Sleep Awake Recensione: il sonno è un lusso che non possiamo concederci

Sleep Awake

L’horror psicologico è un genere che, per definizione, deve trovare le giuste proporzioni tra terrore genuino e meccaniche efficaci per non risultare banale, e soltanto i pochi titoli che ci riescono rimangono impressi nelle menti dei giocatori. Tuttavia, fin da quando hanno iniziato a circolare le voci sulla lavorazione di Sleep Awake, sono stato assalito da un persistente scetticismo, un brivido che corre lungo la schiena quando il marketing di qualsiasi produzione, cinematografica o videoludica che sia, si affida con grande enfasi al pungolo autoriale. E penso converrete che, dalla lettura di uno o più nomi celebri stampati a grandi lettere su un manifesto pubblicitario, nasce il timore che quella fama sia l’unico traino valevole dell’opera sponsorizzata, una facciata costruita per mascherare carenze organiche più o meno gravi.

Ebbene, qui la leva era duplice e potentissima. Non era in gioco solo l’alleanza tra le giovanissime Eyes Out e Blumhouse Games, ma soprattutto la presenza di due figure di un certo calibro, il cui lignaggio intellettuale e artistico aveva già plasmato opere di grande impatto: da un lato, Cory Davis, nome legato a una delle più acute e brutali decostruzioni videoludiche della guerra moderna, ossia Spec Ops: The Line, un’opera che, per chi l’ha vissuta, ha ridefinito il concetto di narrazione matura per il medium in questione; dall’altro, Robin Finck, fondatore del primo studio menzionato, la cui chitarra ha contribuito a qualificare l’estetica industriale, disturbante e profondamente corposa dei Nine Inch Nails.

Un’autorevolezza artistica di tale portata, abbinata a una premessa tematica di risonanza universale quale l’orrore della privazione del sonno in un mondo post-apocalittico, prometteva di regalarci una riflessione tagliente sulle condizioni esistenziali, sull’esaurimento mentale e sulla fragilità della percezione umana, al di là delle sfumature horror più o meno intense. Molti, me compreso, speravano che questo progetto segnasse un ritorno alle vette di perspicacia e impatto emotivo viste nei lavori più riusciti di Davis, sciacquando via l’amaro in bocca lasciato da deviazioni più superficiali e meno curate come il disastroso Yaiba: Ninja Gaiden Z, un rinnovato caposaldo di genere destinato a trascendere le convenzioni e sfruttare l’agenzia del giocatore per veicolare un messaggio roboante. E invece, l’audacia estetica di Sleep Awake si scontra di prepotenza con una realizzazione pratica stranamente inerte, un paradosso che lascia dietro di sé quel retrogusto amaro delle promesse non mantenute. L’ambizione è palpabile in ogni fotogramma, eppure l’esecuzione manca di quella scintilla che avrebbe trasformato una visione di base geniale in un’avventura interattiva degna di nota. Il risultato finale è un’opera d’arte visivamente intrepida e sperimentale ma, dal punto di vista meccanico, fin troppo scontata.

Sleep Awake
L’unico, autentico punto di forza del gioco: l’estetica sopraffina delle sue ambientazioni oniriche

