Hyrule Warriors L’era dell’Esilio Recensione: un musou Nintendo praticamente perfetto!

Hyrule Warriors L'era dell'esilio

Arrivata alla terza iterazione di quello che era nato come uno strano, ma anche accattivante e in definitiva apprezzato esperimento, la saga di Hyrule Warriors con L’era dell’Esilio può dirsi collaudata, solida e più attraente che mai. Tanto i fan del genere a la “Dinasty Warriors” di Koei Tecmo, quanto i seguaci della Nintendo Difference e di The Legend of Zelda possono infatti ritenersi fortunati dell’impegno profuso da entrambe le aziende per portare avanti la saga con tanta fantasia, dopo aver trovato la chiave giusta per aprire le porte del genere musou a un pubblico più vasto e diversificato che mai. È questo quel che succede quando un gameplay chiaro e soddisfacente, con livello di sfida scalabile alla perfezione a seconda delle necessità, che potremmo definire “inarrestabile”, si scontra con una saga “inamovibile”, quella di Zelda e Link, prendendo il meglio dai due mondi e unendolo in un ibrido tanto apparentemente folle, quanto, alla fine, oliatissimo e pronto a menare fendenti senza la minima “recalcitranza”! 

Hyrule Warriors L'era dell'esilio Recensione
La principessa Zelda armata con una… lightsaber???

Anche stavolta, trama canonica e importantissima

Piccolissimo recap: Hyrule Warriors nasce come videogioco Nintendo in collaborazione con Koei Tecmo, alla quale era stato affidato nel lontano 2014 un episodio apocrifo e totalmente spin off della serie The Legend of Zelda, con un gameplay che in quel di Tecmo conoscevano, e conoscono, molto bene: il “musou”. Di gameplay parleremo dopo però, vi basti sapere che a livello di narrazione la prima storia di verde (Link) vestita di Warriors era piuttosto semplice, du marginalissima importanza e peso e pensata come un pretesto per trasportare il giocatore nei campi di battaglia più disparati, nel ruolo di vari personaggi dal mondo di The Legend of Zelda e contro avversari ben noti, proposti però più come una sorta di costante “citazione”, più che sotto forma di più ragionate istanze di storia. 

Posto che spoilerare non è nel DNA di chi vi scrive in questo momento, per arrivare al punto e capire dove stiamo andando a parare è sufficiente dire che non fu il primo, ma il secondo Hyrule Warriors a consacrare la serie e rendere possibile il terzo in oggetto oggi. Con una mossa abbastanza a sorpresa, infatti, Nintendo non solo lasciò di nuovo una tra le sue IP più note in mano a Koei, ma in più cambiò completamente il presupposto narrativo di Hyrule WARRIORS L’era della calamità rendendolo non più del tutto avulso dalla continuità della principessa e del suo regno (quindi in breve CANONICO) e costruendo perciò vero e proprio prequel, ambientato 100 anni prima dei fatti di Breath of the Wild con tanto di stupende cut-scene doppiate in italiano, con la stessa cura dei ricordi del capolavoro originale. Sempre senza intaccare il gameplay frenetico e caciarone dei musou, ovviamente, quindi con ulteriori meriti e un livello di difficoltà maggiore.

Squadra che vince (e certo che vinse all’epoca, con me cutscene da Mainline in uno spinoff dal gameplay soddisfacente, longevo e adattabile alle più disparate capacità ludiche) non si cambia. Di nuovo, quindi, senza spoiler per chi non avesse raggiunto una certa parte di Tears of the Kingdom, anche l’attuale Era dell’Esilio è fondamentalmente uno story driven action musou frenetico quando si gioca, iper approfondito e persino cervellotico a volte. Ancora una volta, comunque, L’era dell’esilio è un videogioco pesantemente story driven, canonico e ambientato nel passato rispetto al titolo base da cui è ispirato e con protagonista La Principessa Zelda insieme a un sacco di nuovi personaggi e altrettanti di ritorno. Il cast è più ampio che mai, mentre la qualità della regia, dell’intreccio e la sua coerenza con la trama e la lore sono eccellenti. Aiuta moltissimo che i doppiatori, come poteva essere altrimenti, siano gli stessi apparsi in Tears, e che le loro performance non siano da meno. Ma è proprio la trama in sè ad averci convinto, sebbene dobbiamo ammettere che specialmente all’inizio si prenda forse un pochino troppo tempo, anche rispetto al gameplay, per ingranare davvero ed esprimere il suo potenziale. Poi, però, è fantastico sapere finalmente cosa sia successo nel dettaglio mentre, con un capellutissimo Link, nel gioco base ci aggiravamo tra isole del cielo, sopra e sotto suolo, costruivamo abomini geniali con la tecnologia Zonau e cercavamo di aggirare i limiti imposti per il tempo di volo degli alianti. 

