Luto Recensione: il labirinto del male interiore

Come molte software house hanno saputo attestare nel corso degli anni, il genere horror psicologico ha sempre saputo trovare terreno fertile per l’espressione di idee creative e per la sperimentazione narrativa tra le opere multimediali. Negli ultimi tempi, peraltro, l’industria videoludica iberica ha dimostrato di possedere in tal senso una notevole vitalità, producendo una vera e propria ondata di titoli che, pur con budget limitati, hanno saputo catturare l’attenzione globale: dalle atmosfere inquietanti di città abbandonate a case infestate da entità spettrali, gli sviluppatori spagnoli hanno espresso una profonda comprensione delle dinamiche della paura, lavorando non tanto sull’effetto sensazionale o sulla violenza grafica, quanto sulla costruzione di un terrore subdolo, interiore e profondamente disturbante. Ed è in questo contesto, ricco di promesse e di esempi di successo, che si inserisce una produzione esordiente destinata a lasciare il segno, un debutto che non si limita a emulare i grandi maestri del genere, ma che tenta di ridefinire le regole della categoria con un’avventura che valica i confini del semplice intrattenimento. Luto, annunciato qualche anno addietro e concepito da un piccolo team proveniente dalle isole Canarie, non vuole essere un semplice videogioco quanto più un viaggio catartico, un’esplorazione coraggiosa e senza peli sulla lingua di uno dei temi più universali e devastanti dell’esperienza umana: il dolore e il percorso necessario per la rispettiva metabolizzazione. La sua capacità di trasformare un’emozione così intima e lacerante in un’interazione videoludica efficace e memorabile rappresenta un passo in avanti significativo non solo per il genere di appartenenza, ma per il medium stesso.

Luto
La casa rappresenta un labirinto emotivo e psicologico, dove i corridoi possono condurre a ricordi traumatici

Luto: il telefono continua a squillare

La trama di Luto, che in spagnolo significa per l’appunto “lutto”, ci mette nei panni di Samuel, un uomo che si trova improvvisamente incapace di uscire dalla propria casa. Ciò che inizia come una situazione apparentemente ordinaria – una giornata che si ripete all’infinito, un ciclo spaziale e temporale che lo imprigiona – si trasforma rapidamente in un incubo surreale e non euclideo. La dimora, simbolo di sicurezza e rifugio, diventa un labirinto emotivo e psicologico che si distorce in base alla psiche sgretolata del protagonista. Ogni stanza, ogni corridoio e ogni oggetto che incontriamo sono frammenti di un passato doloroso e traumatico, tasselli di un puzzle narrativo che in quanto giocatori veniamo chiamati a ricomporre. La storia non viene raccontata attraverso cinematiche elaborate o spiegazioni dirette, ma si affida a un linguaggio simbolico e metaforico: dettagli evanescenti come note scritte a mano, orologi fermi o disegni infantili fungono da indizi per decifrare il trauma di Samuel. È un approccio che esige pazienza e sensibilità da parte del giocatore, costringendolo a leggere tra le righe e a ricostruire la sofferenza del protagonista a partire da elementi visivi e sonori apparentemente insignificanti. Questa immersione totale nella mente di un individuo segnato dalla perdita rende il percorso figurato e letterale non solo spaventoso, ma anche profondamente toccante e riflessivo. A spezzare il racconto visivo principale interviene un misterioso narratore, una voce fuori campo che commenta le azioni di Samuel, a volte in tono paternalistico, altre con una nota di nervosismo. È un espediente narrativo di primo acchito quasi sgradevole e disarmonico, ma che diviene ben presto un elemento cruciale per comprendere e mettere in discussione la prospettiva del nostro alter ego, aggiungendo un ulteriore strato di complessa ambiguità a un resoconto già denso di significato.

Il gameplay, d’altra parte, è contraddistinto dalla sua essenzialità volutamente minimalista. Luto si presenta come un classico “simulatore di camminata”, dove le azioni a disposizione del giocatore sono ridotte all’osso: siamo limitati a camminare, a correre in modo piuttosto lento e affaticato, e ad interagire con l’ambiente circostante. Non ci sono combattimenti, né un inventario affollato da gestire. Tuttavia, questa apparente semplicità nasconde una sfida impegnativa e cerebrale: la vera natura interattiva dell’avventura risiede nei numerosi enigmi ambientali e simbolici che il giocatore deve risolvere per progredire. Alcuni di questi puzzle sono concepiti in maniera molto scaltra, poiché richiedono un’attenta osservazione del contesto e una profonda riflessione sulla narrazione, concretizzandosi in sfide che si integrano perfettamente con il tema del gioco come seguire un suono o interpretare un disegno. Nondimeno, bisogna ammettere che non tutti gli enigmi sono parimenti validi: alcuni risultano eccessivamente arbitrari, frustranti e poco chiari, costringendoci a procedere per tentativi ed errori che vanno a intaccare l’altrimenti impeccabile scorrevolezza dell’esperienza. Il titolo, in tal senso, non elargisce concessioni ma esige che il giocatore sia metodico, paziente e sappia guardare oltre la superficie, mettendo alla prova non solo l’intelletto ma anche la perseveranza. Le figure spettrali che appaiono sporadicamente, benché in apparenza innocue, aggiungono un tocco di sgomento visivo che, pur senza essere la componente principale, si sposa bene con il terrore psicologico di fondo.

