Recensione Una Serie di Sfortunati Eventi (Stagione 3)

Siamo giunti al termine! La terza stagione di Una Serie di Sfortunati Eventi segna la fine di un viaggio tra affascinanti intrecci di trama sconvolgenti, tre anni fatti di incendi, orfani geniali, Conti malvagi, scagnozzi malfamati, persone dall’animo nobile, società segrete e tanti ma tanti, forse troppi misteri. Le melodrammatiche note di dramma e l’interminabile serie di disastri che ha avvolto il destino dei protagonisti è ora giunta alla sentenza definitiva: quella della verità. Noi di VMAGabbiamo visionato la terza stagione della serie esclusiva Netflix rilasciata il 1° gennaio 2019 sulla piattaforma di streaming digitale: eccovi la nostra recensione.

Una Serie di Sfortunati Eventi è tratta dalla saga letteraria omonima scritta da Lemony Snicket (nome d’arte di Daniel Handler), iniziata nel lontano 2000, e durata ben 6 anni, nei quali ha venduto oltre 55 milioni di copie. Dopo l’enorme successo letterario da parte di critica e pubblico, i libri hanno visto una prima trasposizione cinematografica con attori del calibro di Jim Carrey, a vestire i panni (molti abiti e costumi diversi in questo caso) del principale antagonista della serie, il malvagio Conte Olaf. Quando il film rappresentava gli eventi dei soli primi tre libri, la serie Netflix invece trasporta su pellicola tutta la storia celata nelle pagine che compongono tutti i 13 libri della saga. La trama, per quanto diligentemente possa essere riassunta in poche righe, si riesce intendere benissimo tra le velate righe del titolo stesso dell’opera.

Le vicende narrate vengono raccontate dallo scrittore stesso Lemony Snicket che, rivolgendosi direttamente allo spettatore, racconta tutti i fatti avvenuti ai tre fratelli. 

Tre intriganti fratelli sono nell’occhio del ciclone dei disastri: la maggiore, una geniale ragazza di nome Violet (Malina Weissman) con doti uniche nella meccanica, un brillante giovanotto di nome Klaus (Louis Hynes), in grado di recitare a memoria interi libri e una piccola ma precoce bambina di nome Sunny (Presley Smith), si ritrovano orfani dopo un tremendo incendio, che brucia la loro casa ed uccide i loro genitori. Da questo momento in poi, i tre saranno costretti a passare da tutore a tutore, uno più peculiare e caratteristico dell’altro, perennemente cacciati dal Conte Olaf (Neil Patrick Harris) desideroso, a tutti i costi, di mettere le mani sulla fortuna ereditata dai fratelli Baudelaire. L’opera è caratterizzata da un cupo umorismo, che condisce una storia fatta di società segrete, come quella dei VF (Volontari del Fuoco), e personaggi a dir poco indimenticabili. Sotto l’aspetto della basica struttura degli episodi e della narrazione interna ad essa, Netflix ha optato per un epico cambio di marcia, ma mai quanto, ad ora, azzeccata e funzionale. Le vicende narrate vengono raccontate dallo scrittore stesso Lemony Snicket che, interpretato in questo caso da Patrick Warburton, rivolgendosi direttamente allo spettatore (quindi rompendo la quarta parete), racconta tutti i fatti avvenuti ai tre fratelli. Proprio come il narratore all’interno di un romanzo. Un’altra scelta strutturale presa nella produzione del prodotto riguarda la suddivisione degli episodi stessi: ogni due episodi, nominati rispettivamente con il titolo di uno dei libri con il suffisso Parte 1 o Parte 2, racchiudono al loro interno tutte le vicende raccontate in un libro. In questo modo ognuno dei 13 libri è stato suddiviso in due episodi differenti e consequenziali. Nella prima stagione venivano narrati gli eventi avvenuti nei primi quattro libri per un totale di otto episodi, nella seconda invece troviamo dieci episodi, riportanti i fatti dal quinto al nono libro, e invece nella terza ed ultima stagione l’avventura si conclude con sette episodi, trasponendo gli ultimi quattro romanzi.

