Terminator 2D NO FATE Recensione: problemi familiari… apocalittici!

Il qui presente Terminator 2D NO FATE fa riecheggiare nelle teste dei giocatori più navigati il termine “tie-in“… l’avete mai sentito? È una parola che per decenni ha aleggiato sul mondo dei videogiochi con un’ombra decisamente dispregiativa, fotografando un prodotto derivato da un’opera originale di grande successo (un film, un fumetto, una serie) che spera cinicamente d’inseguire la scia per sfruttare il successo. Negli anni ’80 e ’90, la connotazione negativa era fortissima e ben meritata: troppi giochi sacrificavano brutalmente la qualità della giocabilità in una corsa affannata a imitare il prodotto originale, proponendo esperienze superficiali, spesso rotte e poco curate, che provocavano gastriti diffuse al popolo videoludico tutto.

Oggi, il termine è molto meno usato, sostituito da espressioni più neutre come “gioco su licenza” o “adattamento“, e questo è un bene, perché la qualità media è drasticamente migliorata: titoli moderni come Marvel’s Spider-Man, la serie Arkham di Batman o Star Wars Knights of the Old Republic, pur essendo giochi su licenza, sono universalmente considerati blockbuster di altissima qualità, dimostrando che i periodi bui della trasposizione videoludica sono ormai (in gran parte) alle spalle, sebbene sia giusto riconoscere che anche all’epoca ci furono diverse e brillanti eccezioni a questa triste regola.

Scene iconiche ne abbiamo?

You could be mine!

Il titolo sviluppato da Bitmap Bureau, al contrario, si impone come un’operazione nostalgica intrisa di sincera passione, un omaggio puro e incondizionato a quello che è un vero capolavoro cinematografico. L’intenzione primaria che ha guidato la realizzazione è stata quella di concretizzare l’“immaginario” tie-in arcade, l’opera che i membri del team avrebbero desiderato ardentemente vedere e fruire nel 1991, all’apice della risonanza culturale di Terminator 2: Il Giorno del Giudizio.

In una mossa che echeggia la stessa trama del film, i programmatori della Bitmap Bureau aspirano idealmente a un atto di riparazione retrofuturistica: proprio come John Connor invia dal futuro il T-800 nel passato per alterare il corso degli eventi, essi tentano di elidere il trauma subito dai videogiocatori che, proprio in quell’anno, acquistarono un infausto sparatutto a scorrimento, pubblicato per le console a otto e sedici bit di Nintendo e per il Sega Mega Drive, recante il medesimo titolo: Terminator 2: Judgment Day.

Spiegare cosa abbia rappresentato all’epoca della sua uscita il film di James Cameron è un’operazione complessa, ma è fondamentale ricordare che Terminator 2: Il Giorno del Giudizio (1991), è considerato un capolavoro della fantascienza d’azione e una vera e propria rivoluzione cinematografica, principalmente grazie al suo impatto sulla tecnologia e sulla narrazione: il film rovescia la dinamica dell’originale trasformando i cattivi in buoni e stabilendo un nuovo standard per gli effetti visivi nei blockbuster moderni e legittimando la grafica digitale nel cinema; oltre all’innovazione tecnica, il film ha aggiunto profondità tematica, esplorando la possibilità di cambiare il destino (“non c’è destino, solo quello che facciamo”) e indagando sull’umanità e l’etica delle macchine attraverso il legame paterno sviluppato dal T-800, cementando il suo status di pellicola influente e vincitrice di quattro Premi Oscar tecnici.

È vero, il tempo si è accanito su alcuni aspetti del film più che su altre opere, rendendo impossibile replicare la meraviglia di quegli effetti speciali a una visione odierna e smaliziata. Tuttavia, questo non intacca minimamente il suo valore storico né l’impatto che ha avuto su chi, vivendolo al cinema, ne ha le immagini stampate a fuoco nella testa in modo indelebile. Frasi e scene iconiche che tutti gli amanti della fantascienza ormai attempati potrebbero recitare a memoria, non senza un pizzico di commozione.

Terminator 2D NO FATE rispetta in modo encomiabile la sua visione dichiarata, riuscendo a ricondurre i videogiocatori a quel periodo storico con una fedeltà palpabile. Si percepisce vividamente l’ardore e la passione profusi nell’adattare la narrazione cinematografica del film attraverso la sequenza dei livelli che compongono il gioco. Tuttavia, dopo questa doverosa e prolungata introduzione dedicata al passato e al suo recupero, è tempo di volgere lo sguardo al presente.

