Dead Take Recensione: Hollywood Horror Story

Dead Take

Hollywood è piena di sogni, luci, feste esclusive… e ombre. Tante ombre. Ci vende sogni in Technicolor, ma dietro le quinte sa essere un incubo a tinte fosche. Surgent Studios ha deciso di prendere proprio quell’ombra dietro il tappeto rosso e farne il cuore pulsante di Dead Take, un esperimento narrativo a metà tra un film e un videogioco, con una spruzzata di escape room e un’abbondante dose di inquietudine. In Dead Take (disponibile su PC via Steam ed Epic Games Store), non sei una star già affermata, ma un attore che sogna di interpretare Willie, il protagonista del prossimo film di Duke Cain, produttore onnipotente e burattinaio di carriere. Peccato che l’audizione non si svolga in uno studio cinematografico, ma nella sua inquietante villa, e che dietro le porte non ti aspettino né catering né red carpet… ma silenzi troppo profondi, corridoi che sembrano guardarti, riflettori con ombre che si muovono, sussurri dietro porte chiuse e un produttore cinematografico che sembra uscito da un incubo lynchiano. Io mi sono messo nei panni di Chase Lowry (interpretato dal sempre magnetico Neil Newbon), deciso a capire che fine abbia fatto il mio amico e rivale Vinny Monroe (Ben Starr), sparito dopo aver accettato l’invito del signor Cain. E fidatevi, quando i cancelli della villa si chiudono dietro di voi, il vostro unico pensiero sarà: “forse non era il provino della mia vita…” Ci sono giochi che, fin dal primo minuto, ti fanno capire che non sei lì per “giocare” e basta, ma per essere trascinato in un’esperienza. Dead Take è uno di quelli.

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Benvenuti a villa Cane

Benvenuti a villa Cane: un gameplay che ci fa investigare, risolvere, collegare

La storia è un biglietto di sola andata verso la parte più marcia della fabbrica dei sogni. Una telefonata senza risposta, un silenzio assordante e una villa che sembra più un mausoleo che una location glamour: il punto di partenza è già un colpo allo stomaco. Appena superati i cancelli, la sensazione è chiara: qui non c’è nessun tappeto rosso, solo corridoi inquietanti, stanze chiuse a chiave e un’assenza di vita che pesa come un macigno. Subito ti rendi conto che qualcosa non quadra: nessun ospite, nessuna guardia, nessun bicchiere rovesciato da una festa troppo alcolica. Solo stanze vuote, gallerie d’arte inquietanti, spa abbandonate e passaggi segreti che sembrano urlare “non entrare”.

L’esplorazione è in prima persona e il gameplay si piazza a metà strada tra un thriller investigativo e una grande escape room. L’azione si sviluppa con un ritmo volutamente lento. L’obiettivo è esplorare ogni angolo della villa per trovare indizi, raccogliere oggetti chiave e risolvere enigmi ambientali. Questi ultimi non sono mai eccessivamente cervellotici al punto da farti lanciare il mouse, ma sanno stimolare l’attenzione, costringendoti a guardare ogni dettaglio con occhi da detective. A un certo punto mi sono trovato bloccato davanti a un quadro che sembrava puramente decorativo. Dopo dieci minuti di perlustrazione inutile, ho notato un piccolo simbolo nascosto nella cornice. Era la chiave per aprire una porta blindata che avevo passato almeno tre volte senza darle peso. Dead Take sa prendersi queste rivincite: ti mette sotto il naso le soluzioni, ma ti costringe a meritarti ogni passo avanti. Niente combattimenti, niente game over: la tensione la costruisci tu, passo dopo passo, cercando di capire come arrivare alla verità. La struttura richiama molto le atmosfere di certi survival horror classici, ma qui non ci sono nemici da abbattere, solo la costante tensione di capire cosa si nasconde dietro la prossima porta.

Vinny Monroe
Ben Starr nei panni di Vinny Monroe

Il cinema privato: il vero gioiello della villa

Uno degli elementi più originali, e riusciti, è la sala cinema privata. Un vero colpo di genio. Qui possiamo inserire le chiavette USB trovate in giro per la villa e visionare clip live action: provini, interviste, momenti dietro le quinte. È un’idea brillante, perché non solo aggiunge contesto narrativo, ma lo fa con un cast in carne e ossa di altissimo livello. Oltre ai già citati Neil Newbon e Ben Starr, troviamo Jane Perry, Laura Bailey e persino comparsate di Alanah Pearce e Sam Lake (sì, quello di Max Payne). Vederli recitare in queste brevi sequenze è un piacere per chi ama la contaminazione tra cinema e videogiochi.