Hyrule Warriors L'era dell'esilio Recensione
Mineru è un personaggio FANTASTICO sia narrativamente, che ludicamente

1000 contro “uno”? Non proprio…

Quanto al gameplay non è meno soddisfacente del comparto narrativo e, ancora una volta, riesce nel doppio intento di modernizzare ulteriormente il genere MUSOU, che da quando i souls sono diventati quasi “la base ludica” dell’action in generale tendono a vedersi molto meno in giro, e di calarlo nelle vicende nintendare di Hyrule con stile da vendere, coerenza e rispetto. Certo, anche con un pizzico di sana “tamarraggine”, ovviamente, o non sarebbe un gioco pienamente Koei Tecmo! Già perché è chiaro a chi conosce la storia dei Dynasty Warriors, o anche solo a chi sa cosa sia un musou, che da sempre nel DNA di questi titoli è insito un chiaro intento di “liberazione e sfogo” per il giocatore, che vuole vedere quante più movenze, animazioni, combo ed effettistica a schermo possibile senza sacrificare la fluidità, magari anche senza limitare il grado di sfida e, questo di sicuro, sentendosi sempre dannatamente più forte di qualunque avversario. Non a caso la parola Musou sta proprio per “impareggiabile” o “inarrivabile”, aggettivo che quindi deve rappresentare il giocatore e il personaggio che controlla in ogni momento. 

A questo servono le ondate infinite di piccoli avversari da macinare con più stile e figaggine (passateci il termine per stavolta!) possibili, seguite solitamente da scontri con avversari più massicci e impegnativi, Boss che comunque finiranno per fare la stessa fine degli altri 999 prima di loro, solo offrendo un pizzico di pepe e sfida in più. È un equilibrio molto impegnativo da mantenere e costruire, perché basta poco per banalizzare gli scontri e vanificare la sensazione di onnipotenza che dovrebbero recapitarci. Però, fin dal primissimo Hyrule Warriors è parso evidente sia che Koei Tecmo fosse perfettamente in grado (ovviamente, dato il curriculum) di mantenere un bilanciamento adeguato, sia che The Legend of Zelda in generale prima, e la storia, i personaggi specifici di Breath of the Wilds poi, si prestassero particolarmente bene alla conversione musou. Del resto, i protagonisti con varie mosse, armi, aspetti e capacità magiche o atletiche tra cui scegliere per i personaggi giocabili non mancano di certo, e per questo forse dire che L’era dell’esilio è un 1000 contro “uno” sarebbe riduttivo: perchè altro che uno! Oltre a Zelda, armata in pratica con una spada laser e che controlliamo per prima per qualche livello, nel roster dei giocabili ci sono tantissimi personaggi incredibili, tutti diversi per apparenza, capacità, usabilità in lotta e statistiche. 

Hyrule Warriors L'era dell'esilio Recensione
Aspettatevi battaglie su larga scala…

Chi possiamo essere, e cosa possiamo fare in Hyrule Warriors L’era dell’esilio?

A tal proposito, ecco qualche esempio di personaggio introdotto con L’era dell’esilio! Di nuovo, eviteremo appositamente di enunerarne troppi, perché anche solo scoprirli e scoprire come funzionano fa parte dell’emozione che aggiunge valore all’esperienza, almeno secondo noi. C’è il primo re di Hyrule, Raul, e la sua regina Sonia che lo supporta con la magia della luce. In quanto membro della razza Zonau (di cui è uno tra i pochi superstiti), Raul è un personaggio estremamente fisico e prestante, ma anche dotato di attacchi magici da non sottovalutare. Eccelle negli scontri singoli, ma se la cava benissimo anche nella furia della mischia. Dove però sua sorella Mineru, anche lei una Zonau, ha una vera marcia in più, tante abilità speciali e combo di attacchi da sbloccare tutti dedicati a sfoltire più rapidamente possibile le linee nemiche, sfruttando le nuovissime reliquie Zonau come armi. Questi oggetti mistici, gli stessi che in Tears of the Kingdom univamo in ibridi senza capo né coda in Warriors sono equipaggiabili a chiunque e forniscono colpi peculiari specifici, per esempio elementali, tali da renderli strumenti perfetti per gli scontri a tempo dove bisogna essere più rapidi possibile nell’abbattere il, o i Boss di fine stage. 

Che dire poi di Zelda? La principessa che abbiamo lasciato (cronologicamente almeno) in lacrime nei ricordi del primo Breath, ancora alla scoperta dei suoi poteri latenti tanto grandi da tenere a bada la minaccia di Ganon fino alla rinascita di Link, poi cresciuta e con un nuovo taglio di capelli nell’incipit di Tears, qui in Warriors sfrutta al meglio il suo salto nel passato. Nello specifico, addestrandosi con il re e la regina di Hyrule nello sfruttamento dell’energia del tempo, che incanalata in un apposito strumento lo tramuta in una specie di “Spada Laser” tanto letale quanto appariscente. E anche se “la forza” tecnicamente non scorre in Zelda (per ragioni di franchise) usando il potere del tempo la bella principessa può comunque far volteggiare la lama di qua e di là, spostare gli equilibri delle battaglie con facilità e, una volta potenziata a dovere, fare letterali “buchi” nelle linee nemiche. Come personaggio puro, ripulendola, quindi, della sua carica emotiva e dell’importanza che ricopre nelle vicende nel passato, è un po’ il tuttofare che, a seconda di come avanziamo, può specializzarsi o meno, restando flessibile e adatta a ogni tipo di stage e sfida.

