Reveil

Reveil Recensione: la sagoma della paura

Quando ci immergiamo nell’Horror, spesso si presume che l’essenza risieda negli spaventi, nei mostruosi incontri e nelle costanti tensioni che fanno sobbalzare il giocatore, ma vi è molto di più dietro questo genere. Il vero Horror non si limita a queste meccaniche, ma si manifesta attraverso trame avvincenti, plot twist e scene avvolgenti, elementi che, purtroppo, mancano in Reveil. Nella recensione odierna, esploreremo l’ultimo titolo di Pixelsplit, la cui prima incursione nell’Horror Psicologico oscilla tra meccaniche ben sviluppate e momenti di terrore che suscitano più singhiozzi che paura autentica.

Reveil
5 minuti dentro e già le prime minacce…

Benvenuti al nostro show!

Come ogni storia che si rispetti, Reveil  inizia introducendoci al nostro protagonista, Walter Thompson, artigiano nel Circo in cui lavorano anche la moglie Martha e la figlia Dorie. Il tutto inizia nella nostra stanza con l’obiettivo di trovare le nostre amate, iniziando così a esplorare la camera e a prendere dimestichezza con il sistema di interazione con gli oggetti. Questo ci permette di esaminarli da vicino ruotando, inclinando e mostrando cosa c’è scritto sopra con l’opzione di “sovrapposizione testo”, aprire e trascinare parti dell’oggetto permettendone un’ispezione e interazione a 360°. Se pur semplice, abbiamo trovato fin da subito soddisfazione nel suo design e utilizzo, pur sempre ristretto agli item principali garantendone sempre la sua godibilità. A seguire infatti veniamo subito posti davanti al primo semplice enigma con un carillon che, dopo averci interagito, rivela una chiave. 

Reveil
Tanto semplice quanto soddisfacente

Uscendo dalla camera, ci addentriamo nel resto dell’abitazione, e sin da subito percepiamo un’atmosfera inquietante che ci avvolge. Dettagli surreali emergono, soprattutto nella stanza della figlia, raggiungendo il culmine di questa sensazione destabilizzante. Qui, il sistema d’interazione torna ad essere protagonista, conducendoci attraverso un labirinto di biglie e un gioco macabro di “Cocco Dentista” con una testa di clown. Questo particolare momento non solo aggiunge un senso di stranezza, ma funge anche da portale verso la prossima tappa del nostro viaggio, aprendo le porte alla nostra avventura.

Reveil
L’ho fatto più di una volta e non me pento.

Uno spettacolo divertente

Arriviamo finalmente al Circo, seconda casa e luogo di lavoro per la famiglia Thompson dove Walter comincia a raccontare storie sulla moglie e sulla figlia. Durante questi monologhi, iniziamo a imbatterci in enigmi leggermente più strutturati, con suggerimenti facilmente reperibili nelle vicinanze e piccoli minigiochi che sfruttano il sistema d’interazione lasciando spazio al divertimento e a un po’ di dinamicità. Entriamo poi finalmente nel primo edificio, ovvero la Fun House, che in pieno stile di un Circo, si compone di labirinti con specchi, piattaforme che ruotano, tunnel che ci fanno girare la testa, “spaventi” ma soprattutto di stranezze. Stranezze che riguardano proprio Walter.

Reveil
Semplice, forse anche troppo.

In realtà, all’interno di quella che all’apparenza sembra essere una semplice Fun House, seppur un po’ spoglia, ci imbattiamo in percorsi che ci fanno rivivere momenti cruciali della vita del protagonista, iniziando a delineare una storia che si rivela tutt’altro che piacevole. Tuttavia, nonostante gli sforzi della narrazione, che purtroppo non riesce ad approfondirsi adeguatamente, gli spaventi non riescono minimamente a suscitare reazioni emotive. L’ambientazione d’altra parte, priva di un vero senso di inquietudine o terrore, trasforma l’esperienza in una semplice visita a una casa dai tanti sfondi rossi, con piccoli e poco convincenti momenti di tensione e flashback familiari dal tono piuttosto grezzo, incapaci di coinvolgerci emotivamente nella trama. Successivamente, la scena si sposta di nuovo nella casa, questa volta con qualche inatteso colpo di scena che inizia a gettare luce sulla verità dei fatti, preparandoci infine alla prima sequenza di confronto diretto con un mostruoso avversario.

Reveil
Sicuramente nell’altra stanza ci sarà qualcuno con un full setup della HyperX

Il quasi asso nella manica

Qui si entra finalmente nella fase più movimentata di Reveil, ovvero nella prima sequenza di collezione di oggetti durante la pattuglia di una creatura. Il mostro è sicuramente ben disegnato, incute paura e disturbo ma nel caso del primo incontro i movimenti lenti di quest’ultimo permettono di affrontare la sfida troppo facilmente, svalutando l’esperienza. Benché a primo impatto possa sembrare difficile dato lo spazio a disposizione, risulta piuttosto facile seguire il mostro e raccogliere il necessario per poi fuggire a gambe levate. Non sarà un episodio unico, infatti capiterà nuovamente di prendere parte al tipico “colleziona/achiapparella roaming” dove avremo diversi oggetti da raccogliere in una sezione di gioco dove sarà presente un mostro a inseguirci, stavolta però con un fattore di sfida più alto.

Nonostante il coefficiente di difficoltà sia aumentato e il comportamento del mostro risulti più veloce e reattivo, la sua mancanza di profondità narrativa lo riduce a un semplice strumento per generare tensione nel giocatore. Un altro aspetto rilevante riguarda gli ambienti di gioco. Troppo spesso, essi non ricevono l’attenzione che meritano, specialmente nelle aree aperte che risultano spoglie, prive di dettagli significativi che arricchiscano la narrazione, se non per pochi oggetti sparsi che forniscono qualche indizio sulla vita del protagonista. Al contrario, gli ambienti chiusi tendono ad essere maggiormente curati e dettagliati, contribuendo così a creare una maggiore immersione nell’esperienza di gioco.

 


Nonostante Reveil riesca a sollevarsi un minimo con l’evoluzione della trama se pur in modo tardivo, il resto dell’opera regge a malapena quello che può essere definito un horror psicologico, con debolezze artistiche in determinati frangenti, con lo sciatto uso di mostri in alcune sezioni di gioco in cui il giocatore viene lasciato in balia di tanti dialoghi molto spesso fini a se stessi, collezionabili e una meccanica di interazione che poteva essere sfruttata molto di più all’interno della parte dedicata agli enigmi del gameplay.