Recensione Monster Boy and the Cursed Kingdom

La storia del genere platform ha radici antiche, e per decenni ha condizionato il mercato videoludico. Nel lungo albero genealogico formatosi in anni e anni di progetti, alcuni, come la saga Wonder Boy hanno fatto breccia nel cuore di migliaia di fan. Proprio il creatore di quest’ultima opera, Ryuichi Nishizawa, ha dato alla luce il successore spirituale della mascotte di casa SEGA: ecco le premesse che hanno portato a Monster Boy and the Cursed Kingdom. Nato per essere un testamento moderno dei grandi classici apparsi al tramonto degli anni ‘80, Il titolo offre una vasta rivisitazione dei brand storici del passato. Abbiamo avuto modo di provare la nuova creazione di FDG Entertainment e The Game Atelier per PlayStation 4: ecco il risultato della nostra esperienza.

La flebile storyline che emerge nei primissimi minuti di gioco ruota intorno a un nefasto naufragio narrativo che coinvolge tutti i protagonisti. A causa di una misteriosa maledizione, il protagonista, e altri amici al suo seguito, si troveranno tramutati in esseri bizzarri. A seminare scompiglio nella terra selvaggia è uno dei compagni d’avventura del ragazzino dai capelli blu: un arzillo anziano chiamato “lo zio”. Egli, in preda a isteria, e con i sensi annebbiarti da una sorta bevanda, semina scompiglio nel regno. In un paese già di per sé piegato da numerose problematiche e abitato da varie specie animali, si apre così una trama profonda e ricca di spessore per un semplice platform 2D. Le abilità uniche del protagonista, e le ambientazioni spensierate prettamente cartoon, sono le ali che hanno permesso all’opera di brillare per qualità tecnica. Immancabili inoltre le melodie intonate ad hoc per gli stupendi scenari, che risultano deliziose e un po’ nostalgiche.

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Sebbene fedelmente ancorata al platforming, l’opera arricchisce il tutto con elementi scenici sorprendenti.

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Monster Boy and the Cursed Kingdom non si ferma alla canonica superficialità del genere d’appartenenza, ma prova più volte il grande salto. La struttura delle ambientazioni, sebbene fedelmente ancorata al platforming, arricchisce il tutto con elementi scenici sorprendenti. Nella prima ora del gioco, ad esempio, oltrepassata una porta ci ritroveremo in fondo al paesaggio visibile nella schermata, in una zona assai distante. Cosa vuole significare questo balzo di prospettiva? La rottura della parete scenica, che avviene più e più volte all’interno dei livelli, offre al prodotto una fuga dalla monotonia di movimento, rompendo gli schemi iniziali e aggiungendo una ventata d’aria fresca al già visto. Oltre alle varie porte che trascinano l’utente in stanze o passati segreti, sarà possibile interagire con vari negozi ambulanti: ognuno di essi ha una funzione precisa e cataloghi sempre più articolati. Non passerà troppo tempo prima di prendere dimestichezza con le astute combinazioni per l’equipaggiamento. Ciascun elemento ha un suo significato, e spesso il materiale incide pesantemente sul gameplay: basti pensare a un paio di scarpe massicce, in grado di regalarci memorabili passeggiate sottomarine.

Le ambientazioni, per la fatti specie le città, sono dei punti chiave per carpire i segreti del regno.

L’eterogeneità presente nell’opera poggia le sue solide basi nel potere peculiare del protagonista: la sua abilità da metamorfo. In base all’ostacolo o alla minaccia che ci troveremo a sgominare, il nostro omino potrà mutare forma in diversi animali. Se per esempio dobbiamo scivolare via ed entrare in cunicoli angusti, dovremo trasformarci in serpente, oppure, se vogliamo fiutare indizi sparsi per l’area di gioco ci converrà prendere le sembianze di un porcellino. Ogni trasformazione ha un significato ben preciso e le scelte da compiere hanno una funzionalità atta ad approfondire la variegata esperienza proposta. Da quest’idea nasce il crescendo dell’elemento enigmistico, offrendo sfide sempre più avvincenti e impegnative. La difficoltà complessiva per superare gli ostacoli, che essi siano statici oppure no, risulta bene calibrata, se acquisite le esperienze apprese. Unica pecca, forse, può essere sbattere il muso con qualche rompicapo leggermente frustrante, specialmente quando non si è affini al contesto del prodotto, ma è come trovare il pelo nell’uovo.

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L’opera è viva e pulsante: emotiva quando serve e profonda quanto basta.

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La rottura della banalità del 2D, che spesso può essere una limitazione, in Monster Boy and the Cursed Kingdom non si avverte minimamente. Subito dopo i primi minuti di gameplay, la trama e il percorso apparentemente unilaterale si snodano, per offrire un brio di libertà esplorativa non indifferente. La grande vittoria del progetto risiede proprio nel sovrascrivere il proprio codice genetico videoludico, riformulando alcuni canoni storici. L’interazione con personaggi secondari e un approccio che ricorda molto il genere open world rendono l’opera viva e pulsante, emotiva quando serve e profonda quanto basta. Il progredire degli eventi lascia campo libero alla fantasia e un’esplorazione trasversale gradevole. Le boss Fight sono le chicche del titolo: avvincenti e cariche di elementi sorpresa, che necessiteranno un pizzico d’ingegno per uscirne indenni. D’altronde lo stile e la complessità degli scontri decisivi ricorda vagamente Cuphead, e non è affatto un lato negativo. 

Nel complesso Monster Boy and the Cursed Kingdom è un vero gioiello del suo genere e un must have per gli appassionati delle dinamiche del puzzle-platform. In un mercato che ha radici profonde nel 3D e nella grafica iper-realistica, è affascinante notare quanto i 2D riescano ancora a raccontare delle storie così complesse e articolate. Non si tratta di mera velleità, le capacità per presentare del nuovo sono largamente acquisite, ma di consapevolezza nel creare un qualcosa di che esula dal già visto. Le trasformazioni del protagonista poi facilitano l’ingegno creativo dell’utente e aprono la mente a nuove strade e combinazioni, che affascinano per semplicità e immediatezza. Le delicata grafica cartoon è avvolgente e poetica, infatti sembra quasi di muoversi in profondità all’interno di un dipinto. Ci solo alcuni difetti che alla lunga si fanno notare e non sono di poco conto. La diversificazione dei nemici presenti nell’opera non è sempre efficace e talvolta gli avversari differiscono semplicemente per grandezza e colore. Infine non sempre le ambientazioni, sebbene piacevolissime per l’occhio si differenziano di molto tra di loro (almeno all’inizio) e questo è un peccato, data l’enorme qualità stilistica. Siamo comunque al cospetto di un prodotto vivace e creativo, in grado di ribaltare la monotonia del 2D e proiettarlo nella modernità: affascinante, intrigante e carismatico.