Sleep Awake: è tutto perfettamente normale

L’ossatura ideologica di Sleep Awake è una di quelle capaci di innescare immediatamente un senso di inquietudine. Vestiamo i panni di Katja, una giovane la cui vita è stata irrevocabilmente sconvolta da un cataclisma misterioso noto semplicemente come il Silenzio, un evento che ha trasformato l’atto del riposo in una condanna ineluttabile: cedere al sonno significa infatti venire immediatamente prelevati da una forza invisibile e terrificante. Il fulcro di tutta l’esperienza è quindi la lotta estenuante e disperata per prolungare la veglia, un’astrazione che avrebbe potuto spalancare le porte a meccaniche di gestione delle risorse tese e serrate, conti alla rovescia inesorabili oppure obiettivi sempre più cospicui e incalzanti. Da principio possiamo visitare la base operativa di Katja, un centro nevralgico angusto e distopico, dove la preparazione di un siero a base di gocce per gli occhi funge da unico palliativo, una sorta di rito quotidiano e necessario per respingere la catastrofe. Considerati i toni inquietanti di tale ambientazione, è lecito sperare in una una profondità narrativa di un certo livello, degna della brutale analisi esistenziale di Spec Ops, poiché fondata sull’affascinante presupposto che la fragilità intrinseca del nostro corpo sia l’ultimo, vulnerabile baluardo contro l’ignoto. Tuttavia, la modalità con cui questa idea è stata trasposta nel ciclo ludico tradisce in fretta la sua potenza concettuale: pur nella sua cupezza, il racconto aveva tutte le carte in regola per sfoggiare la chiarezza e la forza d’urto del lavoro più rinomato di Davis, ma l’immersione cede ben presto il passo a un impianto che si rivela fin troppo pulito, senza ostacoli particolari, scevro di qualsivoglia resistenza. Non c’è un sistema di gestione che ponga il giocatore di fronte a scelte difficili sul dosaggio del siero o una vera corsa contro il tempo che amplifichi la deprivazione. Katja, la protagonista, appare fin troppo spesso come l’unica agente decisionale, determinando in autonomia quando è ora di un nuovo innesco narrativo, lasciando a chi impugna il controller la sensazione di essere un mero passeggero. Per assurdo, un gioco incentrato sull’astensione dal sonno è il responsabile principale dell’intorpidimento dei suoi fruitori.

Come ulteriore aggravante, l’universo di Sleep Awake, benché assai suggestivo a colpo d’occhio, viene tratteggiato da un profluvio di dettagli e una farraginosità tali da appesantirne enormemente la comprensione. Le descrizioni sono sature di un linguaggio specialistico e nomi propri di fantasia, termini altisonanti che si susseguono senza la dovuta contestualizzazione, sfociando in una costruzione del mondo troppo ermetica e, in ultima analisi, ben poco coinvolgente. I dialoghi e gli scambi con i personaggi, che dovrebbero essere la pietra angolare sulla quale costruire l’empatia nei loro confronti, risultano spesso generici e trascurabili, insufficienti a creare un legame solido persino con Katja, che, pur essendo al centro di una tragedia, fatica a sviluppare un carattere distintivo al di là del suo ruolo di vittima disperata. Il problema fondamentale risiede nella distribuzione delle informazioni vitali per comprendere a fondo questa nuova realtà distopica: la decisione scellerata di relegare le sfumature più sostanziose, congrue e avvincenti della storia a documenti e registrazioni testuali rinvenibili come collezionabili nascosti, anche se tipica di molti horror analoghi, qui si rivela un grande limite che costringe a deviare da un flusso già di per sé claudicante per dedicarsi alla lettura di scritti aridi e prolissi, incapaci di comunicare quel sapore necessario a trasformarli in un autentico motore narrativo. La percezione è che il team di sviluppo non abbia avuto piena fiducia nelle capacità di raccontare mediante azioni e immagini, scegliendo piuttosto di ripiegare su un espediente espositivo che, invece di creare mistero, smorza la già esigua tensione accumulata. Il risultato è un mosaico narrativo disordinato, dove la confusione generale non fa che accentuare la monotonia.

Sfuggire a questi loschi figuri incappucciati è un male necessario che dobbiamo sopportare

Non mi stai ignorando adesso, tesoro?

Non appena l’attenzione si sposta dalle sequenze narrative all’azione, Sleep Awake purtroppo inciampa nelle convenzioni più logore del genere. La giocabilità si basa quasi del tutto su meccaniche furtive in prima persona che, per usare un eufemismo, risultano alquanto fiacche: Katja è costretta a muoversi silenziosamente attraverso gli spazi desolati di una città-stato sotto il controllo di una polizia opprimente, popolata da nemici che incarnano il cliché per eccellenza dei persecutori con tute hazmat, manganelli e maschere antigas. La navigazione furtiva si risolve attraverso poche azioni basilari come accovacciarsi, trovare riparo dietro le coperture, strisciare sotto i varchi e attraverso le griglie di ventilazione per evitare il contatto, che vengono a noia molto in fretta. Gli avversari, malgrado l’atmosfera snervante, seguono traiettorie di pattuglia prevedibili, con un campo visivo talmente ristretto da risultare spesso persino aggirabile. Mancano la pressione, l’adrenalina, l’urgenza provate in titoli di ben altro peso che hanno nobilitato il nascondino fino a farlo divenire una forma d’arte dinamica, qui di contro tutto si riduce a una reiterazione di gesti elementare e sguarnita di autentico rischio, un iter preordinato in cui le nostre abilità non vengono mai messe davvero alla prova in termini strategici. Gli sviluppatori sembrano aver optato per l’approccio meccanico più semplice e meno azzardato, un peccato capitale per un titolo che puntava a un approccio progressista. L’intera porzione stealth sembra un ripensamento tardivo per un’esperienza visivamente sperimentale e ragguardevole, un elemento che appesantisce soltanto il ritmo senza aggiungere spessore. La mancanza di sfida si estende anche alla componente enigmistica in quanto, anziché trovarci alle prese con rompicapo che giocano sulla percezione alterata della protagonista o che mettono in discussione logica e realtà, lo sforzo cognitivo richiesto dalla stessa è trascurabile: raccogliere oggetti da collocare in posizioni evidenti, attivare sequenze lapalissiane di interruttori e notare semplici indicazioni visuali per aprire una porta, tutte circostanze che a volte consentono persino di forzare la soluzione senza il minimo ragionamento. L’impressione prevalente è che il fattore interattivo sia stato regolato in maniera tale da esercitare la minima resistenza possibile, pur di spingerci in fretta lungo un sentiero già tracciato.

