Mafia The Old Country Recensione: l’amore ai tempi della Mafia

mafia the old country

“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”

In questa torrida estate, le cui ultime battute continuano a infiammare con forza e sfrontatezza le giornate, Mafia The Old Country ha saputo rappresentare una piccola isola felice. Del resto, da grandi appassionati della serie, attendevamo questo nuovo capitolo con grande interesse e attenzione, con la voglia ormai irrefrenabile di tornare a respirare quelle emozioni uniche, senza filtri, talvolta spietate, ma così autentiche e indimenticabili. La buonissima notizia è che Mafia The Old Country, da questo punto di vista, non ha rivali e non ha niente da temere nel confronto con i suoi predecessori. Anzi. Hangar 13 – sotto il profilo narrativo – ha compiuto un lavoro di primissimo livello, confezionando una storia sì piena di cliché e luoghi comuni tipici del genere di riferimento, ma che allo stesso tempo riesce ad appassionare e a conquistare il giocatore.

Ovviamente, gran parte del merito è da attribuire anche a un lavoro clamoroso in termini di world building e sound design. Il team ha compiuto un vero e proprio miracolo, ricreando con una cura maniacale quella che era la Sicilia di un tempo, non solo a livello estetico, ma anche sul piano dello stile di vita degli abitanti e nella rappresentazione di una società ormai superata, ma ancora così tremendamente vicina ad alcune realtà anche attuali. Il doppiaggio siciliano – perfetto e impeccabile – ha saputo fare il resto, ricreando, così, una vera e propria cupola, da cui il giocatore può fare fatica a uscirne. Mafia The Old Country non è, però, un prodotto perfetto. Il comparto ludico dell’opera va parecchio in controtendenza rispetto a quello narrativo e audiovisivo, in modi che temevamo ma che, a essere sinceri, non ci aspettavamo. Preparate le valige, dunque, il viaggio nella Sicilia di The Old Country sta per iniziare.

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Tutto per la famiglia.

Mafia The Old Country: una lettera d’amore alla Sicilia e all’Italia

Per questa recensione, vogliamo fare qualcosa di diverso. Prima di scendere nei dettagli tecnici, e soprattutto prima di elencare quelle problematiche che hanno impedito alla produzione di raggiungere vette più imponenti, sentiamo il bisogno di partire da tutte quelle cose belle, bellissime, che abbiamo potuto vedere e vivere durante la nostra avventura. Mafia The Old Country è molto più di un videogioco. Hangar 13 si è cimentata in una produzione a dir poco ambiziosa, visivamente e artisticamente, e ha centrato appieno l’obiettivo. L’impatto visivo con il titolo è, semplicemente, maestoso, unico, quasi commovente, specialmente per chi conosce l’Italia, la Sicilia e, ovviamente, per chi queste terre meravigliose le ha vissute e le vive, tutt’ora. Il team di sviluppo ha saputo osservare, amare e ricreare, mettendo in scena uno spettacolo in continua crescita, evoluzione, che riesce a fare non da contorno ma, anzi, da vero protagonista di un racconto che è stato cucito addosso alla sua terra d’appartenenza.

Quello che abbiamo visto con Mafia The Old Country è molto di più di una semplice ricostruzione artistica. È un messaggio d’amore a una terra meravigliosa, su cui affondano con sempre più avidità e ingordigia le fauci oscure e sanguinolente della Mafia. Il contrasto creato, in tal senso, è a dir poco sublime, autentico. Puro. Muoversi per le strade, che sia a cavallo, a piedi o in macchina, è un vero e proprio trionfo di colori, amore e cultura, ed è impossibile non fermarsi, perdersi, a osservare, quasi respirare, e sentire il profumo di una realtà meravigliosa e spietata, che non conosce alcun perdono. Il punto massimo di questo concetto è rappresentato dal doppiaggio in lingua siciliana, la vera e propria “killer app” del pacchetto. Vivere un titolo simile con un doppiaggio simile è un plus di non poco conto. Lo avevamo già intuito nelle prime battute che questo fattore avrebbe potuto rappresentare un passaggio fondamentale della buona riuscita del progetto, e ne avevamo ben donde.

