Dying Light The Beast Recensione: una “bestia” contro gli zombie

dying light the beast cover

Nelle ultime settimane, abbiamo potuto mettere – finalmente – le mani (e i denti) su Dying Light The Beast. Il nuovo titolo della serie, targata Techland, arriva sul mercato con una missione importante: riportare la serie ai fasti del primo, apprezzatissimo, capitolo. Tra quest’ultimo e The Beast, infatti, c’è da tenere conto di un secondo capitolo, Stay Human, che non ha lasciato il segno, finito divorato dalla pletora di aspettative con cui si è – timidamente – affacciato sul mercato.

Per questo motivo, aspettavamo con grande curiosità l’arrivo di questo nuovo titolo della serie, che decide di tornare alle origini, anche sfruttando il vecchio protagonista “originale”: Kyle Crane. Quello di Crane è un viaggio, sulle prime battute, molto personale, intimo. Col passare delle ore, la narrazione si apre, abbraccia nuove verità, approfondisce un mondo di gioco caratterizzato da una scrittura solida, non per forza di cose geniale, ma che riesce a dare all’avventura un percorso narrativo appagante e interessante, seppur con qualche cliché, tipico del genere di riferimento.

Se dal punto di vista della narrazione possiamo ritenerci soddisfatti, quello che ci ha dato le delusioni maggiori, purtroppo, è il gameplay, nello specifico le dinamiche di gioco. Giocando a The Beast abbiamo avuto la sensazione di essere imbrigliati in un prodotto che non si evolve mai e, seppur sufficientemente divertente e lucidamente appagante, non riesce a togliersi di dosso una sensazione continua di ripetitività e poca lungimiranza. Sostanzialmente, Dying Light The Beast ha un bel po’ di buone idee e anche un potenziale interessante, ma alla fine della corsa sembra che si sia preferito, invece, optare per un’identità più sicura e scontata, nonché automaticamente meno coraggiosa.

Dying Light the beast aristicamente
Crane è pronto per il suo nuovo viaggio.

Dying Light The Beast: la vendetta di Crane

Come abbiamo già avuto modo di anticiparvi in apertura, la storia di Diying Light The Beast ci ha parecchio stupito. Ora; è chiaro che non siamo di fronte a un capolavoro di scrittura e narrazione, ma è anche altrettanto chiaro che, dopo aver concluso la campagna principale, ci siamo sinceramente sentiti soddisfatti, per quanto diverse cose potevano essere trattate in maniera diversa e per un finale non soddisfacente del tutto. Il viaggio di Crane si sviluppa in maniera, se vogliamo, lineare, con pochi guizzi e colpi di scena, ma è proprio questo aspetto che – contestualizzato al tipo di storia a cui fa riferimento – riesce a rappresentare una freccia in più all’arco della produzione.

Kyle Crane parte da una situazione disperata. Il protagonista del primo capitolo è tenuto prigioniero in una struttura medico/militare, in cui viene trattato, senza mezzi termini, come cavia da laboratorio. La sua compatibilità estrema con il virus, difatti, lo rende un soggetto perfetto per numerosi test, che hanno avuto effetti importanti sul corpo dell’ex militare. Grazie a un “piccolissimo” intervento esterno, Crane riesce a liberarsi, scoprendo che dietro alla sua prigionia, e al caos che attanaglia quel che resta della civiltà, c’è il “Barone”, una figura misteriosa che sembra avere un bel po’ di potere, tanto da tenere sotto il proprio dominio gran parte dei – pochi – esseri umani rimasti ancora in sé.

Dying Light The Beast è brutale e spietato

Non c’è un film, gioco o qualsiasi altro prodotto d’intrattenimento a tema zombie, però, senza le immancabili fazioni, sparse un po’ qua e là, ognuna con le sue idee, i suoi obiettivi. Il suo modo di vivere. Col passare delle ore di gioco, queste fazioni si delineano, si mettono a nudo, e danno manforte a tutto l’impianto narrativo, che diventa, via via, sempre più interessante e con nuovi spunti. Tra tradimenti, cospirazioni, e tanta, tanta voglia di capire cosa c’è dietro alle azioni del Barone, Crane porta avanti numerosi rapporti, spesso di convenienza reciproca, che danno un senso a tutta la storia, in maniera complessivamente naturale e piacevole.