Di conseguenza, l’eccessiva facilità e la natura essenzialmente scriptata del gioco limitano in maniera significativa tanto il libero arbitrio quanto il desiderio di scoperta, elementi fondamentali in un simulatore di passeggiata che si basa sull’esplorazione, genere in cui Sleep Awake ricade appieno a dispetto degli occasionali segmenti furtivi. La progressione, infatti, si sviluppa lungo un binario dalla direzione artistica strepitosa, dove tutto quello che ci viene richiesto di fare è godere perlopiù passivamente del viaggio: tolta qualche interazione rudimentale, il nostro contributo è molto circoscritto e l’andamento complessivo ne risente. Spostarsi avanti e indietro in questo mondo aperto ma fondamentalmente vuoto, in particolar modo durante le battute conclusive, si traduce in una serie di incombenze monotone che stridono con l’incisività estetica. La frustrazione deriva proprio dalla consapevolezza che il gioco, pur avendo tra le mani un concept importante, decide di non fidarsi del giocatore, incanalando l’esperienza in una successione di circostanze talmente prevedibile da smorzare ogni entusiasmo. L’assenza di gestione delle risorse o di obiettivi a tempo, in contrasto con la tematica dominante, aggrava il sentore che il nucleo ricreativo sia stato implementato con scarsissima dedizione, restringendo la possibilità di agire e incidere su quanto ci circonda a indovinelli eccessivamente semplici e sequenze furtive affrontabili anche in stato di dormiveglia.

Sleep Awake
Le voluminose descrizioni testuali inciampano spesso su termini e lungaggini decontestualizzate

Sleep Awake: dimmi cosa ne pensi

Un’area in cui Sleep Awake si staglia al di sopra della media e dimostra il valore della sua eredità artistica è senza dubbio quella visiva e atmosferica che, grazie all’utilizzo di una miscela di sequenze costruite con il motore grafico e filmati preregistrati con attori in carne e ossa, gli conferisce un’identità suggestiva, peculiare e affascinante, rievocazione indiretta capace di richiamare gli incubi moderni, asettici e destabilizzanti dei migliori video dei Nine Inch Nails come Closer, Only e Survivalism. L’estetica è il vero punto di forza: la realtà affonda tra scenari altamente stilizzati e psichedelici man mano che la stanchezza di Katja prende il sopravvento, una fusione tra riprese dal vivo e ambienti digitali che mantiene ben salda la presa sull’attenzione anche quando si spinge in territori apertamente surrealisti. La fatica non è solo un elemento marginale, ma un filtro ottico che distorce la percezione con una serie di visioni stranianti e minacciose, tra schedari che danzano fuori dai muri come se questi ultimi respirassero, primi piani estremi di bulbi oculari e bocche contorte da urla disumane, o tornelli che si riempiono di lame affilate come nelle migliori allucinazioni di Eternal Darkness. Sono attimi di tormentata bellezza dal forte impatto visivo, che di rado possiamo ammirare in produzioni di questo genere. Vale la pena menzionare il modo è stata gestita la morte, con la protagonista costretta a tornare metaforicamente e letteralmente alla luce in una sequenza surreale pensata per amplificare il tema del superamento della stanchezza, che però inizia a perdere la sua efficacia dopo averla rigiocata per l’ennesima volta.

