Superman Recensione: un reboot sempliciotto per un universo in cerca di sé stesso

Superman

Dire che l’universo cinematografico DC abbia attraversato anni turbolenti è quasi un eufemismo. Tra scelte produttive altalenanti e un progetto commerciale, quello della Justice League, naufragato prematuramente, la DC Films ha deciso di resettare tutto e ripartire da capo. È nata così una nuova saga, più colorata e ottimista, lontana dall’estetica cupa e tormentata dello “Snyderverse” e che ha l’intento dichiarato di riportare gli eroi DC a una dimensione più accessibile e leggera. Il primo tassello di questo nuovo corso è Superman, un film che si propone di riscrivere da zero il mito dell’Uomo d’Acciaio, ma che finisce per essere un prodotto spiazzante, profondamente divisivo. L’opera rinuncia agli stilemi che ci si aspetterebbe da una pellicola DC, abbracciando invece il tono leggero, ironico e sovraccarico che ha reso celebri le produzioni Marvel. Il risultato? Un ulteriore appiattimento del già inflazionato panorama dei cinecomic.

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Krypto ha un ruolo sorprendentemente ricorrente all’interno del film, ma non vi aspettate grandi spiegazioni. Ora, comunque, attendiamo Bat-Cow.

Un Superman in media res, senza profondità

In un’intervista al Sunday Times, James Gunn ha definito Superman come «una storia su due persone, Clark e Lois, e su come idee opposte sui valori fondamentali possano dividere anche chi si ama». Peccato che nel film, di queste divergenze non vi sia quasi traccia. I due protagonisti non si scontrano in maniera radicale sul piano degli ideali, semmai sviluppano qualche screzio per quanto riguarda il loro diverso modo di affrontare la vita. E anche lì, gli attriti restano assolutamente marginali, non riguardano visioni inconciliabili dei loro valori fondamentali. Superman non è decisamente un film focalizzato sul rapporto di coppia tra i due personaggi, ma non è neppure una vera e propria storia su Superman. Il supereroe non è il protagonista, ma rappresenta un costrutto esterno del suo alter ego, il giornalista campagnolo Clark Kent, il quale finisce a parlare di Superman in terza persona, come se si trattasse di qualcun altro.

Forse si potrebbe dunque sostenere che il film ruoti attorno a Clark Kent, tuttavia anche questa affermazione è difficile da sostenere a pieno titolo. La pellicola non concede infatti al mite reporter un arco narrativo degno di questo nome: il suo unico conflitto interiore viene risolto frettolosamente grazie a un breve e fiacco scambio di idee con il suo padre adottivo, Jonathan Kent. Il film è estremamente esplicito nel dichiararsi disinteressato a ogni forma di complessità, inoltre non si attarda neppure troppo a introdurre gli utenti agli elementi essenziali del mondo che dipinge. La pellicola si apre con un’esposizione didascalica sull’esistenza dei metaumani, per poi catapultare lo spettatore nell’epilogo di uno scontro che è causato dal fatto che Superman ha deciso autonomamente di distruggere un intero esercito per difendere un suo personale principio di giustizia. Un gesto che, nel mondo reale, verrebbe letto come un atto terroristico, ma che nel film non viene mai veramente discusso sul piano etico o morale, dando per assodato che l’eroe abbia agito nel modo corretto.

Il punto è che Superman non presenta alcun tipo di dilemma morale. Clark è buono. Punto. Talmente buono da sfociare nell’ingenuità e sfiorare la stupidità. Dedica il suo tempo a salvare con la stessa dedizione sia civili innocenti che scoiattoli sperduti, riconoscendo – almeno formalmente – il valore di ogni singola vita. L’intento di Gunn è quello di omaggiare la “Golden Age” dei fumetti, un’era narrativa che si ancorava su stilemi profondamente positivisti. I tempi sono però drasticamente cambiati, con il risultato che il film si presenta come una pantomima, una rappresentazione infantile e banalizzante che rifugge con imbarazzo qualsiasi tentativo di confrontarsi con la complessità del presente. «Superman è la storia dell’America», afferma Gunn. «Un immigrato venuto da un altro mondo che incarna gentilezza e valori perduti». Il regista, che è anche autore del copione, è dunque convinto romanticamente che gli Stati Uniti siano fondati sulla gentilezza, una caratteristica che finisce solo per caso a essere incarnata da una forma di potere impareggiabile che si inserisce in panorami di guerra che gli sono estranei.

La “Justice Gang” rappresenta uno degli elementi più interessanti del film, lasciando aperti molti non detti.

