Shiren the Wanderer The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island: quando quel che conta è la sostanza

Un nuovo roguelike, dal sapore antico ma per una generazione moderna: ecco Shiren the Wanderer The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island.

La saga di Shiren the Wanderer condivide il destino di “antesignano superato dallo spin-off” con altre ip nipponiche come Shin Megami Tensei, che ha ceduto il passo al figliastro Persona. Il classico di Spike ChunSoft ha difatti posto le basi per il ben più noto franchise Pokémon Mistery Dungeon, ed era molto tempo che non si faceva vivo con un nuovo capitolo, ora finalmente su Nintendo Switch col titolo Shiren the Wanderer The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island. E lo fa presentandosi con la volontà di proporsi, principalmente, ai fan delle vere sfide, a chi ha voglia di grattare sotto la superficie, allontanandosi dalla massa.

Shiren the Wanderer The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island
Uno dei vari momenti in cui le storyline spiccano il volo, spezzando la monotonia delle varie run,

Shiren the Wanderer The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island: duri e puri, fino alla fine

Quella di rivolgersi a una nicchia è una mossa inusuale (ma non così azzardata, in realtà) perché com’è ovvio, i publisher, essenzialmente, prediligono rivolgersi ad una platea la più vasta possibile, offrendo tra le altre cose livelli di difficoltà dedicati a tutti i palati ed esigenze. Da un lato, è un segno di inclusività importante, dall’altro rischia di far perdere alcuni caratteri di sfida distintivi di certi franchise o generi: oramai, a mantenere alta la bandiera dei giochi ostici a tutti i costi sono quasi unicamente i cosiddetti soulslike, evoluzione espansa dei roguelike di cui Shiren è stato uno dei primi esponenti, prima che anch’essi cominciassero a proporsi alle masse in maniera più bilanciata e “popolare” (vedasi il caso eccellente di Hades).
The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island è il sesto capitolo principale della saga e arriva dopo una decade in cui, nel mondo dei videogiochi, è successo di tutto… e con estremo savoir faire si presenta duro e puro, come se niente fosse, come se fosse un titolo di lancio di Nintendo Switch, noncurante della presentazione tecnica o delle meccaniche di gioco definibili quantomeno retrò. Il bello è anche questo, in realtà, perché una volta di più siamo davanti a un gioco che orgogliosamente mette la sostanza davanti al volersi ad ogni costo accattivare le simpatie del pubblico.

Diamo uno sguardo a una delle armi presenti nel gioco

Più che di una evoluzione dei vecchi capitoli sarebbe opportuno parlare di rielaborazione con nuovi elementi e bilanciamenti precisi di gameplay. Le meccaniche sono essenzialmente le solite: Shiren deve esplorare decine di labirintiche mappe cercando di arrivare vivo all’uscita di ognuna di queste e, si spera, sempre meglio equipaggiato, cercando di scoprire i misteri dell’isola e sopravvivere per raccontarli. In caso dovesse cadere in battaglia (o per i morsi della fame) si ritroverà a dover ricominciare d’accapo, perdendo tutto quel che reca con sé, che siano oggetti, equipaggiamenti, armi… l’esplorazione avviene in tempo reale, ma ad ogni mossa del protagonista ne corrispondono altrettante di mostri e creature che popolano i livelli… e che non esiteranno ad attaccare l’intruso. Non solo ad ogni azione corrisponde una reazione, ma ogni azione ha una conseguenza e ogni passo falso potrebbe essere l’ultimo della run in questione. Il sistema di combattimento e, in generale, le azioni sono alquanto basilari, ma proprio nella sua estrema schematicità il gioco trova la sua ragion d’essere.
Il primo impatto col titolo, se non si è avvezzi alla serie o quantomeno al genere, potrebbe essere spiazzante, perché sotto la coltre di “carineria” dei pupazzetti e delle ambientazioni si cela una sfida che non fa sconti e richiede salda dedizione: bisogna passare diverso tempo dedicandosi all’apprendimento dei migliori pattern di movimento, reazione, attacco e contrattacco, imparando punti di forza e debolezza di ogni singolo mostriciattolo.

Un esercizio di pazienza notevole, calcolando anche la notevole componente casuale che fa parte dell’esplorazione, dati i dungeon procedurali e, soprattutto, le dotazioni casuali di oggetti presenti in essi. L’aspetto più controverso è proprio questo: saper cavarsi d’impaccio con quel che si raccatta in giro è una gran soddisfazione, ma spesso subentra anche una certa frustrazione quando invece la fortuna non arride al giocatore, che si ritrova a dover buttare un’intera run non per demerito proprio ma solo perché non trova foraggiamenti decenti all’interno dei livelli. Questo crea una forbice enorme tra gli utenti, divisi in chi, anche volenteroso, si scoraggia perché non trova la giusta ricompensa per i propri sforzi e chi invece persevera e, superata la durissima scorza in superficie, trova una gran mole di contenuti con cui creare build complesse e vivere avventure interessanti anche sotto il profilo narrativo. Proseguendo con questo paragone, Shiren 6 è un po’ come una noce di cocco: da fuori è poco invitante… e inoltre difficile anche solo da scalfire. Se siete davvero assetati, però, troverete il giusto punto di rottura e scoprirete quanto possa essere gustosa (per quanto essenziale) la sua polpa.


Dopo un travaglio lungo 10 anni, Shiren the Wanderer: The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island si afferma quale nuovo punto di riferimento per la storica serie di roguelike. La magistrale miscela di difficoltà senza compromessi e ricchezza di contenuti da superare rende il gioco in grado di soddisfare per decine di ore. Per sua sfortuna, molte cose sono cambiate durante questo lasso di tempo, perciò il sesto episodio di Shiren deve pagare lo scotto di un’intenzionale senilità. Resta comunque un’avventura impagabile per tutti gli appassionati, e un interessante punto di ingresso per chiunque voglia misurarsi con uno degli esponenti più impietosi del genere.