Total Chaos Recensione: le molte forme dell’inferno in terra

Trigger Happy Interactive, lo studio sorto e diretto dalla visione di Sam Prebble, giunge al suo secondo progetto dopo l’acclamato successo di critica e pubblico di Turbo Overkill; nondimeno, la nuova opera non costituisce soltanto un ritorno alle origini, quanto un riavvolgimento del nastro fino al punto germinale. Total Chaos, infatti, è il remake dell’omonima e splendida mod di Doom 2, pubblicata nel 2018, considerata a pieno titolo nella categoria delle total conversion, trasmutando di fatto un FPS puro in un survival horror psicologico di sbalorditiva fattura, unanimemente apprezzato per la sua qualità.

È perciò naturale il recupero dell’opera e di eseguirne un rifacimento integrale dal profilo tecnico, migrando dall’ambiente limitato di GZDoom a Unity. Ciò che maggiormente mi ha colto di sorpresa, tuttavia, nell’indagare l’originale, è che la quasi totalità degli elementi presenti in questo remake era già intrinseca nella mod primigenia, confermando che il lavoro predominante qui è stato di rinnovamento grafico e calibrazione piuttosto che di sostanziale alterazione. Purtroppo (o forse provvidenzialmente, a seconda del punto di vista), questo rifacimento evita stravolgimenti radicali, evenienza che potrebbe deludere i veterani. Sebbene l’intento conservativo sia apprezzabile, le opportunità mancate per osare una rilettura più audace del materiale di base non sono poche.

Quando ho iniziato a giocare, ero preoccupato per le sue origini, temendo che il suo stile retrò potesse emergere con eccessiva prepotenza. Sospetto quasi del tutto infondato, sebbene il combattimento e il movimento elastico richiamino le sue radici di boomer shooter. La narrazione, peraltro, è rimasta sostanzialmente inalterata: nel tentativo di rispondere a un segnale di soccorso, il protagonista naufraga sulle coste di Fort Oasis, un’isola misteriosa.

Un tempo fiorente e prospera colonia mineraria, l’isola ora cela un passato oscuro e qualcosa è appena degenerato in modo terrificante. Total Chaos non indugia nell’immergere il giocatore in un turbine di orrori, ma il suo horror diretto e immediato si trasmuta presto in un’esperienza più psicologica e distorta, e questo è il limite della mia rivelazione. Non lasciatevi ingannare dal prologo iniziale in stile walking simulator: superata la fase tutorial, l’opera di Prebble si afferma come puro horror d’azione.

total chaos
Alcune sequenze gelano il sangue.

Psychosocial

Le influenze in gioco sono molteplici: la rapidità del movimento tradisce le origini del prodotto, conferendo un ritmo estremamente frenetico, tanto nell’esplorazione quanto nel combattimento. Lo scontro si articola in un equilibrio tra le armi da fuoco e l’uso dell’arma bianca, evocando a tratti le migliori fasi di Condemned, cui si aggiunge però una gestione meticolosa dell’inventario e delle risorse, che rinforza la componente survival dell’esperienza.

Nonostante la narrazione si snodi attraverso topoi triti dell’orrore, essa è sapientemente ordita: la figura di un uomo tormentato dal suo passato, le sue allucinazioni dilaganti, i colpi di scena calibrati e una lenta ma inesorabile discesa nella follia e nella disperazione costituiscono l’ossatura del racconto. L’opera è impreziosita da finali multipli e, grazie alla modalità Survivalist (una difficoltà aggiuntiva), la rigiocabilità ne risulta amplificata.

Riassumendo, Total Chaos si configura come un survival horror al contempo accessibile e intenso, forte di un’esplorazione che premia la creatività, di segreti reconditi, di mostri dall’inventiva notevole e di un combattimento frenetico, riuscendo a intercettare con maestria la quintessenza del genere ed offrirne una variante assolutamente originale. L’avventura è suddivisa in capitoli ma il mondo è interconnesso con tanto di shortcut per accorciare i percorsi, ciascuno dei quali esibisce una notevole varietà di meccaniche e situazioni: si alternano sequenze di fuga, combattimenti all’arma bianca, scontri contro nemici numerosi e la necessità di aggirare mostri virtualmente invulnerabili.

Alcune aree risultano lineari e di facile lettura, ma la maggior parte impone una costante attenzione e un paziente backtracking che ci porta a rivisitare alcune zone precedentemente inaccessbili dopo aver raccolto oggetti in grado di aprire nuovi percorsi. Il gioco è un crescendo, anche se i capitoli centrali sono quelli che stupiscono di più, sia per il posizionamento dei nemici che per le situazioni proposte. Sebbene l’energia narrativa si eclissi leggermente negli ultimi due capitoli, che ripropongono dinamiche ormai familiari, la qualità media generale resta molto alta. La modalità New Game+ non sarà disponibile al lancio, ma è stata promessa per un futuro aggiornamento.

