Grand Theft Auto VI e il giusto rinvio di Rockstar ovvero di come l’Arte se ne f***e delle scadenze. E di voi.

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Rockstar ha rimandato Grand Theft Auto VI. Il popolo ha urlato. Il mio collega Mossgarden ha scritto quello che andava scritto. Io ci metto un altro strato di carta vetrata sopra.

Parto da lui perché è raro, oggi, leggere un articolo che non si inginocchia davanti all’isteria social. Gianpaolo ha centrato il punto: non c’è nessuno scandalo nel fatto che il gioco più atteso al mondo, che costa cifre fuori da ogni logica e che deve reggere sulle spalle l’intero mito Rockstar, venga spostato più avanti, a novembre 2026, magari oltre. Il vero scandalo è il contrario, cioè quando un’azienda butta fuori un prodotto incompleto e poi ti parcheggia nel girone delle patch. Qui invece uno studio ha detto: ci serve più tempo, perché vogliamo darvi quello che vi siete messi in testa. E lo ha detto sapendo che così spenderà di più e incasserà più tardi. Questa si chiama assunzione di responsabilità, non presa in giro.

Il problema non è Rockstar. Il problema è il ragazzino viziato che batte i piedi.

Quello che ha fatto l’abitudine all’immediatezza, al “tutto e subito”, al mantra “Day One uguale divinità”. Quello che scambia il suo desiderio per un diritto. Quello che pensa che la creatività si comandi con il calendario, come se Sam Houser dovesse guardare i suoi turni di scuola guida per decidere quando far uscire Grand Theft Auto VI. Il problema, diciamolo, sei tu che hai dimenticato come nascono davvero le opere che restano.

Perché c’è una cosa che dovremmo tutti ricordare e che il pezzo di Mossgarden suggerisce tra le righe: alcuni lavori esistono solo se il loro autore si prende tutto il tempo che gli serve. Non un minuto in meno. E questa è una lezione che non viene dai videogiochi di oggi, viene dalla storia dell’intrattenimento, da chi ha rischiato miliardi, reputazione e carriera per non scendere a compromessi. Viene da James Cameron. Viene perfino da un gruppo di folli inglesi chiusi in un capannone a Twycross che a metà anni Novanta, con una licenza di film su cui non credeva nessuno, ti hanno scritto una pagina di storia del videogioco.

Ascoltate queste storie, ok?

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Ci vorrà ancora un po’ di tempo prima di poter mettere le mani su GTA VI

Titanic e Avatar: la doppia lezione del Sensei Cameron

Titanic non è un film romantico a caso che ha fatto tanti soldi. Titanic è stato per un pezzo di Hollywood una bestemmia industriale. Cameron ci arrivava dopo “filmetti” come Aliens, Terminator 2 e True Lies, quindi uno che poteva permettersi molto, ma non tutto. E invece cosa fa? Spinge per un film in costume, costosissimo, tecnicamente impossibile per l’epoca, da girare in acqua, con un set ricostruito, con effetti misti, con un controllo maniacale su ogni inquadratura. I soldi salivano e gli executive sbiancavano. Per mesi la stampa americana scriveva che Titanic era il nuovo Heaven’s Gate, cioè il film che affonda con lo studio sopra. C’era già il necrologio pronto. Cameron che fa. Stringe i denti, continua a girare, continua a montare, continua a chiedere tempo, perché sapeva una cosa che il pubblico non sa mai: quando un’opera è a un passo dal diventare iconica, fermarsi prima significa condannarla alla normalità. E la normalità non ripaga 200 milioni di dollari di budget. Quello che ripaga sono i momenti da imprimere nella memoria di una generazione. Quelli richiedono tempo.