Le mosse in tandem sono davvero molto scenografiche e appariscenti!

Hyrule Warriors L’era dell’esili: un musou più raffinato, sempre divertente e molto soddisfacente!

Come nei precedenti Warriors, infine, l’importanza di scendere in ogni campo di battaglia con un team variegato composto da più personaggi si rende evidente per due ragioni fondamentali. La prima è che le arene dove combattiamo sono caratterizzate da level design ora più spaziosi, ora “a corridoi e radure”, ma comunque sempre con vari accadimenti diversi, Boss da abbattere e punti di interesse da raggiungere distanti e distribuiti di qua e di là. Quindi, mentre controlliamo uno dei personaggi un altro può e deve essere spedito a tenere sotto controllo alcune situazioni, o essere pronto dove ci serve in modo da farci “switchare” su di lui al volo passando da una zona all’altra della mappa anche molto distanti solo “cambiando personaggio attivo”. C’è comunque anche una modalità multigiocatore ben implementata in locale che facilita ulteriormente il compito permettendoci di dare il controllo del nostro/a secondo/a a una persona reale

Se, però, preferite tenervi ben vicini gli alleati mentre lottate, potrete sfruttare particolari finisher “in tandem” davvero ben studiate e interessanti, varie e che adoperano alla perfezione il materiale di trama e lore di ciascuno dei combattenti che si uniscono per la ultimate. È stato fantastico, per esempio, scoprire che la mossa finale congiunta di Zelda e Mineru, una studiosa del retaggio Zonau, fosse far salire la principessa su un grosso robot con braccia martello e raggi laser oculari, che per qualche secondo trasforma la sovrana degli Hylia in un Gundam assassino, che alla fine del tempo limite esplode sul malcapitato nemico di turno. 

In definitiva, quindi, L’era dell’Esilio è un musou praticamente perfetto, nonché la definitiva incarnazione della collaborazione tra Koei Tecmo e Nintendo. Certo, non innova la formula dell’ultimo Hyrule Warriors nè sul fronte della narrazione, che sfrutta quasi lo stesso espediente, nè su quello del gameplay, fatte salve alcune implementazioni più che gradite come i congegni Zonau, le mosse in tandem, o i nuovi e numerosissimi personaggi giocabili e la struttura ludica che ci consente di potenziarli e migliorarne l’efficienza tramite missioni apposite. Ma in fondo, perché avrebbe dovuto farlo per forza? Il Musou, lo abbiamo detto, è un genere più complesso e difficile da gestire di quanto sembri, nel quale aggiungere o sottrarre diventa un rischio per il bilanciamento, per l’equilibrio tra storia e gioco giocato, per la spettacolarità e le coreografie o scenografie degli attacchi che devono fare i conti con l’efficienza pratica degli stessi. Il tutto, fatto girare sulla magnifica Switch 2 con grande efficacia, zero compromessi e una resa finale spaventosamente accattivante. A essere del tutto onesti, crediamo di aver notato qualche avvisaglia del fatto che il progetto, come altri illustri in precedenza, quali Donkey Kong Bananza, sia nato su Switch 1 e sia stato traslato sulla 2 in seguito, apportando però tutta una serie di migliorie tecniche che si lasciano alle spalle solo pochi indizi. Quali una certa rigidità di alcune animazioni dei Boss più grandi, ambientazioni varie ma non dettagliatissime, e soprattutto abbastanza spoglie di qualsivoglia decorazione o elemento interagibile oltre ai nemici da abbattere; o ancora, un’effettistica e dei particellari non sempre fantasmagorici, pur se in linea con lo stile semplice, cartoonoso e a colori piatti di Breath of the Wild e Tears of the Kingdom. 


Insomma: attraversare nugoli di avversari che esplodono, vengono lanciati, si disintegrano al nostro nobile incedere nei panni ora di Zelda, ora di altri, eccellenti personaggi dell’immortale saga è, ancora una volta, soddisfacente e divertente. Con la premessa, doverosa, che date le somiglianze se non vi è piaciuto L’era della Calamità, “andare in esilio” su Nintendo Switch 2 di sicuro non vi farà cambiare minimamente idea. L’esperienza complessiva è la medesima, ottima ma ripulita nella resa grafica, nella fluidità generale (impeccabile sia in portabilità che in modalità docked), con qualche piccolo quality of life improvement nascosto tra i menù e un loop ludico che sprona a completare piccole, veloci sezioni di combattimento alla volta, che si tirano l’una con l’altra come le ciliegie intervallate da tante (a volte troppe quasi!) meravigliose cutscene doppiate interamente in italiano da professionisti del settore. Un gioco che crea dipendenza, da non farsi scappare. Non è esente da qualche difetto, come vi abbiamo ben specificato, ma è scorrevole, corale, ben scritto e ben programmato, nonché artisticamente fedele ai canoni della doppietta Breath/Tears.