È opportuno precisare che Total Chaos adotta una progressione di stampo old school, che non costituisce ipso facto un difetto, ma potrebbe non essere apprezzata universalmente. Il titolo, infatti, non indulge in eccessive spiegazioni o tutorial; ne sia esempio la visione, in lontananza, di strane distorsioni che celano un nemico suicida: l’unico indizio per il giocatore, un mattone strategicamente collocato in un angolo, funge da silente monito, suggerendo l’utilizzo degli oggetti da lancio come unica contromisura efficace contro i nemici kamikaze in questione.

L’identico principio si manifesta in un’impegnativa sessione di nascondino, nella quale sarà gradualmente svelata la via per uscirne indenni. In sostanza, il titolo non solo sollecita la sperimentazione, fornendo solo le fondamenta della struttura di gioco, ma ricompensa lautamente la sagacia del giocatore con meccaniche recondite e dettagli ingegnosi disseminati in ogni dove. Ne sia esempio la scoperta che un avversario può essere dato alle fiamme non solo lanciandogli una bottiglia di liquido alcolico in prossimità di una fonte ignea (come candele o bidoni ardenti), ma anche cospargendolo preventivamente del liquido infiammabile e spingendolo successivamente con veemenza (mediante lo scatto) contro il fuoco stesso.

Il gioco è saturo di meccaniche supplementari e varianti a quelle basilari, pronte per essere desunte e adoperate, a condizione che l’utente sia avvezzo alla prova e alla curiosità, e che non sia incline a richiedere una fruizione didascalica o una spiegazione pedissequa di ogni singola interazione. Qualora si prediliga un’esperienza interamente guidata, è probabile che l’esperienza risulti frustrante e confusa, poiché Total Chaos si adopererà con ogni mezzo per rendere l’avventura ardua e ostica.

Anche l’esplorazione, ad esempio, si rivela estremamente esigente: ammetto serenamente che, nella mia esperienza, ho avuto più volte difficoltà a ritrovare l’orientamento e a organizzare i miei pensieri per decifrare il cammino da percorrere. Non è tanto il “come” che genera il problema, poiché in questo l’architettura ludica è assolutamente lineare, è sufficiente esplorare fino a ottenere la chiave successiva (o l’oggetto) che consente di sbloccare varchi e accessi prima preclusi. La difficoltà risiede invece nel fatto che questi accessi sono distribuiti in zone piuttosto vaste e, soprattutto, discretamente labirintiche e fortemente omogenee. L’assenza di una mappa, o meglio, l’esistenza di documenti cartacei con mappe disegnate che non offrono un sussidio significativo all’orientamento, non facilita l’impresa. Probabilmente tale disorientamento è ascrivibile a un limite personale, ma il design delle aree pone oggettivamente una notevole sfida alla navigazione.

Alcune sezioni riescono a creare angoscia come pochi altri videogiochi; le sezioni in acqua sono sicuramente tra queste.

Into the Pit

La gestione dell’inventario, per quanto semplice e a tratti goffa, è un elemento cardine della struttura ludica , poiché, benché più generosa della media del genere in termini di spazio, essa impone al giocatore limitazioni significative in caso di eccesso ponderale. Il superamento del peso massimo ammesso riduce drasticamente la velocità di movimento e la rigenerazione della stamina, un malus il cui impatto negativo sulle performance è palese e incontestabile. Una delle soluzioni più funzionali per mitigare tale onere è la combinazione di oggetti tramite un efficace sistema di crafting, che orienta il giocatore verso le risorse cruciali attraverso progetti espliciti, lasciando il resto alla curiosità e alla sperimentazione.

Cure, munizioni e armi da mischia sono interamente demandate a questo sistema, poiché l’affidamento alla mera raccolta di oggetti sparsi nei livelli o nelle casse distruttibili non garantisce un accesso sufficiente per la sopravvivenza. Fort Oasis è infatti decisamente parco di risorse, rendendo il crafting non un’opzione ma un’imperativa necessità. Si tratta di una soluzione di design collaudata per generare tensione e rafforzare la classica atmosfera di disperazione, e che nondimeno risulta straordinariamente efficace. Total Chaos riesce nell’intento di rendere le poche armi a disposizione del giocatore percepite come potenti, anziché come improvvisate e inefficaci, pur essendo, nella realtà dei fatti, armi di fortuna.