Stessa storia con Avatar, solo più lunga e ossessiva. Cameron aveva in testa Pandora dagli anni Novanta ma non aveva gli strumenti per farla. Quindi non ha detto facciamone una versione un po’ bruttina che poi la patchiamo. Ha detto aspettiamo che la tecnologia arrivi a quello che ho in testa io. È il contrario di quello che il mercato ti chiede. Il mercato ti dice usa quello che c’è. L’autore ti dice no, creo quello che mi serve. Per Avatar, Cameron ha spinto l’industria a sviluppare performance capture avanzatissima, pipeline nuove, 3D che funzionasse davvero. Ci ha messo più di dieci anni per far uscire un capolavoro che, quando è uscito, ha stabilito il record di incassi di tutti i tempi, superando… Titanic. E anche coi sequel, guarda caso, siamo lì. Ritardi, slittamenti, anni che passano. Non perché gli piace torturare gli spettatori. Perché il livello produttivo e tecnologico che si è imposto ha quell’unico costo: il tempo.

Morale: nessuno oggi direbbe che Titanic doveva uscire sei mesi prima, giusto. Nessuno direbbe che Avatar sarebbe stato meglio con due anni di sviluppo in meno. È evidente a tutti che quei film sono così perché qualcuno ha avuto la forza di dire al mondo: “Mi dispiace ma non è pronto, ci vediamo dopo”. E quando ci siamo visti dopo, era meglio per tutti. Perché Rockstar non può fare lo stesso con GTA VI?

Avatar la via dell'acqua
Avatar ha richiesto anni per essere realizzato, e i suoi sequel hanno dovuto attendere tempo prima di vedere la luce!

GoldenEye 007 per Nintendo 64. Il capolavoro che nasce perché nessuno ci stava correndo dietro

Passiamo ai videogiochi, così smettete di pensare che sono paragoni azzardati. GoldenEye 007, Rare, metà anni Novanta. Sulla carta doveva essere il classico tie-in di film, realizzato in fretta per sfruttare la finestra di uscita. Doveva essere uno sparatutto, sì, ma dentro i parametri. Solo che Rare in quel periodo era una fucina di matti talentuosi e nessuno aveva capito davvero quanto fosse potenzialmente rivoluzionaria la cosa che stavano facendo. Il team non era enorme, comunque. Era gente che stava sperimentando su una console un genere, gli FPS, che sembrava esclusivo appannaggio dei PC. E che fa, Rare? Invece di fare il compitino in linea con il film, allarga il progetto, introduce missioni strutturate, intelligenze artificiali che reagiscono, livelli aperti con obiettivi multipli. E soprattutto, tardi nel ciclo di sviluppo, nasce l’idea del multiplayer a schermo condiviso a quattro. Quella roba che ha fatto giocare un’intera generazione sul divano. Quella roba che non era prevista all’inizio e che se avessero dovuto correre per uscire con il film non avremmo mai visto.

GoldenEye è uscito in ritardo rispetto al film. Eppure è entrato nella storia perché ha avuto la possibilità di maturare. Perché Nintendo e Rare non hanno schiacciato il tasto panico dicendo no ragazzi, deve uscire per forza a questa data, togliete quello, togliete quest’altro. Hanno lasciato che il gioco diventasse quello che poteva diventare. Risultato. Un classico che ha definito gli FPS su console, che ha inaugurato una grammatica, che ancora oggi viene citato quando si parla di design di livelli e di missioni. Se avessero rispettato i tempi di marketing sarebbe stato uno sparatutto su licenza di cui non si ricordava nessuno.

GoldenEye 007 è stato sviluppato con la dovuta calma… e a distanza di anni verrà anche riproposto con una nuova veste