Purtroppo, altre lacune del genere ostacolano l’immersione anche quando Sleep Awake prova a dare il meglio di sé. A contrastare il mirabile comparto artistico intervengono le animazioni dei personaggi, spesso rigide, goffe e superate, un difetto che spezza l’incantesimo del surrealismo d’autore. Le risorse grafiche dei nemici più comuni, i già citati poliziotti mascherati”, sono talmente convenzionali da sembrare prelevate da un tutorial, una grave sbavatura che mina l’orrore intrinseco del setting distopico. È un peccato che un’estetica così intraprendente non sia stata abbinata a modelli e movenze più studiati, che avrebbero conferito all’intera produzione un livello di rifinitura migliore. Se non altro, l’esperienza migliora sensibilmente nella seconda metà, quando l’immaginario fantastico smette di vivere in un compartimento stagno separato dalle procedure di routine, e i due elementi si fondono in maniera più organica. Un avversario delle fasi avanzate, nello specifico, introduce una dinamica inedita accompagnata da un design sonoro eccellente che riesce finalmente a scuoterci, a trasformare il contesto in una morsa terrificante. Ma al contempo enfatizza la frustrazione: perché queste variazioni sul tema così efficaci sono state relegate a una frazione tanto breve del gioco? La maggior parte del tempo la trascorriamo circondati da antagonisti più banali che spaventosi, persi tra scenari labirintici ma tutto sommato convenzionali che vengono ravvivati solo dalle alterazioni fisiologiche di Katja, dunque il contrasto tra l’eccellenza estetica e la mediocrità meccanica rimane il leitmotiv più assordante dell’intera produzione.

Le sequenze live action sono splendidi e angoscianti deliri febbrili che prendono forma

Ribellarsi all’inevitabile ha un prezzo

Sleep Awake ci lascia sensazioni complesse, un misto di ammirazione per la baldanza artistica che ostenta e di profonda insoddisfazione per le sue debolezze strutturali. Sebbene non sia un tracollo irrimediabile su tutti i fronti, si attesta comunque sulla parte bassa della classifica del panorama orrorifico digitale. Quantomeno, al di là dell’estetica, la pura e semplice curiosità può motivarci a vedere dove verremo condotti da questo tortuoso percorso. L’insolita gestione della morte e la narrazione che regala un insospettabile strattone emozionale proprio in chiusura riescono a colpire più del previsto, riuscendo in minima parte a giustificare la fatica e la pazienza indispensabili per arrivare fino in fondo alla tana del Bianconiglio.

Eppure, i difetti progettuali rimangono macigni che non possono essere ignorati. L’intelaiatura fumosa e discontinua, l’eccessiva semplicità degli enigmi e le sequenze furtive prevedibili e stantie finiscono per erodere il potenziale di quello che avrebbe potuto essere un tassello fondamentale tra i survival horror a tinte psicologiche. Altro risvolto negativo, che denota una certa incuria nei confronti dell’usabilità, sono i sottotitoli disattivati di default, nonostante la quantità di dialoghi e segnali audio vitali che rischiamo di perdere costringendoci a vagare in assenza di indicazioni chiare sul prossimo obiettivo, il che alimenta ulteriormente il senso di disorientamento negativo. Giocare a Sleep Awake fa riflettere su quanto poteva diventare piuttosto che apprezzare ciò che sperimentiamo sul momento, dove i colpi di genio visivi cedono subito il passo all’estrema inconsistenza generale.


Sleep Awake è un’avventura senza dubbio suggestiva che ambisce a destabilizzare lo status quo del genere, forte di un’estetica impreziosita dall’utilizzo di tecniche miste e di premesse intriganti sulla deprivazione del sonno. Ma le sue lodevoli ambizioni vengono affossate da un gameplay eccessivamente basilare, con sezioni furtive scialbe e monotone, enigmi del tutto privi di mordente, una struttura fin troppo scriptata e una narrazione confusa e indigesta. È un’opera che colpisce l’occhio e il cuore solo a tratti, mentre per tutto il resto del tempo non riesce a somministrare un’esperienza ludica coerente e impegnativa, e termina lasciando il rimpianto delle ore trascorse (poche, per fortuna) all’inseguimento di una brillantezza a malapena superficiale.


Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.