui ha appreso, mascherando con sagacia il proprio carattere derivativo.

Halls of Torment
Halls of Torment trasforma il massacro indiscriminato in espressione artistica

Halls of Torment: l’aritmetica della carneficina

L’ultimo sforzo di Chasing Carrots è, senza mezzi termini, l’archetipo della giocoleria dei grandi numeri. La sua filosofia è spietatamente efficiente: distruggi torme di orrori demoniaci, raccogli l’oro e l’esperienza che ne derivano, potenzia caratteristiche e strumenti di distruzione, e ripeti il ciclo contro nemici sempre più temibili. L’estrema semplicità di fondo è la sua più grande virtù, poiché riduce l’intera esperienza a una forma espressiva incontaminata e quasi senza precedenti nel suo genere. La necessità di spazzare via ogni cosa che si muove diventa la ragione d’essere delle spedizioni infernali, liberandoci da ogni distrazione superflua. Tutto ciò che è narrativo o di contesto è stato tagliato con chirurgica precisione: non esiste una trama prolissa, non ci sono dialoghi circostanziati né una lore eccessivamente invasiva a distogliere l’attenzione dai principi essenziali dell’azione. L’intero pacchetto è un roguelite crudo e senza compromessi, dove ogni singola azione compiuta è finalizzata unicamente all’aumento delle statistiche, traducendo in maniera palpabile la crescita progressiva del nostro campione. Si tratta di un approccio piacevole, magnetico e, soprattutto, coinvolgente oltre ogni dire: ti cattura, rinsalda la presa e non ti lascia andare finché non hai completato l’ennesima discesa negli inferi.

A differenza di altri titoli simili che tendono ad automatizzare completamente l’offensiva, Halls of Torment regala un tocco di deliberatezza in più. Sebbene la familiare modalità di fuoco spontaneo sia sempre presente e attivabile a piacimento, l’impostazione predefinita richiede un input per eseguire l’attacco base, che sia un clic del mouse o un direzionamento della levetta analogica, un dettaglio minore ma oltremodo significativo che conferisce al gioco sembianze più ragionate e meno vincolate al puro meccanismo da slot machine che caratterizza il suo più celebre predecessore, Vampire Survivors. Quando saliamo di livello, non abbiamo semplicemente la facoltà di selezionare un nuovo strumento offensivo da una cerchia casuale e ristretta, ma possiamo migliorare attributi fondamentali come la velocità d’attacco, la difesa o la forza a seconda di come vogliamo costruire il nostro eroe, spingendoci a lavorare attivamente per raggiungere una build efficace e sinergica. È proprio questo risvolto ruolistico che riesce a regalare una complessità per certi versi inattesa al titolo, facendolo di conseguenza spiccare dalla massa.

I modificatori di livello sono allettanti in termini di ricompense, ma attenti a non fare il passo più lungo della gamba

Anima di Rogue, corazza di Diablo

L’autentica, gratificante versatilità di Halls of Torment risiede nel peculiare sistema di crescita e nella presenza del bottino. Se i passaggi di livello permettono di affinare le statistiche di base, l’influenza da action RPG viene dalla possibilità di acquisire nuove abilità e, soprattutto, dotazioni. Le prime, come fulmini che colpiscono i nemici o dischi taglienti che si comportano come boomerang, non vengono garantite dall’esperienza accumulata ma si ottengono trovando oggetti specifici o sconfiggendo nemici potenti che le rilasciano. Una volta ottenuti, anche questi poteri possono essere potenziati, introducendo una dimensione gestionale assai poco comune per il genere: prendendo sempre come riferimento Vampire Survivors o titoli analoghi, dove è possibile massimizzare ogni abilità durante le singole run, qui siamo praticamente costretti a ponderare con cura dove investire i punti esperienza, privilegiando alcune caratteristiche a scapito di altre, con il rischio di fallire qualora la build dovesse rivelarsi inefficace per le sfide che si susseguono. Il gioco ci sfida insomma a ottimizzare, non solo ad accumulare.

Ma ciò che fa davvero la differenza è proprio l’equipaggiamento. Una volta sconfitti, i nemici più coriacei possono lasciar cadere elmi, armature, guanti, stivali e anelli che offrono bonus statistici sostanziosi, un chiaro e riuscitissimo prelievo dal DNA di Diablo. Sebbene la durata dell’oggettistica recuperata sia generalmente temporanea, possiamo fruire di una particolare meccanica per renderne permanente l’utilizzo: dopo aver salvato uno specifico PNG, i pozzi rinvenuti durante l’esplorazione fungeranno da tramite per salvare uno degli oggetti acquisiti e inviarlo all’hub centrale, dove potremo acquistarlo definitivamente per l’utilizzo in tutte le run future. Tale meta-progressione, basata su missioni e bottino permanente, aggiunge una sfumatura sorprendente, incoraggiandoci a tornare in battaglia per raccogliere e sbloccare sempre più elementi utili alla personalizzazione dei nostri campioni, e non solo per la pura e semplice gioia derivante dal perpetrare distruzione negli inferi.