Il problema? Ce n’è troppo poco. Le clip sono brevi, il materiale non è vastissimo, e viene voglia di urlare “dammi di più!” ogni volta che il filmato si interrompe. Anche il sistema di ricombinazione delle clip, pensato per sbloccare nuove scene inedite e retroscena succosi provando combinazioni diverse, è interessante ma poco approfondito. Non è solo un vezzo estetico: sono indizi fondamentali per ricostruire il puzzle narrativo. È un assaggio di qualcosa che avrebbe potuto essere una colonna portante, un sistema semplice e diretto, ma che mantiene intatta la curiosità di trovare la “combinazione giusta”, ma resta più un contorno. Un vero peccato che questa parte, pur interessante, sia un po’ limitata visto anche il talento coinvolto. È come avere una Ferrari e usarla solo per fare la spesa sotto casa.

Neil Newbon
Neil Newbon nei panni di Chase Lowry

Atmosfera e regia: il vero motore emotivo di Dead Take

Se c’è una cosa che Dead Take fa alla grande, è creare atmosfera. Il design sonoro è curatissimo: passi ovattati sui tappeti, cigolii nei momenti meno opportuni, voci lontane che non sai se provengono da un’altra stanza o dalla tua testa. La regia è cinematografica, con inquadrature studiate per farti sentire costantemente osservato. Anche senza veri nemici, l’ansia cresce man mano che la villa si svela. Alcuni momenti, come un corridoio che sembra accorciarsi mentre lo attraversi, restano impressi proprio per la loro sottigliezza. Narrativamente, il gioco brilla e da il meglio di se quando resta ancorato al realismo: intrighi, potere, ego smisurati, fama venduta al prezzo dell’anima, ricatti e rivalità spietate. È lì che Dead Take graffia davvero, mostrando il lato più sporco e disumano dell’industria cinematografica. Quando però si avventura verso il sovrannaturale, perde un po’ di mordente. Non che gli elementi paranormali siano mal gestiti, ma il fascino del “potrebbe davvero succedere” viene diluito da elementi che spezzano l’illusione, rompendo quella sensazione di realismo disturbante che fino a quel momento era il vero motore della tensione. Personalmente, avrei preferito una discesa ancora più brutale nel marcio terreno del realismo puro.

La cosa che subito ho notato è che il gioco non ti accoglie con un tutorial tradizionale, ma con un’atmosfera. La prima volta che attraversi il cancello della villa di Duke Cain, l’aria è pesante, quasi silenziosa a comando. Le luci sono spente, nessuno ti viene incontro, e l’enorme ingresso sembra guardarti più che accoglierti. È il primo momento in cui capisci che qui il lusso di Hollywood ha qualcosa di marcio sotto la superficie. Mentre esplori, ci sono apparizioni e presenze che ti seguono. Alcune sono veloci, altre restano a fissarti più a lungo del necessario. Non sempre capisci se sono frutto di suggestione o se c’è davvero qualcuno lì con te. È il gioco che qui si avvicina di più a un horror puro. Senza spoiler, il momento in cui finalmente arrivi a capire cosa è successo a Vinny Monroe è sia soddisfacente che inquietante. Qui il gioco gioca bene con il contrasto tra il glamour di Hollywood e la crudeltà dei suoi retroscena, chiudendo il cerchio di un’indagine che ti ha fatto dubitare di tutti.


Dead Take è come quel film d’autore che esce al cinema senza troppo clamore ma che, se lo vai a vedere, ti sorprende per il coraggio delle idee e l’eleganza dell’esecuzione. Surgent Studios ha creato un’esperienza unica che vale la pena vivere, a cavallo tra escape room e thriller psicologico, che non ha paura di sperimentare con linguaggi e media diversi. È un titolo che punta sulla tensione, sull’osservazione e sulla curiosità, e quando colpisce nel segno, lo fa con stile. Non è un gioco perfetto: avrebbe bisogno di più materiale video, di una scrittura più incisiva sul finale e di un pizzico di coraggio in più per spingere l’esperienza oltre i suoi confini. Ma resta comunque un titolo che merita di essere giocato, soprattutto se amate le atmosfere tese e le storie che si srotolano pezzo dopo pezzo, come un vecchio nastro VHS trovato in soffitta. Con un prezzo modico, farsi un viaggio inquietante nella Hollywood che non vorrebbero mai mostrarvi… è un affare, calcolando che la critica alla macchina hollywoodiana è pungente, il cast è eccezionale e l’ambientazione è costruita con una cura che pochi indie riescono a permettersi.