Il risultato finale è, dunque, fondamentalmente positivo, ma forse si poteva fare di più. Tirando le somme, infatti, abbiamo avuto la sensazione che, forse, ci si poteva prendere un po’ di tempo extra per dare più spazio ad alcuni comprimari e ad alcune storie accessorie, che spesso sono circoscritte alle attività “accessorie” e, dunque, potrebbero essere poco appetibili per i giocatori che prediligono un accesso esclusivo a quella che è la storia principale.

Crane è di nuovo il protagonista

Dying Light The Beast: scatena la bestia interiore!

Non è un mistero: uno degli aspetti nevralgici su cui Techland ha impostato lo sviluppo di The Beast è il gameplay, con un mix di novità e conferme. Ovviamente, il parkour e la verticalità sono due capisaldi anche di questo capitolo, e dobbiamo ammettere che, pur senza rivoluzioni di sorta, fanno a dovere il proprio compito, seppur con qualche bug e qualche movimento “storto” sporadico. Kyle Crane è ancora più poderoso, ma anche estremamente più agile, più felino. Questo significa una sola cosa: una brutalità e una frenesia fuori di testa, che si avverte indistintamente, anche dalle prime ore di gioco. Sotto l’aspetto della mobilità e della libertà, Techland non lesina minimamente, e vi diciamo che sin da subito è possibile scalare qualsiasi superficie e visitare qualsiasi luogo, senza alcun tipo di freno legato a nuove abilità da sbloccare durante la campagna.

Chiaramente, col passare delle ore e con più livelli esperienza sulle spalle si bloccano nuovi talenti che migliorano anche le abilità di “navigazione” di Crane, come doppi salti, spinte in avanti e via dicendo, ma vogliamo che sia chiaro che la verticalità del protagonista non cambia ed è, sin da subito, elevatissima. Questo è un aspetto chiave della produzione, nel bene e nel male. Il parkour è una dinamica talmente predominante da rendere quasi scontato, doveroso, correre con foga, trotterellare da una parte all’altra della mappa, senza – praticamente – mai guardarsi intorno. Il che non è sempre un male, anche perché l’open world di Techland non ha tantissime attività da offrire, se non qualche evento casuale di salvataggio dei superstiti, assalti ai convogli militari, per recuperare munizioni, e poco altro.

I combattimenti sono sempre spettacolari

L’esplorazione, dunque, è un po’ sacrificata o, per meglio dire, passa un po’ in secondo piano, rispetto proprio a quella voglia naturale, spinti dalle dinamiche di gioco, di andare in giro, a braccia spiegate, a massacrare gruppi numerosissimi di zombie, trotterellando a destra e manca. Proprio parlando di zombie, per quanto ci riguarda, crediamo che Techland abbia un po’ esagerato con le quantità. La mappa di gioco, a essere onesti, riesce comunque a nascondere luoghi nascosti, zone in cui fare rifornimenti e reperire oggetti da vendere, per accrescere il proprio potere economico, ma proprio considerando l’elevata presenza di non morti, ci siamo trovati spesso e volentieri a disagio, frustrati e abbiamo optato per correre a testa bassa vero l’obiettivo di turno, senza prolungare più di tanto le nostre soste.

Inoltre, in Dying Light The Beast, torna la meccanica del ciclo giorno-notte, con quest’ultima che fa da vero e proprio spauracchio, anche per il giocatore più ardito e coraggioso. In questo capitolo, gli sviluppatore hanno rincarato parecchio la dose, creando un mondo notturno davvero spaventoso, minaccioso e – sul piano pratico – caratterizzato da un tasso di sfida e da una difficoltà generale veramente importante. Viaggiare di notte, in The Beast, è una vera e propria impresa. Tra nemici “speciali”, un boost, in generale, in termini di velocità e cattiveria anche dei zombie normali e, dulcis in fundo, uno stile visivo cupo, circoscritto, in cui veramente la notte è praticamente un quadro nero in movimento, vi capiterà, praticamente sempre, di evitare di farvi vedere in giro dopo la mezzanotte. Peccato, però, che non ci è capitato di trovare missioni principali “obbligatorie” da svolgere in notturna, se non per piccoli pezzi, e potendo scegliere alle basi di aspettare il mattino, si va a perdere un po’ il senso di sfida previsto dal gioco.