L’atmosfera è il collante che tiene insieme tutte queste meccaniche. La scelta di una visuale isometrica e di scenari oscuri che riprendono il tratto grimdark tanto in voga alla fine degli anni ’90, accompagnati da una colonna sonora ossessiva e perturbante, aiutano a calarci immediatamente in un’ambientazione infernale che è un vero e proprio “tormento” da attraversare. Tuttavia, benché l’estetica sia formidabile, la ripetitività degli ambienti e di alcuni tipi di nemici, per quanto ben realizzati, a volte può dare la sensazione di percorrere in lungo e in largo sempre gli stessi livelli, un piccolo compromesso per una direzione artistica altrimenti incredibile e di grande impatto nostalgico.

Halls of Torment
L’estetica “diablesca” è uno dei punti di forza migliori per tutti i fanatici del genere

Halls of Torment: la classe non è acqua

La struttura di Halls of Torment è studiata per offrire sessioni di gioco veloci e occasionali, con una durata massima di circa 30 minuti per run, un tempo perfetto per la natura pick-up-and-play del genere. Nonostante la brevità delle partite, la profondità strategica non passa mai in secondo piano: le mappe, pur essendo vaste, possiedono una struttura fissa, ma la disposizione casuale dei materiali e dei nemici genera un costante fattore sorpresa anche dopo l’ennesima spedizione. L’avventura comincia in un campo base, dove abbiamo la facoltà di sbloccare nuovi personaggi e configurare le dotazioni permanenti prima di scendere in uno degli antri demoniaci. La necessità di mirare e attaccare in modo più attivo rispetto ad altri survivors-like, se optiamo per ignorare il fuoco automatico, mette alla prova riflessi e meningi in egual misura.

La curva di difficoltà è ben calibrata e le orde nemiche passano da “abbastanza gestibili” a “tremendamente caotiche” in un crescendo che ci obbliga a prendere decisioni fondamentali in una manciata di secondi. Il gioco premia l’ingegno e la capacità di schivare e temporeggiare con scaltrezza. Ulteriore elemento distintivo sono i boss, che appaiono periodicamente e che sfoggiano meccaniche uniche come attacchi che delineano aree da evitare, innalzando la sfida oltre la regolare passività delle manovre elusive. La presenza di un’ampia gamma di missioni da completare aggiunge un ulteriore strato di meta-progressione che guida il giocatore oltre la semplice sopravvivenza, fornendo una motivazione continua per reiterare le spedizioni nell’abisso. Il successo non dipende solo dal caso, ma dalla capacità di pianificare e modificare la propria build in base agli obiettivi.

In termini di varietà effettiva, Halls of Torment propone molteplici classi di eroi, ciascuna con modalità specifiche per divenire accessibili e stili di gioco nettamente diversi: dal classico Spadaccino armato di lama e scudo, alle spaventose tempeste elettriche dell’Incantatrice, dal Norreno che brandisce due gelide asce da guerra, fino al complesso ma divertentissimo Sterminatore con il suo lanciafiamme, è un assortimento che incide direttamente sulla rigiocabilità. Ogni personaggio richiede un approccio diverso e sinergie specifiche tra abilità, tratti e oggetti. La combinazione di un generoso roster di eroi e una vasta gamma di tratti e abilità consente una personalizzazione completa e una grande libertà di build, tanto che si possono creare stregoni che sfruttano parate e attacchi multipli per scatenare letali catene di fulmini o cacciatrici focalizzate su una particolare interazione tra oggetti specifici e il segugio che le accompagna per eludere al meglio gli attacchi dei nemici.

Il campo base si riempirà ben presto di ardimentosi campioni del bene… e di figure un po’ più losche

