Brink: la recensione di VMAG

Assistere alla presentazione di Brink rimanendo quasi assuefatti dalla narrazione del mondo di gioco di Ark, dal suo microcosmo, dalla sua ascesa e dalla sua caduta, e ritrovarsi infine di fronte alla cruciale scelta di appartenere alla Resistenza o alla Sicurezza, non può che creare delle grandi aspettative nel giocatore, pronto ed eccitato per lanciarsi a capofitto nell’avventura. Dopo aver impiegato il tempo necessario per personalizzare il nostro avatar attraverso il ricco editor e aver ascoltato con attenzione il lunghissimo ed esauriente filmato sulle caratteristiche e le meccaniche di gioco, non potremo fare a meno di fremere e attendere con bramosia l’avvento del primo match… fino a renderci effettivamente conto sin da subito che qualcosa non va e che forse è il caso di calmare un po’ i bollori. Brink, fondamentalmente, è un titolo che fa della componente multiplayer e del lavoro di squadra due degli elementi imprescindibili dello stile di gioco adottato, incentrando la progressione lungo le missioni e il superamento degli obiettivi proposti sull’importanza e la valorizzazione di ogni singola classe a disposizione, ciascuna di esse con le proprie caratteristiche chiuse in schemi fissi che non permettono alcun tipo di flessibilità.

Se questo significa essere obbligati a saper giostrare abilmente la propria condotta di gioco, cambiando classe quando possibile, significa anche rimanere piuttosto annoiati quando si dovrà scortare il proprio compagno verso l’obiettivo previsto. Farlo in multiplayer, a essere sinceri, non è affatto male, ma quando uno o più giocatori abbandoneranno la partita o vi cimenterete nella modalità campagna, il dislivello tra l’intelligenza umana e quel fallimentare surrogato di neuroni artificiali dal dubbio senso del dovere, si farà sentire sin troppo, soprattutto in quelle routine comportamentali che prevedrebbero una spalmatura delle forze nemiche lungo tutto il territorio di ogni singola mappa anziché concentrarle in un collo di bottiglia in prossimità dei punti di maggior interesse.

Parte del problema è imputabile ad alcune discutibili scelte di level design, mentre per il resto, si tratta di una precisa scelta dei programmatori atta a scoraggiare i lupi solitari; peccato, però, che la coerenza e la filantropia dei nostri compagni siano delle virtù appena accennate. Il sistema di gioco, nonostante tutto, resta comunque abbastanza profondo e premierà i più pazienti, e forse è proprio questo ciò che fa più rabbia, visto il risultato finale e l’altalenante qualità generale. Poche modalità, una realizzazione tecnica con qualche problema di troppo, un’ottimizzazione del motore grafico a tratti approssimativa, un netcode afflitto da qualche fastidioso acciacco, fungono da cartina di tornasole per un gioco dal buon potenziale che con un po’ di tempo in più di sviluppo, avrebbe certamente ottenuto tutt’altri riconoscimenti.