Grand Theft Auto VI: torniamo a Rockstar

Rockstar è in una posizione infinitamente più rischiosa di quelle due storie. Cameron rispondeva a Hollywood, ok. Rare rispondeva a Nintendo, ok. Rockstar invece risponde ai fan di GTA, cioè alla platea più rumorosa, più bulimica e più facile al linciaggio digitale che esista. Parliamo di un gioco che quando uscirà sarà sezionato al pixel, paragonato in tempo reale con trailer di tre anni prima, messo a confronto con aspettative spesso irrealistiche. Un gioco in cui se il primo giorno il server tossisce è trend topic del mondo. E voi vorreste che lo facessero uscire prima? Voi vorreste che dicessero: “Vabbè, dai, andiamo… poi si sistemerà…”. Questo dopo aver visto Cyberpunk che ha dovuto farsi perdonare per anni, dopo aver visto No Man’s Sky resuscitare con un lavoro titanico, dopo aver visto intere community insorgere per una texture. Eppure Mossgarden l’ha scritto chiaramente: in un’industria dove la cosa accettata è pubblicare incompleto e poi aggiustare, il fatto che Rockstar dica no, aspettiamo, è un segnale virtuoso. Vuol dire che non vogliono finire nel calderone delle promesse mancate. Vuol dire (spero) che vogliono che quando voi lascerete il gioco, questo sia già come deve essere.

Qui c’è un altro punto che non piace ai social, ma va detto. Se Rockstar ritarda, ci rimette solo Rockstar. Quel mese in più o in meno, noi non lo paghiamo. Loro sì. È tempo di personale, è tempo di QA, è tempo di marketing da riprogrammare, è tempo di partnership da ricalibrare. Tutte spese. Se davvero volessero mungere GTA V ancora un po’, come dicono i complottisti da forum, non avrebbero alcun bisogno di inventarsi un rinvio. GTA V è già la mucca più munta della storia del medium. Se dicono che rinviano, è perché sanno che GTA VI deve uscire in uno stato che non lasci adito a dubbi. Perché se GTA VI esce difettoso, poi non lo perdonerà nessuno.

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“Se Rockstar ritarda, ci rimette solo Rockstar”

Grand Theft Auto VI: perché il pubblico si arrabbia

Perché il pubblico vive di anticipo, non di cultura del prodotto. Perché è più facile fare il tweet polemico che ragionare su cosa significa davvero sviluppare un gioco con quelle ambizioni. Perché si è diffusa l’idea tossica che l’utente debba avere sempre l’ultima parola. Ma l’utente è fondamentale quando giudica ciò che ha in mano, non quando pretende di dettare il tempo (e i modi) della creazione. Quelle cose le decide l’autore. Le decide Rockstar. Il pubblico può solo chiedere che, una volta uscito, il gioco sia all’altezza. Ed è esattamente ciò che sta succedendo. Un ulteriore rinvio per rendere l’opera ciò che gli autori desiderano che sia. 

E qui vi dico una cosa che forse non vi piacerà. Se non siete disposti ad aspettare, non meritate Grand Theft Auto VI, ma solo l’ennesimo open world a checklist, fatto in serie, con la fisica di cartone e i PNG fatti col generatore. Meritate la standardizzazione che dite di odiare. Perché è esattamente l’impazienza del pubblico che alimenta la produzione seriale. Volete l’opera eccezionale? Accettate anche il tempo eccezionale.

Alla fine spetta a Rockstar Games decidere quanto uscirà il gioco

Conclusione (che in realtà è un invito)

Il pezzo di Mossgarden è la risposta adulta a una reazione infantile. Dice semplicemente: calma. Rockstar non sta mancando di rispetto a nessuno. Sta facendo quello che dovrebbero fare tutti, cioè prendersi tutto il tempo necessario per non lanciare una mezza cosa. Se questo significa che lo giocheremo dopo, bene. Se significa che lo giocheremo nel 2027, ancora meglio, perché vorrà dire che si sono spinti ancora più in là. E nel frattempo i videogiochi da giocare non mancano. Quindi smettiamola di fare i bambini davanti alla porta di GameSt- ehm, GameLife. Nessuno vi deve niente, oggi. Al massimo, vi devono un grande Grand Theft Auto VI domani. E per quello ci vuole tempo. Lo stesso tempo che si è preso Cameron per farci affondare insieme al Titanic, o volare sui cieli di Pandora. Lo stesso tempo che si è presa Rare per creare quell’opera d’arte eterna che è GoldenEye.

Il resto? Ragazzi, il resto è rumore. E non mi risulta che il rumore abbia mai sfornato capolavori.

https://www.youtube.com/watch?v=VQRLujxTm3c&t=2s