Le abilità “Bestiali” sono una novità del gioco.

Un mondo ostile e minaccioso

Quello di Dying Light The Beast, ormai l’avrete già capito, è un mondo a dir poco minaccioso. I pochi superstiti vivono, per lo più, rintanati in pochi rifugi, nascosti agli occhi dei temibili e numerosissimi non morti, e per Crane, al netto delle sua abilità uniche, la situazione è fondamentalmente la medesima. Il mondo di gioco, però, come un po’ da tradizione per il genere, mette sulla strade altri pericoli, che vanno al di là dei “semplici” non morti. Per le strade, infatti, si aggirano, oltre ai classici nemici “speciali”, che si avvistano soprattutto di notte, numerosi gruppi di predoni armati, in primis gli uomini del Barone, l’antagonista principale della serie. La loro presenza è sicuramente inferiore rispetto a quella dei nemici non morti, è chiaro, ma si fa sentire parecchio. In primis, però, lasciateci precisare una cosa molto importante: Dying Light The Beast è un titolo caratterizzato da un tasso di sfida elevato, anche ai livelli più bassi di difficoltà.

Portare a casa la pelle, in situazioni “normali” è già di per sé molto complesso, senza parlare dei viaggi in notturna che, a conti fatti, rappresentano un mezzo suicidio, anche per l’assenza del viaggio rapido. Va però chiarito che il gioco opta per un sistema di danni “realistico”, che a dirla tutta funziona anche bene: per farla breve, morirete con pochi colpi, ma anche i nemici, in ugual modo, avranno una soglia di resistenza ai danni relativamente limitata. Da qui, però, si palesano i primi “problemi”, che ci hanno un po’ fatto storcere il naso. I nemici umani, in questo senso, rappresentano un ostacolo bello grosso. Quest’ultimi, che chiaramente si muovono sempre in gruppo, sono spesso e volentieri ben protetti e ben attrezzati, con armi a distanza e non solo, e riuscire ad averne la meglio, in combattimenti per forza di cosa continuamente scanditi da uno svantaggio numero evidente, non è il massimo. Anche perché, i nemici umani hanno anche la tendenza a schivare la maggior parte degli attacchi, rendendo veramente complesse e frustrati alcune sezioni.

Il mondo di gioco è ricco di personaggi importanti

Dall’altro canto, gli zombie sono, invece, molto numerosi e per quanto meno pericolosi degli umani riescono comunque a mettere molto in difficoltà il giocatore, a meno che non si opti per un approccio più pragmatico. Lo stealth, in tal senso, dà una grossissima mano, rendendo tutto molto più semplice, specialmente imparando a usare bene l’istinto bestiale, l’equivalente dell’occhio dell’aquila di AC, per intenderci. Tuttavia, lo stealth espone anche il gioco a mostrare gli sbilanciamenti dell’IA. I nemici, infatti, risultano o troppo stupidi o troppo bravi, senza un vero motivo, alternando fasi in cui non riescono a vederci nemmeno a un palmo del loro naso a momenti in cui basta una respiro per poter attirare la loro attenzione. Questo rende tutto un po’ più instabile, ma dubbiamo ammetare che tutto il sistema di combattimento ci ha comunque convinto.

Maciullare zombie è divertentissimo, non lo neghiamo, specialmente sfruttando la trasformazione in “Bestia” di Carne. In questa forma, che ha un timer limitato, il protagonista diventa una vera e propria macchina, con salti enormi, resistenza ai danni eccezionale e, soprattutto, la capacità di fare a brandelli i nemici più “piccoli” con estrema facilità, nonché di infliggere ingenti danni a quelli più coriacei. La trasformazione, dunque, è un’aggiunta interessante, ma non brilla di certo per concezione e sviluppo. Per poter ottenere nuovi poteri è necessario sconfiggere le Chimere, ossia i nemici speciali sparsi per la mappa di gioco. Il rovescio della medaglia è che questi nemici sono praticamente tutti obbligatori e, dunque, semplicemente andando avanti con la storia riuscirete a sbloccarne tutti i potenziamenti.

