DanDaDan stagione 2 Recensione: il caos è un’arte

Le nuove puntate dell’anime prodotto da Science Saru sono disponibili in streaming

Dandadan

DANnatamente più surreale, DAllo stile sempre più estroso, DANzante tra entità cosmiche e maledizioni millenarie… è tornato DanDaDan! Questa seconda stagione, come la precedente (di cui trovate la nostra recensione qui), è strutturata in 12 episodi rilasciati a partire dallo scorso 3 luglio. Anche questo cour è stato distribuito in simulcast su ben tre piattaforme streaming: Netflix, Crunchyroll ed il canale ANIME GENERATION di Amazon Prime Video. Sulle prime due è disponibile anche la versione doppiata, con adattamento e cast vocali differenti (attenzione, su Crunchyroll il doppiaggio è in corso e non copre ancora l’intera stagione), mentre la terza le ha pubblicate esclusivamente in versione originale sottotitolata, curata da Yamato Video. L’anime, tratto dal manga di Yukinobu Tatsu, è prodotto da Science Saru e diretto da Fūga Yamashiro con Abel Góngora in veste di co-regista.
Tra case infestate, spiriti vendicativi e alieni mostruosi, Ken e Momo, ora affiancati da nuovi ed improbabili alleati, cercano di sopravvivere alle loro rocambolesche e bislacche (dis)avventure.

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Il pericolo è sempre dietro l’angolo in Dandadan… meglio prepararsi a correre!

DanDaDan 2a stagione: l’equilibrio (im)possibile

Squadra che vince non si cambia. La seconda stagione di DanDaDan si rivela nel complesso consonante con la precedente, mantenendo intatta sia la sua identità narrativa e visiva, quanto il suo stile frizzante e poliedrico. Il surreale continua ad essere la chiave interpretativa dell’intera serie, poiché l’assurdo, nella sua forma più pura – non come semplice nonsense, diviene strumento per rivelare verità più profonde attraverso il paradosso. Un linguaggio espressivo che fonde al contempo grottesco con il sublime, il comico con il tragico, in un equilibrio sorprendentemente coerente. Altrettanto coesa e calibrata è la mescolanza di differenti generi in un unico ibrido narrativo, capace di combinarli e decostruirli tra loro ed i rispettivi tòpoi giocando allegramente con la metanarrazione. L’ultimo cour, tuttavia, non si limita a replicare le dinamiche già note, ma le espande con audacia, introducendo nuovi personaggi ed eventi, con un focus maggiore sulle relazioni tra i protagonisti e sulle conseguenze delle loro scelte. DanDaDan riesce a dare spazio ad un’interessante caratterizzazione ed evoluzione emotiva dei suoi protagonisti, di sottile realismo, offrendo nuove prospettive e sfumature che amplificano la multidimensionalità della loro raffigurazione. Una realtà simulata anche attraverso le numerose citazioni “pop” ed il loro linguaggio non edulcorato.

Nell’ottica prettamente audiovisiva, la seconda stagione di DanDaDan conferma la qualità già apprezzata nella prima. Realizzata in tecnica ibrida che fonde disegno tradizionale e digitale, lo studio Science SARU, noto per il suo approccio sperimentale, riesce a preservare l’essenza visiva del manga originale di Yukinobu Tatsu, addolcendo però alcune asperità del character design per renderlo più liquido e dinamico in movimento. Il risultato è un’estetica coerente e vibrante, dove le animazioni si distinguono per spettacolarità e fluidità, arricchite da interessanti ed eterogenee soluzioni grafiche che, pur nella loro varietà, si amalgamano perfettamente al già composito stile della serie. L’uso delle inquadrature, delle transizioni visive e della composizione scenica contribuisce a valorizzare tanto l’impatto scenografico quanto la dimensione emotiva. La regia non si limita a seguire la trama, ma la interpreta, accentuando il senso di caos controllato che è impronta espressiva della serie. La stessa logica viene applicata al sound design ed alla gestione della colonna sonora. La musica, difatti, in alcune sequenze, viene modulata in modo intermittente, giocando sia sul ritmo che su dissolvenze strategiche, amplificandone il valore espressivo e sottolineandone la tensione narrativa. Apprezzabile, inoltre, l’uso di brani tratti dal repertorio sinfonico classico, opportunamente riarrangiati con un tocco contemporaneo. Rimanendo in tema, questo cour ha vissuto un momento di controversia legato alla canzone Hunting Soul, utilizzata nel sesto episodio. Interpretata dalla band fittizia HAYASii con la partecipazione di Marty Friedman e Marc Hudson, è stata temporaneamente rimossa dalle piattaforme giapponesi a causa di una segnalazione di plagio da parte di Yoshiki, leader degli X JAPAN, per presunte somiglianze con il loro celebre pezzo Kurenai. La produzione ha poi avviato un dialogo con le parti coinvolte, risolvendo il problema e permettendo alla serie di proseguire senza ulteriori ostacoli.

Nei meandri dell’irriverente comicità delle serie trovano sempre spazio sequenze di intensa introspezione, metafore visive non solo di sofferenza e traumi interiori, ma anche di semplice umanità. È proprio in questa tensione tra l’ironia e la riflessione che DanDaDan trova il suo tratto distintivo, capace di commuovere e divertire nello stesso respiro. Al di là della superficie pop e dell’umorismo grottesco, infatti, DanDaDan affronta temi universali con una sensibilità sorprendente. In questo guazzabuglio, la narrazione riprende e prosegue in modo fluido e brioso, anche negli episodi di transizione, grazie ad un ritmo ben calibrato. È interessante notare come gli eventi principali si susseguano con vivacità, mentre all’opposto, l’evoluzione romantica tra Ken e Momo si muove con dolce lentezza, creando un contrasto piacevole, ma coerente con la profonda affinità e fiducia che lega i due protagonisti. Se la prima stagione ci aveva lasciato all’inizio di un nuovo arco narrativo, la seconda esaurisce il climax della saga corrente, ma termina sull’orlo della sua fine con un bacio che spalanca diversi scenari. La curiosità vi attanaglia? Potete dormire sonni sereni, perché il terzo cour è già stato confermato, anche se, da voci di corridoio, richiederà un po’ più di tempo.


Tra spiriti, alieni e kaiju, DanDaDan continua a sorprendere. La seconda stagione non solo conferma la forza bizzarra della serie, ma ne amplifica il potenziale emotivo e tecnico. Audace sotto il profilo audiovisivo e narrativo, coinvolge per la capacità di fondere ironia e introspezione in un racconto che non teme il paradosso, perché sa essere folle, comico ed al contempo profondamente umano. Una cifra stilistica che gli offre un posto di prim’ordine nell’attuale panorama anime.