Quello che non avevamo messo in conto, era che – in tal senso – le aspettative sono state surclassate dalla resa finale. In senso positivo, s’intende. Il valore donato all’esperienza dal doppiaggio va ben oltre la “semplice” familiarità con toni, espressioni gergali e atteggiamenti cuciti ad hoc sugli stereotipi di maggior predominanza nella storia, e diventa – praticamente – parte integrante, il cuore pulsante di tutto il viaggio di crescita, formazione ed evoluzione di un personaggio creato su misura proprio per rappresentare il simbolo di tutto quanto detto finora. Il valore dell’interpretazione, in The Old Country, o Terra Madre, è importante tanto quanto lo sarebbe se fossimo davanti a un film o una serie tv. Non è un caso che l’avventura, per forza di cose, ha un taglio cinematico, ed è proprio tutto il pacchetto a dare un’impronta unica, inconfondibile, a una storia di per sé gradevole ed appassionante, ma che viene indubbiamente spinta da tutto il grande lavoro svolto a “corredo”.

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Enzo e Isabella: un rapporto indissolubile.

Amore, famiglia, tradimento, morte

Mafia The Old Country racconta una storia, per quanto gradevole, ordinaria, per certi versi “scontata”. I ragazzi di Hangar 13 hanno deciso di giocare in casa, di creare una storia che sia, allo stesso tempo, familiare ai canoni del genere e sufficientemente godibile per tutti i target, centrando il bersaglio (quasi) completamente. Il viaggio di Enzo parte a mille e si sviluppa con una velocità impressionante, almeno nei primi capitoli, che sono quelli che abbiamo anche apprezzato maggiormente. L’ascesa al potere, la voglia di vendetta, la fedeltà alla famiglia, l’amore impossibile: sono questi i temi che rendono The Old Country un titolo narrativamente poco originale, ma allo stesso tempo risulta quello che ci saremmo aspettati di vedere.

I capitoli che compongono la narrazione si arricchiscono man mano di nuove informazioni, nuovi volti e nuovi risvolti, ma diventano man mano sempre più “pesanti” e, soprattutto, nella fase centrale il ritmo della storia diventa un po’ troppo confusionaria, con tanti eventi che arrivano nello stesso momento e che spezzano quella ordinaria marcia verso un’evoluzione splendida da vedere, ma talvolta fin troppo prevedibile e imbrigliata nella sua stessa natura. Non lasciatevi scoraggiare da queste parole, però. Mafia The Old Country si fa portavoce di un’idea sì ordinaria, ma lo fa nel miglior modo possibile. Enzo è un personaggio con cui è praticamente impossibile non empatizzare, con condividerne alcune scelte, un personaggio che riesce, nella sua “semplicità” a far breccia nei cuori dei videogiocatori, proprio perché rimane “umano” per tutto il suo viaggio.

Quello di Mafia The Old Country è un romanzo dinamico, un viaggio creativo nel cuore e nella mente di un ragazzo che diventa uomo, padre, sicario, leader, vincitore e vinto, in un dedalico amplesso narrativo ricco di empatia più che di idee e che, a conti fatti, funziona più che bene. Enzo, indubbiamente, ruba parecchio la scena, ma non è l’unico alfiere di questa storia. Luca, Isabella, il giovane Leo Galante, Don Torrisi, Cesare, gli antagonisti: sono tutte facce di un dado semplice, con pochi risvolti nascosti, ma funzionano tutti e sono allo stesso modo parte integrante di un quadro più grande che – lentamente – assume le dimensioni di riferimento, con qualche sbavatura qua e là, ma comunque in maniera assolutamente positiva. Mafia The Old Country non è un racconto memorabile. Ma, nel suo essere squisitamente semplice e ordinario, diventa il simbolo di una serie che mancava al grande pubblico da tanto tempo. Troppo tempo.

La Sicilia di The Old Country è meravigliosa, viva.