Sviluppare al massimo la trasformazione aumenta tutte le abilità Crane e lo rende ancora più devastante, in quella forma, ma non ha un impatto così elevato sul personaggio. Allo stesso modo, abbiamo provato un po’ la stessa sensazione maxando lo skill tree principale. Crane, salendo di livello, può sbloccare nuove abilità e, allo stesso modo, equipaggiare oggetti e armi diverse, ma ancora una volta abbiamo avuto la sensazione che non cambi più di tanto, specialmente per quanto riguarda le armi e il vestiario. Alcune abilità, invece, hanno un buon potenziale, ma a essere onesti la cosa più interessante dello skill tree è lo sbloccare nuovi progetti, con cui è possibile creare gadget curativi o d’attacco, perfetti per avere la meglio, specialmente nelle situazioni più concitate.

La scrittura è di buon livello

Esplorazione, boss fight, attività

Anche da un punto di vista della fruizione, in generale, il mondo di gioco di Dying Light The Beast, il suo open world, è molto tradizionale, ma comunque funziona. La mappa unica è divisa in zone, caratterizzate da un livello di “potenza”, che indica, appunto, la pericolosità di una certa area. Per muoversi, ovviamente, Crane può fare affidamento sulla sua strepitosa mobilità, tant’è che non abbiamo mai – se non per le quest guidate – sentito il bisogno di dover sfruttare i (pochi) veicoli per spostarci da un punto all’altro della mappa. Le varie location nascondo luoghi d’interesse, in cui recuperare oggetti, al costo di un viaggio in luoghi chiusi, pieni di zombie e difficili da espugnare, e tanti, tantissimi non morti, che come abbiamo detto prima un po’ compromettono la voglia di esplorare del giocatore. Dying Light The Beast è, in tal senso, un gioco molto tradizionale, con le attività che si dividono in principali e secondarie, con quest’ultime che, spesso, rappresentano un modo per ampliare la conoscenza del mondo di gioco, ma sono lucidamente ripetitive, e si limitano a raccolta, arrampicate per attivare un quadro elettrico e via dicendo.  

Proprio sotto questo aspetto, ho trovato forse volutamente troppo esagerata la necessità di sfruttare le arrampicate di Crane. Spesso, infatti, bisogna arrampicarsi per davvero tanto tempo, con la paura di cadere e ricominciare, cosa che, sinceramente, non ci è piaciuto più di tanto.Anche le boss-fight, sia quelle principali sia secondarie, non ci hanno convinto più di tanto. Per quanto spettacolari, grazie anche alla brutalità del protagonista, le abbiamo trovate sempre molto scontate e ripetitive. Sia chiaro, è sempre divertente e appagante scontrarsi con i nemici, sia umani sia non morti, e il tasso di sfida è sempre elevato, ma crediamo che si poteva fare qualcosina in più sul piano della varietà, magari dando più spazio alle Chimere e al loro essere dei nemici sostanzialmente “unici”.  Gli sviluppatori hanno rilasciato una patch, che poi sarà la stessa del day-one, che ha nettamente migliorato la fluidità e la pulizia delle animazioni, e abbiamo anche notato qualche piccola miglioria anche nel parkour e nella navigazione, in generale.

Alcune texture sono veramente in bassissima risoluzione, anche con preset ultra

Un’odissea di colori e zombie: come si comporta su PC?

Anche sotto il profilo tecnico, Dying Light The Beast viaggia su una sorta di doppio binario. Durante la nostra esperienza di gioco che, come ricordiamo, fa riferimento alla versione PC del gioco, ci siamo trovati di fronte a una situazione che, in un’unica parola, definiremmo “altalenante”. Dying Light The Beast è un prodotto che vuole stupire anche dal punto di vista estetico, con scenari mozzafiato, che vogliono raccontare la bellezza di una natura ormai non più pura e incontaminata, ma abbondantemente sporcata, violata, dal sangue e dall’orrore. Sotto questo aspetto, il lavoro svolto da Techland è decisamente importante, che ha saputo centrare in maniera più che dignitosa questo aspetto, regalando al pubblico un titolo esteticamente molto accattivante e suggestivo.