Terminator 2d no fate
I boss sono ben fatti ed hanno diverse fasi.

Bad to the bone

Nonostante un paio di rinvii che avevano preoccupato i fan, la versione definitiva è finalmente arrivata. Il risultato è un frenetico e viscerale run and gun che riprende l’estetica 16bit, più che quella arcade, che riesce a catturare l’adrenalina dell’inseguimento e dell’azione senza sosta di T2.

Il gioco è costellato di omaggi pensati per far felici i fan della pellicola: dai brani più famosi della colonna sonora del film, alle scene d’intermezzo a volte in pixel art, altre con immagini statiche, ricreano quasi fotogramma per fotogramma le sequenze iconiche della pellicola come l’incubo di Sarah sull’esplosione nucleare o la trasformazione del T-1000 in poliziotto. Non mancano dettagli deliziosi, come la schermata del “Continua”, in cui la mano del T-800 riemerge dalla lava mostrando il celebre pollice alzato o la scelta della difficoltà che rievoca le frasi iconiche del film: come si fa a restare impassibili quando si legge “hasta la vista”?

Inoltre, il gioco introduce modifiche alla storia già nota attraverso bivi narrativi che incuriosiscono favorendo la rigiocabilità aumentando la vita del titolo. Terminator 2D NO FATE è, in definitiva, un tie-in atipico che unisce una fedeltà emotiva profonda al materiale originale con un gameplay solido e nostalgico. Il gioco ruota attorno al controllo dei tre personaggi principali John, Sarah ed il T-800, ognuno dei quali è caratterizzato da movenze e da un set di meccaniche distinti.

Questa differenziazione intrinseca conferisce al titolo una notevole varietà nelle situazioni affrontate. La struttura portante del gioco segue il canone arcade classico a livelli, ed è degno di nota come ciascuno di essi introduca sottili variazioni nel ritmo e nelle meccaniche, garantendo così che l’esperienza non risulti mai monotona e richiedendo al contempo un adattamento costante da parte del fruitore.

I livelli di gioco, in numero superiore alla dozzina (la cui quantità è definita dal percorso narrativo prescelto), dispiegano una notevole poliedricità strutturale che trascende il singolo genere. La progressione si snoda attraverso sequenze di corse su veicoli, si tramuta in light gun shooter in terza persona, per poi abbracciare il run ‘n’ gun puro e, in taluni frangenti, contaminazioni più moderne che integrano l’uso di sistemi di copertura in stile Huntdown.

Il titolo si spinge audacemente a proporre persino un intermezzo di picchiaduro a scorrimento durante l’iconica sequenza dell’arrivo del T-800 nel Diner in cerca di vestiario, affiancato da sezioni che elevano lo stealth a elemento preponderante. Nondimeno, le sezioni numericamente predominanti ricalcano in modo esplicito e reverente lo stile del classico Contra, complete di armamenti aggiuntivi; in tale contesto, è palese l’omaggio, o forse la riproposizione pedissequa, di un boss (il Defense Wall, antagonista ricorrente della serie e primo boss della versione Arcade).

I Boss stessi si presentano in numero consistente e manifestano una lodevole varietà formale, evolvendo attraverso diverse fasi al decrescere della loro energia vitale; tuttavia, è doveroso e triste notare come il loro design non si limiti a prendere in prestito idee, bensì riproponga invariabilmente soluzioni già abbondantemente esperite in altri capostipiti del genere, peccando in modo significativo di originalità. Analogamente, benché i Nemici standard palesino una buona varietà estetica, fatta eccezione per il livello di difficoltà più elevato, essi tendono a esibire modalità d’attacco iterative, non sollecitando l’adozione di approcci tattici sostanzialmente differenziati per il loro ottimale abbattimento.

terminator 2d no fate
Le scene d’intermezzo riprendono le (orribili) schermate statiche dell’epoca 16 bit

Terminator 2D NO FATE: Refuse / Resist

L’anima profondamente arcade di Terminator 2D NO FATE si riflette intrinsecamente nella sua curva di difficoltà, la quale risulta generalmente ben calibrata, pur manifestando taluni picchi inspiegabili e punitivi. Nondimeno, la struttura ludica è dotata di una notevole rigiocabilità, assicurata non solo dalla presenza di finali multipli, bivi narrativi e modalità supplementari, ma soprattutto dalle sue quattro distinte configurazioni che sovvertono le regole basilari dell’esperienza: la Modalità Storia è scandita da un contingente limitato di “Continua” (sebbene sia prevista la possibilità di ricarica), da un vincolo temporale per l’adempimento dei livelli e dal recupero di salute tramite medikit; per i neofiti, la Modalità Facile offre l’elisione del limite temporale e l’accesso a “Continua” illimitati.