Persino un piccone destinato a infrangersi può rivelarsi micidiale se si padroneggia l’arte della parata e si impara a dosare la pressione del tasto d’attacco quel tanto che basta per sferrare un colpo caricato contro le mostruosità che si annidano nell’oscurità. La rigenerazione della stamina è copiosa; pertanto, quando le munizioni scarseggiano o si desidera preservare risorse preziose, la fuga si configura come una strategia efficace, a patto di non soccombere all’inganno dei livelli più labirintici, vista l’assenza di una mappa nel senso tradizionale del termine. Laddove nei survival horror tradizionali la lentezza e l’impaccio dei movimenti accentuano il senso di impotenza, Total Chaos adotta un ritmo più sostenuto e dinamico, rendendo il gameplay continuo e riducendo la tediosità del backtracking.

Il fucile a pompa, com’era lecito attendersi da un titolo sorto come variante di Doom, costituisce uno dei vertici dell’esperienza ludica; eppure, anche trafiggere i mostri con arpioni o impiegarli in deflagrazioni indotte da ordigni artigianali offre un notevole grado di soddisfazione.  Il sistema di combattimento corpo a corpo, pur annoverando una certa profondità intrinseca, non riserva le medesime gratificazioni e alterna momenti di pregevole fattura ad altri di frustrante inefficacia. Una volta superata la mera superficie, si accede tuttavia al cuore dell’esperienza, ossia i sistemi che conferiscono una profondità autentica alla parte survival dell’opera.

La fame e la sanità mentale sono, insieme a diversi altri parametri, elementi da monitorare costantemente, avvicinando Total Chaos a parenti insospettabili come le serie STALKER e Amnesia, pur mantenendo il titolo su un percorso autonomo e inequivocabile. Se il parametro della fame serve a scongiurare che il giocatore vaghi senza meta, il sistema della follia introduce un’evoluzione ben più radicale nelle fasi avanzate dell’avventura, alterando in modo significativo l’esplorazione e la progressione nei labirinti più intricati.

Total Chaos si annovera tra quei rari horror che, pur apparendo semplici in superficie, sanno sorprendere con svolte improvvise non appena se ne iniziano a comprendere le dinamiche. Il risultato è un’opera che evoca un senso di profonda nostalgia pur risultando intrinsecamente nuova.

Questo è quanto di più vicino ad una mappa riuscirete ad ottenere in alcune zone.

Head like a hole

Total Chaos si presenta con una realizzazione tecnica che trascende ampiamente le aspettative riposte in un’opera sorta come mod di Doom II. L’assenza di salti o scale conferisce al titolo una suggestione vicina al dungeon crawler di vecchia scuola. Gli ambienti sono cesellati con dovizia di particolari, con nebbia e fonti luminose ben curate e d’effetto, merito della migrazione su Unity dopo l’abbandono dell’Unreal Engine scelto inizialmente. I temi della follia, del body horror e del gore di matrice industriale si intensificano progressivamente, mantenendo un’atmosfera costantemente oppressiva e inquietante.

Nonostante l’aspetto non si avvicini ai i migliori esponenti del genere, pochi giochi riescono a instillare nel giocatore una sensazione così pervasiva di essere costantemente braccato. La medesima eccellenza si riscontra nel design delle mostruosità, le quali sono introdotte da entrate in scena spettacolari che impongono l’adozione di approcci specifici e creativi per sopravvivere. Alcuni nemici, ad esempio, possono essere storditi temporaneamente scagliando un martello o un mattone nella loro fauci gigantesche. Altri consentono manovre più dirette, mentre determinate creature risultano praticamente invincibili e richiedono l’applicazione di una strategia ponderata per essere eluse o sconfitte.

Tale eccellente concezione dei nemici mantiene il giocatore in stato di vigile allerta, scoraggiando categoricamente l’attacco frontale e sconsiderato. Meno convincente, invece, è la sorprendente assenza, almeno allo stato attuale, di concrete opzioni grafiche su PC, limitate alla risoluzione, alle soluzioni di antialiasing, alla qualità delle texture e a una esigua selezione di effetti base come il post-processing leggero. Tale lacuna penalizza l’adattamento del gioco a diverse configurazioni hardware, manifestando uno scaling piuttosto deludente.

Anche il grado di difficoltà, al momento, non contempla alcuna forma di scalabilità e, sebbene l’avventura non sia intrinsecamente proibitiva, l’omissione di una gestione attenta delle risorse può condurre rapidamente a serie difficoltà.