Per luci, setting e tipologia di word design, il nuovo titolo di Techland è parecchio in linea con i suoi predecessori, e ci ricorda, ancora una volta, quella forte ispirazione visiva figlia di blockbuster del cinema come I Am Legend, tanto per citare il più “evidente”. Così com’è ampiamente evidente l’amore e la cura per la modellazione del mondo di gioco, è altrettanto evidente che – sul piano tecnico – il titolo è andato in contro a un processo produttivo non sempre ottimale, magari anche – e soprattutto – figlie della necessità di renderlo compatibile anche per la vecchia generazione di console, con una versione PlayStation 4 e Xbox One in arrivo durante i prossimi mesi. Indubbiamente, questo aspetto ha rappresentato un limite enorme per tutta la produzione, e in alcuni casi è abbastanza evidente.

Come abbiamo detto in precedenza, Dying Light The Beas viaggia, sotto il profilo tecnico, su due binari fondamentalmente separati. Se lo si osserva “da lontano”, infatti, il gioco mostra un colpo d’occhio solido, brillante, tanto nelle sezioni al “chiuso” quanto, e soprattutto, all’aperto. A brillare è soprattutto l’illuminazione, che grazie a un utilizzo eccellente (ma pesantuccio) del Ray tracing dona a tutto il titolo un aspetto accattivante e armonioso. Visivamente, infatti, l’opera di Techland è di grande impatto, ma è anche ricca di compromessi. Se alcuni aspetti sono trattati con i proverbiali guanti, altri sono decisamente più sottotono. Se si osservano da vicino, alcune texture appaiono veramente povere, vetuste, e sono anche in alcuni casi molto evidenti. Vegetazione, superfici, come rocce, scale e via dicendo, hanno un aspetto poco accattivante e al passo coi tempi, sia in modalità nativa sia, ovviamente, utilizzando i vari upscaler.

Anche sotto il profilo dell’ottimizzazione abbiamo riscontrato qualche problemino di troppo. Durante le nostre sessioni di gioco, con una configurazione di fascia medio-alta, con una 5070 RTX, 32GB di RAM GDDR5 e un Ryzen 9 7900X, abbiamo avuto dei seri problemi a mantenere il gioco fluido, a causa di una pesantezza degli asset, in generale,  tale da saturare completamente la VRAM della scheda e costringerci a riavviare il gioco in più di un’occasione.  A onor del vero, dobbiamo segnalare che Techland ha rilasciato una patch che ha rimosso il preset Ultra, quello che include il Ray tracing. Ci sentiamo di ipotizzare che il team l’abbia fatto perché consapevole dei “problemi” tecnici in questione e che possa ripristinare il tutto a breve. Purtroppo, questa scelta non ha migliorato più di tanto la situazione, il preset massimo, quello “Alto” che non migliora più di tanto il consumo di VRAM, per quanto comunque le prestazioni rimangano solidissime e stabili, con un colpo d’occhio appagante.


Dying Light The Beast è un’esperienza longeva e appagante, ma che non riesce ad apportare grossi cambiamenti alla formula della serie e, in generale, a tutto il genere di riferimento. La meccanica più innovativa, quella della trasformazione, rende alcuni scontri veramente eccitanti, ma è comunque abbastanza fine a se stessa e non ha un impatto così importante sull’esperienza di gioco. Per il resto, l’offerta ludica è molto standard, con un open-world ricco di attività principali, secondarie e accessorie, ma proprio per questo motivo non ci ha entusiasmato più di tanto. Abbiamo, invece, apprezzato parecchio la storia e la scrittura in generale dei personaggi. Il viaggio alla ricerca della vendetta di Kyle coinvolge un numero sempre maggiore di forze in gioco, dando modo al giocatore di scoprire e vivere un mondo che ha tanto da dire e da mostrare. Se siete appassionati di zombie, comunque, vi troverete subito a casa e, per quanto si piazzi come un gioco squisitamente ordinario, Dying Light The Beast sarà un ottimo compagno di viaggio, a patto di chiudere un occhio sui diversi limiti sopracitati.