Stu jocu è vecchiu

Le note dolenti le abbiamo volute lasciare per ultime. Perché fanno veramente male. L’avrete già capitolo dal titolo di questo paragrafo, rigorosamente in siciliano per rimanere in tema e per omaggiare una terra che ci ha saputo trasmettere emozioni virtuali impensabili. Sto jocu è vecchio, ossia, “questo gioco è vecchio” e non parliamo della collocazione cronologica. Giocando a Mafia The Old Country è come se il tempo si fosse fermato, come se avessimo fatto un viaggio nel passato, in un’epoca videoludica, nel bene e nel male, decisamente superata. Hangar 13 ha smesso, volutamente, i panni dell’open world tanto discusso in Mafia III, è tornata alle origini confezionando un prodotto story driven, il cui gameplay è da considerarsi quasi come un contorno, un elemento accessorio della storia e che lavora proprio in funzione della narrazione.

Il grande problema, però, è che tutto l’impianto ludico appare – e si conferma durante tutta l’avventura – sin troppo superato, vecchio, ancorato a una dimensione e a una visione creativa decisamente superata. Ludicamente parlando, infatti, Mafia The Old Country è un ritorno ai primi capitoli della serie, come già dicevamo poc’anzi, nel bene e nel male. Le varie missioni sono tutte molto lineari, se vogliamo essere spietatamente onesti anche un po’ riciclate – in alcuni casi – dai vecchi capitoli della serie, e non offrono molte occasioni per spezzare una monotonia di fondo che risulta a dir poco evidente, sin da subito. Ognuna delle missioni, durante i 14 capitoli che raccontano la storia di Enzo, ha un target a dire il vero molto lineare, con pochissimi spunti creativi o variazioni. L’obiettivo è quello di andare in un posto “X”; una volta arrivati, in macchina o cavallo, bisogna poi intrufolarsi in una base o in una struttura nemica in generale, uccidere il boss di turno, e poi si ripete.

Ora, potrebbe sembrare nemmeno così grave, specialmente per i puristi della serie, che potrebbero attribuire questa scelta a una volontà precisa di portare avanti l’identità del brand Mafia, ma i problemi non sono questi. Anzi. Il vero problema di Mafia The Old Country è che il gameplay non evolve mai. Non c’è una curva di apprendimento, non c’è un livello di sfida crescente: si parte da un punto “A” e si arriva al punto “Z”, senza soste e senza deviazioni. Il core dell’esperienza è l’alternanza ossessiva tra le fasi stealth e le tantissime sparatorie, e in entrambi casi manca completamente un tasso di sfida e un’evoluzione delle meccaniche di gioco, tipiche degli action di maggior spicco. Per superare le fasi stealth – quasi sempre – basterà imparare le routine dei nemici, che sono, nella maggior parte dei casi, a dir poco limitate. Per le sparatorie, beh, il discorso è un po’ più complesso, ma la sostanza è più o meno quella.

I duelli con i Pugnali sono croce e delizia della produzione

Duelli all’ultimo sangue, ma senza emozioni

A rovinare le fasi shooting, impreziosite da una cura maniacale nella riproposizione delle armi, soprattutto di quelle più iconiche (vedi la Lupara, ecc), sono diversi fattori, che collidono e si incontrano in un comparto ludico davvero misero. Il primo di questi è l’intelligenza artificiale dei nemici. Non vogliamo girarci intorno: per quanto ci riguarda, è praticamente non pervenuta. I nemici, infatti, fanno sempre le stesse cose, non vedono Enzo a un palmo dalla loro mano se è abbassato e non si accorgono minimamente dei loro alleati stesi a terra durante le fasi stealth (e non solo). Un altro grande problema sono le dinamiche di gioco in sé. Le fasi shooting sono lineari e offrono un livello di sfida minimo, che si lega giocoforza alla bravura del giocatore nel saper aspettare il momento giusto, proteggersi e colpire al momento giusto, anche perché il numero di colpi necessari a uccidere l’avversario di turno è pressoché sempre lo stesso.