Le vicende della terza stagione prendono il via nello stesso identico momento nel quale si concludevano quelle dell’ultimo episodio della precedente, con i due fratelli maggiori Baudelaire separati dalla piccola Sunny ed a pochi secondi dalla loro imminente, apparente, inevitabile morte. I tre riescono ovviamente a salvarsi, utilizzando la loro caratterizzante intelligenza, legata alle loro uniche abilità nei diversi ambiti delle scienze. Da questo momento in poi la terza ed ultima stagione prende il via. Senza rovinare nulla allo spettatore scrivendo di eventuali spoiler, possiamo dire che molte novità sono state introdotte all’interno della storia principale, nuovi personaggi (come l’uomo con la barba ma senza capelli e la donna con i capelli ma senza barba) e molte vecchie conoscenze faranno il loro ritorno nel corso dei diversi episodi, quasi tutte in effetti (e qui facciamo l’occhiolino al lettore), nuove ambientazioni incredibilmente surreali, ma allo stesso tempo meravigliose, affascinanti e familiari sopratutto a tutti coloro che hanno seguito la serie fin da quel famoso Infausto Inizio. Tutti i misteri e le domande che attanagliano lo spettatore e circondano i protagonisti, verranno sapientemente spiegati e troveranno risposta. Vedere quest’ultima stagione scatena un’indescrivibile ed incredibile mole di emozioni nell’animo dello spettatore, ci troviamo di fronte ad un prodotto che riesce nel quasi impossibile compito di trasportare su pellicola il contenuto di un libro, o di una serie di libri in questo caso, e lo fa in maniera eccellente: un qualcosa che ormai compare, ahimé, sempre più raramente. Dramma, speranza, amore, fede, senso della giustizia, morale e riflessioni sulla vita sono solamente alcuni degli elementi insiti nei minuti che compongono l’opera. Raramente prima d’ora ci siamo trovati al cospetto di un fedele esempio di perfetta trasposizione, che sia merito della recitazione degli attori o dell’ottima scenografia nella quale questi si muovono, o ancora magari nelle situazioni impensabili in cui questi finiranno costantemente per cacciarsi, il tutto eccelle in modo armonioso. Non possiamo che dispiacerci nel renderci conto di essere giunti alla fine. Parlando degli aspetti positivi e negativi che compongono l’ultima fatica Netflix ci troviamo, come raramente prima d’ora, davanti ad una quasi totale predominanza di fattori positivi, nella mastodontica pletora di elementi che compongono i diversi episodi non abbiamo trovato quasi nessun fattore negativo, una perfezione (quasi) raggiunta, se non fosse per due sole caratteristiche.

Le uniche pecche che abbiamo scovato riguardano le situazioni narrate, in una minoranza di episodi, compaiono eventi che sembrano esser stati tirati troppo per la lunga, con tempi morti e quasi totalmente inutili ai fini della trama, come se ad un certo punto nel corso della produzione si sia deciso di mettere uno stop alla perfezione e perfetto bilanciamento trovato nel montaggio, nelle musiche, nelle atmosfere, nei tempi d’azione solo per aggiungere qualche minuto in più all’episodio e farlo arrivare al classico minutaggio imposto nei capitoli precedenti. Un vero peccato poiché, in assenza di questo, l’opera si sarebbe potuta considerare perfetta. Sarebbe bastato solo un pizzico in più di attenzione e cura per il prodotto, che rimane comunque eccellente, quel mezzo punto che gioca a sfavore dell’intero lavoro.

Il Conte Olaf interpretato da Neil Patrick Harris che, con la sua eccellente performance, vale da solo il prezzo del biglietto.

Come detto in precedenza nella recensione comunque, l’opera è composta quasi esclusivamente da fattori positivi, pensiamo ad esempio all’ottima recitazione degli attori principali come Malina Weissman (Violet) e Louis Hynes (Klaus) ma sopratutto a quella della nemesi principale, il Conte Olaf interpretato da Neil Patrick Harris che con la sua eccellente performance vale da solo il prezzo del biglietto, mai fuori posto, mai di basso livello, l’attore risulta sempre al massimo della forma e perfetto per il personaggio. Un secondo fattore positivo riguarda le musiche che in ogni istante accompagnano lo spettatore nel corso dell’avventura e si armonizzano perfettamente con le situazioni a schermo, veramente un ottimo lavoro. Infine, il fattore che sicuramente ammalia di più, riguarda la cura messa nella scenografia, un meraviglioso ventaglio di colori e sfumature che donano l’atmosfera giusta ad ogni intermezzo e, tramite il loro corretto uso, rendono ogni oggetto o panorama indimenticabile (che si vada dalla scrivania di un imbranato bancario agli interni di un Hotel gestito da due gemelli) una vera e propria opera d’arte degna di essere vista in grado di viziare gli occhi dello spettatore, che a fine episodio si ritroverà a volerne ancora ed ancora.

Immaginate se il genio e la poesia di Wes Anderson fossero state condite con uno spruzzo di follia in stile Tim Burton: ecco cos’è Una Serie di Sfortunati Eventi. La serie vince a pieni voti e, come le ciliegie, un’episodio tira l’altro. Concludiamo senza nascondere una certa tristezza nel cuore: è un vero peccato trovarsi d’innanzi all’ultima stagione della serie e vi sfidiamo a non emozionarvi e commuovervi durante la visione dell’ultimo episodio. Una Serie di Sfortunati Eventi è un opera eccellente, quasi perfetta, che resterà per molto tempo nel cuore e nella mente di chiunque si lascerà rapire dall’immaginario universo di Lemony Snicket, e chi può saperlo: magari La Fine sarà solo nuovo inizio.