Progredendo, la Modalità Difficile innalza considerevolmente l’arduo compito, imponendo una salute iniziale ridotta e una densità di nemici sensibilmente maggiore. Infine, per i puristi dell’azione hardcore, la Modalità Molto Difficile decreta una regola di sopravvivenza estrema, precludendo categoricamente sia l’impiego dei “Continua” sia il ripristino della salute e, al fine di garantire la massima imprevedibilità, altera persino i pattern di attacco dei boss e degli antagonisti comuni, spronando in tal modo i giocatori più esigenti a ripetere i livelli in cerca della massima valutazione “S“.

Una volta raggiunto l’epilogo di Terminator 2D NO FATE, in un lasso di tempo che nel mio caso si è approssimato alle due ore scarse, benché il conteggio del tempo effettivo non abbia toccato l’ora, si dischiudono le porte a un florilegio di modalità aggiuntive. Queste includono la Boss Rush, che consente di affrontare in serie gli antagonisti di fine livello; l’Infinite Mode, strutturata su ondate incessanti di nemici; la Mother of the Future, che permette di ripercorrere i livelli con difficoltà incrementate e la pressione di un limite temporale; e infine, la modalità di allenamento per le singole sezioni. A queste si aggiunge, ovviamente, l’Arcade Mode disponibile sin dal principio come alternativa alla Modalità Storia: un’esperienza priva della possibilità di continuare, senza checkpoint né scene d’intermezzo, concepita come la classica perfect run a singolo gettone, un esplicito omaggio per coloro che hanno vissuto l’epoca delle sale giochi.

Purtroppo, come forse si sarà già intuito dalla trattazione sin qui esposta, malgrado il tentativo di posporre le considerazioni personali a questa sede conclusiva, credo si sia comunque intuita un po’ di delusione da parte del sottoscritto: se l’effetto nostalgia è stato conseguito nella sua totalità, il gioco non riesce a onorare integralmente le promesse iniziali, riuscendo solo in parte a ergersi a tie-in perfetto per gli estimatori di Terminator.

La durata oggettivamente limitata, i bivi narrativi che aggiungono valore più sulla carta che nell’effettiva pratica (regalando a malapena un paio di livelli supplementari al monte totale), una difficoltà non adeguatamente bilanciata che alterna fasi semplici a picchi di squilibrio estremo, e un gameplay tanto vario quanto essenziale e semplice, convergono nel condurre l’esperienza sui binari di un viaggio certamente piacevole ma, ahimè, breve e purtroppo alquanto dimenticabile.


Nonostante il lodevole confezionamento e la presenza di contenuti aggiuntivi e bivi narrativi che avrebbero potuto catalizzare l’interesse del pubblico, il potenziale di Terminator 2D NO FATE viene inoltre compromesso, oltre ai punti citati sopra, dalla sua giocabilità essenziale. L’impianto meccanico si rivela eccessivamente elementare, non offrendo una curva di apprendimento significativa né stimolando il fruitore a esplorare tattiche complesse o a cimentarsi nelle sfide di difficoltà superiore. L’opera si colloca, dunque, al di sotto degli standard di qualità raggiunti dai recenti esponenti del genere run’n’gun (come Iron Meat o Neon Inferno), mancando della loro varietà e profondità. In definitiva, l’interesse verso quest’opera rimane strettamente confinato agli estimatori più fedeli del franchise di Terminator, poiché essa non riesce a elevarsi con merito tra i migliori esponenti del genere run ‘n’ gun. Il risultato è un’esperienza che si consuma con la medesima rapidità con cui, purtroppo, è destinata ad essere dimenticata.


 

Provengo da un’epoca particolare, in cui le edicole vendevano videogames e le sale giochi erano giungle urbane abitate da creature stravaganti. Si sognava per mesi (o anni) su una singola immagine vista su rivista, si attraversavano quartieri interi per noleggiare un gioco sperando che fosse ancora lì, pronto ad accoglierci per un’avventura irripetibile. Il marketing si faceva per strada, la console war si combatteva faccia a faccia, e il venditore era una creatura leggendaria. Un mondo folle e ingenuo, forse, ma proprio per questo indimenticabile.