Made in Italy

L’Italia prova a crescere: luci, ombre e prospettive del Made in Italy videoludico

Dopo un periodo di stasi durato fin troppo, l’industria videoludica italiana è tornata a dar segni di vita: dati alla mano, il 2025 ha infatti evidenziato segnali incoraggianti nel processo di maturazione del settore. Parliamo di un consolidamento delle basi produttive, di una crescita delle competenze e, soprattutto, di una maggiore presenza di Made in Italy sul mercato internazionale. Secondo gli ultimi dati diffusi da IIDEA, il numero di aziende nostrane specializzate nello sviluppo di videogame orbiterebbe intorno alle 200 unità: una cifra che, pur rimanendo modesta rispetto ai colossi europei, rappresenta un salto notevole rispetto a soli dieci anni fa, quando si contavano meno di cinquanta studi operativi. La buona notizia è che questa espansione dell’area produttiva non sia solo statistica, ma abbia determinato un incremento del 36% del fatturato industriale rispetto nell’arco dell’ultimo triennio. Evidenti, in tal senso, appaiono anche le ripercussioni del fenomeno su fattore occupazionale, il quale certifica l’impiego di circa 2800 addetti, l’80% dei quali di età inferiore ai 36 anni.

In Italia si contano 200 aziende specializzate nello sviluppo di videogame, le quali assicurano lavoro a 2800 dipendenti.

Made in Italy: il rovescio della medaglia

Mentre il numero di videogiocatori ha raggiunto la soglia dei 14 milioni di utenti attivi nella fascia d’età compresa tra i 6 e i 64 anni, segnali meno esaltanti arrivano tuttavia dall’ economia interna. Dei 2.4 miliardi di euro annui spesi dai nostri connazionali in hardware, software e servizi d’abbonamento, solo una cifra compresa tra i 180 e i 200 milioni viene difatti investita in prodotti nazionali, il che rende purtroppo men che impalpabile l’impatto che la nostra industria videoludica eserciti sul PIL nazionale. Oltre a scavare un solco profondo tra i margini di profitto assicurati dagli sviluppatori polacchi, croati, rumeni, tedeschi e francesi ai rispettivi governi, l’inconsistenza di questo dato smorza ogni timido interesse nutrito dai nostri politici nei confronti del settore, alimentando un circolo vizioso da cui sarà molto difficile uscire: per ottenere risultati più incisivi, la filiera degli sviluppatori avrebbe difatti bisogno di un supporto finanziario molto più ingente da parte dello Stato, il quale seguita tuttavia a temporeggiare, perché gli attuali numeri del business non assicurano margini di guadagno tali da incidere sulle dinamiche macroeconomiche del Paese. Si dirà che l’entrata in vigore del tax credit sui videogiochi diventata operativa nel 2021 assicuri un plafond annuale destinato ai progetti videoludici pari a 12 milioni di euro, ma tutti sappiamo che si tratta di una goccia d’acqua nel deserto. Anche un ragazzino riconoscerebbe, del resto, che questo fondo sia troppo esiguo per coprire le fasi di sviluppo di un titolo che abbia aspettative almeno medie. Alla luce di questo corto circuito, potremmo dunque dedure che la crescita cui abbiamo accennato in apertura si manifesti, almeno ad oggi, più sui piani occupazionali e culturali rispetto a quelli economici… Il che sottintenderebbe almeno un altro decennio di Purgatorio per ogni ambizione dei talenti nostrani.

La crescita dell’industria videoludica italiana è inesorabilmente legata agli investimenti statali in ambito produttivo, formativo e strategico.

“Si….Può…Fareeeee!”

Appurato che lo Stato abbia necessità di fiutare il profumo dei verdoni per stanziare fondi degni del business globale di cui stiamo parlando, quali strategie si potrebbero adottare, al momento, per accorciare questi tempi? È opinione diffusa che il fattore chiave consista in una strategia strutturata che unisca sostegno economico, pianificazione progettuale e formazione. Affiancando al tax credit di cui sopra un’opera di marketing internazionale orientata anche alle fasi di pre-produzione dei prodotti sarebbe, ad esempio, possibile accedere a fondi privati di supporto. Investendo su produzioni indie di qualità, design creativo, storytelling e progetti capaci di stuzzicare nicchie internazionali potremmo poi aggirare i limiti di budget. A completare il quadro, occorrerebbe dunque riconoscere i videogiochi come industria culturale strategica, riducendo la burocrazia e garantendo alle aziende strumenti di supporto pluriennali… Il tutto senza dimenticare l’avvio di processi formativi dedicati di ordine statale, atti non solo a scovare talenti impossibilitati a istruirsi in via privata, ma anche ad assicurare la loro permanenza sul territorio.

Troppo complicato? Probabilmente sì, almeno per i nostri parametri. Decisamente no, per i nostri amici polacchi. Partita da un ecosistema simile al nostro nei primi anni Duemila, la Polonia è ad esempio riuscita a costruire costruito un’area sviluppo straordinariamente efficace in meno di un ventennio, proprio in virtù di politiche industriali favorevoli, investimenti pubblici consistenti e una forte sinergia tra università, istituzioni e imprese. I disfattisti parleranno di fortuna, ma grazie a questo sforzo, l’industria videoludica di Varsavia e dintorni esporta giochi in tutto il mondo, ospita studi tra i più influenti del settore… E batte cassa come noi non siamo mai riusciti a fare.

Poche nazioni al mondo riescono a valorizzare i propri prodotti come l’Italia ed è il momento di utilizzare questo vantaggio anche in ottica videoludica.

 

Ora o mai più

A prescindere da ogni eventuale soluzione attuale e da tutte le criticità del tormentato rapporto tra il videogioco e le istituzioni italiane, la recente crescita del movimento esige il supporto di una visione progettuale: dopo anni ed anni di nulla, abbiamo finalmente a disposizione un appiglio da cui riprendere la scalata ed è forse l’ultima occasione che ci resta per attaccare il nostro vagone al carrozzone europeo. Se lo Stato non vuole sfruttarla perché si ostina a inquadrare i videogiochi come intrattenimento disfunzionale, e non come cultura, tecnologia, innovazione e competitività internazionale, lo faccia almeno per mera avidità: malgrado molti dei suoi rappresentanti non riescano ancora a comprenderlo, acquisire una posizione migliore sullo scacchiere videoludico internazionale, ci permetterebbe di attingere a piene mani da un nuovo bacino finanziario su cui speculare.

Attivamente Impegnato nel settore editoriale dal 2003, ha scritto per le più note riviste videoludiche italiane, concentrandosi spesso nell'area Retrogaming. Dopo aver pubblicato il saggio Storia delle Avventure Grafiche: l’Eredità Sierra, ha svolto ruolo di docente universitario in tema di Storia del Videogame ed è attualmente impegnato col medesimo ruolo nel Corso di Giornalismo Videoludico di VGMag.