Abbiamo fatto l’esempio dei nemici normali e non dei boss, e c’è una ragione. Le “boss fight”, infatti, sono imprigionate in un sistema di duelli all’arma bianca, più precisamente con i coltelli, di una pochezza ingiustificabile. La meccanica di base è molto lacunosa, e anche il feedback generale dei colpi – praticamente nullo – contribuisce non poco a rendere questi scontri un vero e proprio peso, mai un piacere. Un altro aspetto che abbiamo mal digerito è quello relativo all’esplorazione. La gigantesca Sicilia dei primi anni del 1900, per quanto meravigliosa, è vuota, non offre punti di interesse e segreti da scoprire, e diventa gigantesca tela vuota, nonché una grandissima occasione mancata per poter dare al titolo, e alla ricostruzione in sé, un aspetto e un’identità più profondo. Anche il sistema di potenziamento di Enzo è molto bando, quasi attaccato a forza nell’intelaiatura del gioco, e non risulta mai veramente necessario, tant’è che noi ci siamo ricordati di mettere tutti i potenziamenti nelle fasi finali del gioco, e non prima.

Le fasi di combattimento sono molto numerose

Mafia The Old Country: come gira su PC?

In ultima battuta, vogliamo spendere due paroline sul comparto tecnico del gioco. Tralasciando la splendida componente artistica, figlia del doppiaggio e, soprattutto, della cura maniacale con cui è stata ricostruita la Sicilia, Mafia The Old Country è un prodotto validissimo, anche sul fronte dei numeri e della fruibilità. Noi abbiamo recensito il titolo su PC, con un codice Steam fornitoci dal Publisher, con una configurazione di fascia medio-alta. Grazie alla Nvidia 5070 RTX abbiamo potuto vivere l’esperienza di gioco con tutti i dettagli al massimo, col preset Epico, con ottimi risultati anche in termini di frame-rate. Grazie alla piena compatibilità con le ultime tech di Invidia, il gioco si attesta sui 70fps in DLAA e risoluzione 1440p, mentre utilizzando il DLSS 4 in modalità Quality si raggiungono agilmente i 160-170 fps. Attivando il frame generato si infrange facilmente il muro dei 200fps, ma non è nemmeno necessario.

Al di là dei numeri, però, è proprio l’immagine restituita a risultare, talvolta, splendida da vedere e da vivere. L’Unreal Engine viene sfruttato a dovere, in particolare nella resa dei materiali, come le rocce, il legname e via dicendo, e gli shader riescono a offrire una gestione dell’illuminazione sempre gradevole, specialmente nelle fasi al buio e in cui, magari, si fa uso di un fuoco per illuminare il tutto. La modellazione poligonale dei personaggi è di ottimo livello, così come le espressioni facciali, che ho trovato di pregevole fattura e molto convincenti. Il comparto tecnico di Mafia The Old Country è di ottima fattura anche per quanto concerne i particellari e la resa dei colori, in generale.

I difetti maggiori sono da ritrovare in alcuni bug, alcuni dei quali molto evidenti. Tralasciando alcuni cali di frame-rate, ma comunque sporadici e poco frequenti, quello che ha “sporcato” un po’ il viaggio è il rumore dell’immagine utilizzando tutte le tech di Nvidia. Con DLSS acceso, la qualità dell’immagine è complessivamente ottima, ma analizzando alcuni fattori specifici vengono fuori i problemi. Ad esempio, la vegetazione si sgretola un po’ in termini di pixel, la resa di alcuni materiali è soggetta a vibrazioni e “rumori” eccessivi, che sfociano quasi nel tearing, e in alcuni casi ci siamo anche imbattuti in cambi di luminosità cambiando semplicemente la visuale. Si tratta di difetti, però, da andare a notare facendoci molto caso, e che non rovinano l’esperienza di gioco, salvo qualche piccolo caso sporadico.


Quello con The Old Country è stato un viaggio intenso, per certi versi “speciale” e che poteva dare ancora di più. La storia di Enzo si sviluppa bene, riesce a catturare l’interesse del giocatore per tutta la durata, ma inciampa su tanti cliché, su alcuni momenti un po’ troppo “riempitivi” e soprattutto su un gameplay dal sapore veramente vetusto, superato, arcaico. Per i puristi della serie immaginiamo che questo aspetto non sia per forza di cose un problema ma, considerando l’orologio videoludico dello sviluppo e dell’evoluzione, è impossibile non storcere il naso di fronte a scelte di game design veramente obsolete. Rimane, però, un viaggio unico e memorabile, da fare assolutamente se siete fan della serie. Mafia The Old County, in questo caso, saprà catturarvi, senza “sé” e senza “ma”, risultando uno dei capitoli più intensi e cinematografici di tutta la serie.