L’autentica protagonista dell’esperienza ludica, tuttavia, si rivela essere la tessitura sonora: essa abbraccia ogni elemento, dai suoni cupi e viscerali degli ambienti delle condotte fognarie ai gutturali rumori delle aberrazioni, fino agli urli agghiaccianti delle minacce visibili e di quelle invisibili. Il giradischi, impiegato quale punto di quiescenza per il salvataggio, emette un motivo musicale di una disturbante quiete che si evolve e si altera nel corso del tempo, acuendo l’inquietudine.

Un cammino sospeso nell’oscurità e nella follia che diventerà man mano più chiaro capitolo dopo capitolo

Le rare voci umane presenti sono state interpretate con lodevole maestria, inclusa quella della guida misteriosa che intercede via radio. Sebbene il protagonista non proferisca parola direttamente, il suo respiro affannoso, i grugniti di sforzo e le registrazioni ambientali rinvenute contribuiscono a costruire una profonda immersione psicologica. Questo impianto sonoro è cruciale per la tensione atmosferica, agendo come principale indicatore sensoriale e pilastro del terrore psicologico: i suoni non sono un mero complemento, ma la chiave per percepire l’ambiente e l’imminenza del pericolo.

A suggellare l’eccezionale qualità acustica dell’opera, si annovera la partecipazione di un maestro indiscusso del genere: Akira Yamaoka, la cui traccia apportata amplifica la risonanza del titolo con la nobile stirpe del survival horror d’atmosfera, elevando definitivamente il sound design a elemento portante dell’intera architettura ludica.

Total Chaos è un titolo che ha richiesto diverse ore prima di permettermi di penetrare davvero nelle sue dinamiche e nei suoi ingranaggi più profondi. In un primo momento procedevo quasi per dovere, irritato dall’assenza di una mappa e da un mondo interconnesso in cui smarrirsi è questione di un attimo, soprattutto nelle fasi iniziali. A poco a poco, tuttavia, ho cominciato ad ambientarmi, a decifrare le logiche dell’universo distorto che avevo innanzi, a comprendere ciò che serviva per sopravvivere.

Ho iniziato a depositare le armi superflue nei pressi dei punti di salvataggio, consapevole che vi sarei transitato nuovamente per esplorare corridoi e diramazioni ancora inesplorate; e, gradualmente, ogni elemento ha trovato il proprio posto con sorprendente naturalezza. Ho iniziato a cucinare, a gestire con cura l’arsenale, a studiare quali strumenti risultassero più efficaci per abbattere le mostruosità che mi si paravano davanti. Mi sono ritrovato immerso fino al collo, e il gioco ha ricambiato tale dedizione trascinandomi in un’esperienza colma di follia, sofferenza e  (evento per me rarissimo nei videogiochi) autentico terrore e angoscia.

Sì, in più di un frangente ho provato una paura genuina, sensazione che non sperimento quasi mai. Altre volte, l’atmosfera era così cupa e opprimente da togliermi letteralmente il respiro e, da quel momento in avanti, non ho più staccato le dita dalla tastiera fino ai titoli di coda, rapito dalle visioni deliranti a cui ho assistito e sedotto da una fascinazione inaspettatamente intensa.


Total Chaos non ambisce alla perfezione, ma riesce appieno nel suo intento di essere un incubo privo di clemenza, immergendo il fruitore nella disperazione e costringendolo a un’inventiva costante per la sopravvivenza. La sua più grande riuscita risiede nella fusione organica di meccaniche eterogenee: unisce la velocità d’azione tipica di Doom e lo scontro corpo a corpo alla maniera di Condemned, con la gestione rigorosa delle risorse e la tensione psicologica del survival horror più puro. Tutte le dinamiche, compreso il crafting e l’uso oculato dei consumabili, richiedono una padronanza ottimale, rendendo l’avventura abbordabile solo se affrontata senza distrazione né superficialità. Supportato da una narrazione curata e da un’ambientazione claustrofobica di rara efficacia, questo ibrido è destinato a polarizzare il pubblico. Si suggerisce pertanto la prova della demo per discernere la compatibilità, riconoscendo in esso un prodotto singolare e di cui si dibatterà a lungo tra i cultori del genere. Io lo porto con me come un’esperienza tanto inattesa quanto intensa. 


Provengo da un’epoca particolare, in cui le edicole vendevano videogames e le sale giochi erano giungle urbane abitate da creature stravaganti. Si sognava per mesi (o anni) su una singola immagine vista su rivista, si attraversavano quartieri interi per noleggiare un gioco sperando che fosse ancora lì, pronto ad accoglierci per un’avventura irripetibile. Il marketing si faceva per strada, la console war si combatteva faccia a faccia, e il venditore era una creatura leggendaria. Un mondo folle e ingenuo, forse, ma proprio per questo indimenticabile.