Non lasciatevi ingannare dall’aspetto volutamente “fanciullesco” di queste figure spettrali

Questa volta andrà tutto bene

Il comparto visivo di Luto, pur non puntando a una grafica spettacolare, riesce a colpire e a inquietare profondamente. L’utilizzo di uno stile fotorealistico, reso possibile da un utilizzo sapiente dell’Unreal Engine 5, contribuisce in modo deciso a creare un’atmosfera opprimente e minacciosa al punto giusto. La direzione artistica si lascia ammirare per la sua capacità nel manipolare luci e ombre, trasformando spazi domestici comuni in luoghi di terrore e alienazione. I corridoi si allungano all’infinito, gli oggetti cambiano di posto in modo impercettibile e le fonti luminose ingannano la percezione del giocatore. È un tipo di orrore che non si manifesta in modo plateale ma sussurrato, che si insinua lentamente sotto la pelle iniettando una sensazione di malessere costante. L’efficacia di simili scelte estetiche si manifesta in particolar modo nel design dei “fantasmi” coperti da lenzuola, un elemento potenzialmente risibile che diventa, grazie alle impeccabili animazioni e a una gestione ponderata della luminaria artificiale, una delle fonti principali di inquietudine visiva. Purtroppo, il profilo tecnico non è esente da imperfezioni, e le versioni console  in particolare presentano alcuni cali di frame rate e occasionali irregolarità che interrompono momentaneamente l’immersione. Inoltre, in alcuni passaggi, l’oscurità è talmente fitta da rendere l’esplorazione e la risoluzione degli enigmi non poco frustrante, anche se si capisce che tale scelta è stata fatta per trasmettere un senso di smarrimento e di perdita. Al netto di queste piccole lacune, l’impatto visivo generale è un punto di forza indiscusso del gioco.

Ma, se la porzione grafica è perturbante, il design sonoro di Luto si può definire come un vero e proprio prodigio. L’eccellenza raggiunta in questi termini è tale da riuscire da sola a farlo spiccare sull’intera concorrenza contemporanea. Ogni singolo scricchiolio del pavimento, ogni passo lungo gli stretti corridoi, ogni stridore dei cardini di una porta è calcolato alla perfezione per trasmettere un senso di disagio e di tensione. Il gioco utilizza il suono come uno strumento fondamentale per manipolare la percezione del giocatore, facendogli credere che un rumore provenga da una stanza vuota o sfruttando il silenzio prolungato per acuire la tensione. In alcuni casi, gli effetti sonori diventano elementi essenziali per la risoluzione dei rompicapo, a ulteriore riprova del talento del team di sviluppo. La colonna sonora viene invece impiegata con parsimonia, quasi assente nei momenti di maggiore tensione, lasciando che siano i suoni ambientali a farsi carico della pressione emotiva. Quando la musica fa la sua comparsa, è per rafforzare un’emozione, non per manipolare i nostri sensi. Per apprezzare appieno la maestria del sound design, è imperativo giocare con le cuffie: è l’unico modo per percepire tutte le sfumature e i rumori, anche minimi, che contribuiscono a costruire un’atmosfera così incisiva.

Luto
Per quanto la grafica sia apprezzabile, ciò che distingue realmente Luto da tanti altri analoghi è il suo incredibile comparto acustico

Luto: cosa cambierebbe di ciò che senti?

Al di là degli aspetti tecnici e narrativi, Luto si distingue per una notevole profondità tematica e per la sua natura meta-narrativa. Argomenti difficili come la salute mentale, la perdita, l’ansia e la colpa vengono affrontati con encomiabile maturità, e integrati senza soluzione di continuità in ogni singola scelta di design. Le stanze che si deformano e i continui cicli temporali non sono solo espedienti di poco conto, ma riflettono il messaggio centrale del gioco: non c’è una facile via d’uscita dal dolore, anzi, a volte non ne esiste nemmeno una difficile.

Il gioco si crogiola in un’essenza autoriflessiva, ponendosi come interrogativo circa le convenzioni stesse del genere horror. A volte, questa sua inclinazione a decostruire le regole può creare una certa frizione, dando quasi l’impressione che si dibatta tra l’essere una storia profondamente personale e un esercizio di stile. Ma è fuor d’ogni ragionevole dubbio che questa ambizione sia anche uno dei suoi aspetti più riusciti, dimostrando il coraggio del team che l’ha realizzato. Oltre a quanto appena descritto, Luto è un manifesto artistico che attinge a piene mani dal folclore e dalla cultura iberica, inserendo riferimenti alla pittura, al cinema e alla letteratura che arricchiscono l’intera produzione.


Un’opera prima straordinaria, un’esperienza agghiacciante e profondamente stratificata che punta a riclassificare il genere horror psicologico in ambito videoludico. Tolti alcuni enigmi frustranti e qualche problema tecnico di minore entità, la lenta e magistrale costruzione della claustrofobica atmosfera in cui Luto ci immerge, il superbo impianto sonoro e l’approccio maturo e coraggioso ai temi che affronta lo rendono un titolo indimenticabile, uno di quelli destinato a rimanere dentro di noi anche dopo aver spento lo schermo dopo i titoli di coda.


 

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.