A espandere ulteriormente la formula contribuisce il recente contenuto scaricabile The Boglands (La Torbiera in italiano), che introduce una nuova, grande frontiera da esplorare: una palude oscura e infestata da spiriti irrequieti e alberi antropomorfi. L’espansione non si limita a una rinfrescata di scenario, ma porta con sé due nuovi eroi dal potenziale strategico elevatissimo: in primis la Megera, che sfrutta il potere della flora corrotta per intrappolare i nemici e diffondere l’effetto Decomposizione, una maledizione in grado di frantumare anche l’armatura dei nemici più resistenti; e poi l’Alchimista, un personaggio che moltiplica il potenziale degli elementi, scagliando misture volatili che possono essere personalizzate per l’impiego di fuoco, ghiaccio, fulmini o terra, quest’ultima sempre parte del DLC, e favoriscono le build che riescono a sfruttare più sostanze in contemporanea. Inoltre, il rilascio del DLC a pagamento è stato accompagnato da un sostanzioso aggiornamento gratuito per tutti, noto come “Bardcore”, che introduce un ulteriore personaggio (il Bardo, per l’appunto) con relativi poteri, artefatti e musiche, oltre a un sostanzioso rifornimento di missioni. The Boglands non è insomma una banale appendice estetica provvista di poche aggiunte superficiali tanto per allungare il brodo, ma una dimostrazione concreta dell’impegno costante degli sviluppatori per continuare a sperimentare con l’intelaiatura ludica di Halls of Torment preservando il bilanciamento complessivo delle meccaniche.

La bellezza del sistema risiede nel fatto che, per quanto contenga una notevole profondità strategica, non va a perdersi in inutili lungaggini ma guida il giocatore verso le sinergie senza prenderlo per mano, invitandolo alla sperimentazione continua. L’elevatissimo numero di oggetti da combinare è una sorgente pressoché inesauribile di componenti per creare la formula di distruzione definitiva. Il sentore di crescita perpetua, e la conseguente gratificazione immediata che deriva dal vedere la propria creazione che falcia intere legioni di avversari, è ciò che rende il ciclo di gioco intenso e compulsivo, un coinvolgimento a tutto tondo che di rado viene raggiunto dalle schiere fotocopiate di analoghi.

Il coordinamento tra armi e abilità è fondamentale per la costruzione delle build più efficaci

Solo un’altra e poi smetto

Oltre agli aspetti centrali, vale la pena sottolineare quanto il profilo tecnico sia estremamente rigoroso e ben ottimizzato. La messa in opera è stata eseguita a regola d’arte, con una fluidità che non viene meno neppure quando lo schermo è completamente saturo di mostri ed effetti particellari, un fantastico sfoggio di lucidità progettuale che contribuisce in gran parte alla soddisfazione recepita da chi ne fruisce, e che si sposa senza soluzione di continuità alla succitata mole di contenuti priva di riempitivi: ogni singolo componente dell’insieme serve a espandere la ricchezza e la profondità delle personalizzazioni, e non deve sottostare a particolari intoppi prestazionali.

Altro fattore da considerare, specialmente in relazione al suo recente approdo su console, è la qualità della conversione. La transizione dal PC, dove il gioco ha avuto origine e successo, alle console si è rivelata di altissimo livello. Data la sua natura pick-and-play e la scelta tra attacco automatico o direzionato, il titolo si presta benissimo all’utilizzo con un controller. Interessante notare inoltre come l’intero progetto sia stato realizzato con il motore open-source Godot, spesso avvertito come meno adatto a titoli con un alto volume di calcolo e di sprite su schermo. Il fatto che il gioco mantenga una fluidità eccezionale, anche con migliaia di nemici e proiettili contemporaneamente, è una chiara dimostrazione di competenza da parte degli sviluppatori e della maturità raggiunta dal motore grafico.

Nonostante ciò, alcuni potrebbero maturare la percezione che i nemici siano troppo aggressivi per essere affrontati efficacemente da determinate classi senza un considerevole investimento nei confronti di build specifiche, limitando in parte la libertà “costruttiva” che il titolo porta come fiore all’occhiello. Ma si tratta di un difetto tutto sommato veniale e spesso risolvibile con una distribuzione di abilità più attenta, che non inficia in alcun modo il giudizio complessivo. Considerato pure il prezzo, il pacchetto offerto da Chasing Carrots è un vero affare tanto per i veterani quanto per i neofiti, che potranno dunque godere di una delle declinazioni più brillanti e riuscite del filone a cui appartiene in cambio di una cifra oltremodo ragionevole.


Halls of Torment è l’apoteosi della fusione di generi, un distillato del senso di dipendenza e dell’azione ininterrotta dei bullet hell alla Vampire Survivors arricchito dalla profondità strategica, dal loot gratificante e dalle atmosfere più tetre dei grandi action RPG in stile Diablo. Il connubio risultante è un “survive ‘em up” ingegnoso e coinvolgente, in grado di emergere una spanna al di sopra della concorrenza grazie a un sistema di crescita e gestione progressiva delle build che aggiunge dinamismo e poliedricità essenziali a quella che, altrimenti, sarebbe stata un’imitazione come tante altre. Con un quantitativo gargantuesco di contenuti, merito anche del recente DLC, e un’esecuzione tecnica impeccabile, quella confezionata da Chasing Carrots è un’esperienza assolutamente raccomandata e meritevole di uno status d’eccellenza assoluta nel suo oramai frequentatissimo genere.


 

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.