Verso una “Justice Gang” affrettata

Al di là della visione autoriale, Superman fatica comunque a reggersi in piedi sul piano della sceneggiatura. Laddove si opta per toni morali così estremi, ogni incongruenza pesa infatti come un macigno e Gunn non è stato in grado di perseguire con coerenza tutti i suoi obiettivi. Un esempio su tutti: verso l’epilogo della pellicola, Clark affronta brutalmente un avversario che si presume essere vittima di un lavaggio del cervello, che non è responsabile delle proprie azioni, eppure l’eroe non cerca in nessun modo di instaurare con lui un dialogo che lo possa condurre alla redenzione. La complessità viene sacrificata sull’altare dello spettacolo e il film preferisce una successione di sequenze d’azione e cammei, piuttosto che una narrazione solida.

Accanto a Clark troviamo infatti Krypto, il cane supereroe, nonché una proto-Justice League composta da Guy Gardner (Lanterna Verde), Hawkgirl e Mister Terrific. A questi si aggiungono ancora altri personaggi che però evitiamo di citare per non rovinare troppo la sorpresa. Non manca neppure una fugace apparizione del Peacemaker di John Cena, la quale solleva più domande di quante ne risolva sulla coerenza interna del nuovo universo narrativo.

Tanta carne al fuoco, insomma. Una cornucopia di contenuti che può far felici alcuni spettatori, ma che rischia di rendere il film un guazzabuglio confuso e superficiale. Il tono adottato è d’altronde quello tipico di James Gunn: rumoroso, ironico, esagerato, con personaggi sopra le righe che sembrano rispondere a una logica tutta loro, spesso disancorata da qualsiasi forma di verosimiglianza. Più che un tributo all’immaginario istituito dal fumetto, questo Superman finisce piuttosto con il ricordare l’ingenuità patinata di Smallville o dei Superamici: un’atmosfera che è perfetta per una serie TV, ma che è meno adatta a un’opera destinata a rilanciare un’intera saga cinematografica.

Nicholas Hoult fa del suo meglio per dare vita a Lex Luthor, ma ha poco con cui lavorare.

Il peso del mantello

Chi ricorda il celebre monologo finale di Kill Bill? Quello in cui il titolare Bill parla di Superman adottando toni epici e filosofici, affrontando la complessa tematica dell’identità attraverso una metafora semplice e immediata. Coloro che sono alla ricerca di una simile sensibilità faticheranno a ritrovare qualcosa di simile nell’incarnazione di Superman voluta da Gunn. Qui, l’eroe è quanto di più lontano ci sia dall’idea archetipica e mitologica dell’eroe DC. I metaumani qui sembrano poco più che persone comuni con poteri fuori scala, spogliati del peso simbolico che li ha tradizionalmente definiti sulle pagine inchiostrate.

In questo senso, non sorprende scoprire che il cast si dimostra più che capace di dar vita a personaggi che, tutto sommato, non sono caratterizzati da alcuna complessità. David Corenswet restituisce un Clark genuino e sempliciotto, Rachel Brosnahan è una Lois Lane vivace e ben delineata, mentre Edi Gathegi riesce a brillare nei panni di Mr. Terrific, offrendo una performance che riscatta il trattamento inclemente che era stato riservato a Darwin, personaggio che aveva interpretato in X-Men – L’inizio. Una nota di merito va anche riconosciuta a Nathan Fillion, perfetto nel dare corpo alla celebre spocchia di Guy Gardner, uno dei pochi personaggi a trovare piena sintonia con l’approccio caricaturale adottato dal regista.

Le sequenze d’azione, dominate da effetti digitali vistosi, perdono spesso peso e gravità, tuttavia risultano non di meno ben coreografate. Ricordano da vicino lo stile di The Boys, ovviamente senza contare la componente splatter. Le musiche, firmate da John Murphy e David Fleming, sono efficaci e suggestive, anche grazie all’uso del tema immortale composto da John Williams per il Superman del 1978. Il montaggio di William Hoy è uno degli aspetti più riusciti dell’intero film, una vera punta di diamante: il ritmo è ben gestito, con transizioni che esaltano al meglio le scene chiave, confermando il talento già lungamente affinato dal professionista in film come Watchmen e The Batman.


Superman è uno spettacolo patinato che preferisce l’apparenza alla sostanza. Gunn confeziona un film visivamente ricco, ma narrativamente povero, un’operazione che banalizza il mito dell’eroe per renderlo più “digeribile”. Se davvero questa pellicola intende inaugurare un nuovo universo cinematografico, allora la visione autoriale di partenza appare estremamente debole, e troppo vicina – per tono e intenti – a ciò che il pubblico ha già visto e rivisto in casa Marvel. Data l’esperienza pregressa di Gunn proprio in quel contesto, viene facile pensare che Superman sia nato più per emulare che per innovare. Ma rincorrere i successi altrui porta inevitabilmente a smarrire la propria identità – e questo è il rischio più grande che corre oggi la DC.