Realm of Ink Recensione: inchiostro nel mare della cultura cinese

Realm of Ink

Sul fatto che Hades dalla sua uscita sia il riferimento di una montagna di titoli è un dato di fatto e che questi giochi somiglino in tantissime cose al loro originale è ancora più palese. Realm of Ink non fa eccezione per cui se vi entusiasma il gameplay del capostipite all’annuncio di questo titolo sicuramente avete provato un certo interesse. Sicuramente l’idea di aver un rogue-lite per le mani con la longevità che promette oggi interessa moltissimi giocatori che sono alla ricerca di un investimento che garantisca ore di divertimento sempre nuovo e governato dalla sorte. In Realm of ink tutto questo però non c’è. Gli elementi rogue-lite sono quasi del tutto legati ai drop, troverete infatti gli stessi boss nell’ordine preciso, lo stesso numero di stanze per arrivarci ed anche gli stessi nemici nelle medesime stanze, certo, possiamo scegliere con la modalità bivio alla fine di una di queste ma la scelta è sempre tra due tipi di reward e basta. Partiamo però dall’inizio, in un mondo quasi tutto al femminile (dove un po’ di maschile non avrebbe guastato) insieme alla nostra fida mascotte (che può evolvere) un party di eroine legate al mondo della cultura cinese deve fare piazza pulita dei cattivi utilizzando i poteri dell’inchiostro racchiusi nei cinque elementi della tradizione cinese: fuoco, metallo, acqua, legno e terra. Dall’altra parte ci saranno creature pescate dai racconti tradizionali (e meno tradizionali) cinesi che cercheranno di sbarrarci la strada, un mid-boss, un cattivone finale ed il cattivone estremo per cui verrà scomodata anche una vista prospettica a tutto schermo.

Fare piazza pulita non guasta mai

Realm of Ink: tutta la Cina in gocce di inchiostro

Per fare un discorso serio rispetto a Realm of ink non possiamo assolutamente bypassare la lore. Il gioco infatti è ambientato in maniera estremamente larga nella Cina imperiale delle leggende più note. Il primo problema è proprio questo, infatti, pur potendo attingere ad un calderone immenso di mitologia i ragazzi di Leap Studio e Maple Leaf Studio decidono di ambientare il tutto in una serie di racconti che ben poco hanno a che fare l’uno con l’altro. Ci troviamo quindi ad affrontare nel primo capitolo lo Yeti (o qualcosa che ci somiglia) e subito dopo la doppia versione di un Son Goku completamente riscritto. Non fa eccezione nemmeno la parte scenografica dove a tranquilli villaggi cinesi di epoca della dinastia Ming si alternano alle state dell’esercito di terracotta con qualche inclusione fantasy. Insomma, un mischiume di cose  da cui non si salva praticamente nulla tra occidentalizzazioni forzate di alcuni aspetti e vera conoscenza superficiale del materiale su cui si sta lavorando.

Nemmeno la Maison iniziale (anche questa molto simile a quella sviluppata da Supergiant Games) regala qualche soddisfazione, disegnata in stile Bazar d’oriente, ci permette qualche dialogo che aggiunge poco o nulla al gioco. Sempre nella Maison potremo dare da mangiare al nostro famiglio (unica vera cosa godibile),  spendere i punti guadagnati in gioco per sbloccare i bonus e migliorare le statistiche e decidere il livello di difficoltà. Su quest’ultimo bisognerebbe aprire una parentesi che potrebbe essere la recensione stessa, i livelli prendono il nome dal pelo del pennello e si susseguono in volpe, pecora, lupo e tigre ebbene, il fatto che questi non siano pennelli calligrafici dimostra quanto poco studio ci sia stato alla base della lore che, come già detto, sembra più un pretesto per prendere dal mondo della mitologia cinese a piene mani che essere ispirato da una visione creativa.

Il boss dei boss personificazione del fiore di loto

Character da rivedere

Uno dei problemi principali di Realm of Ink sono proprio i personaggi. L’eroina Red, per altro unica interlocutrice di tutti i dialoghi anche quando stiamo giocando con un altro personaggio, è la più debole del gioco pertanto già dopo le prime partite la sostituirete con le successive che si comprano con i cristalli lasciati dal boss di fine capitolo, ne bastano tre e già sarete in possesso di tutto quello che vi serve per finire il gioco al livello di difficoltà base. La strategia è molto semplice ed anche obbligata perché, se non la seguite, nei racconti di Realm of Ink durerete davvero poco. L’energia del personaggio è infatti composta da due distinti fattori: gli scudi ed i life point veri e propri; questi ultimi nei livelli avanzati vanno via anche 50 alla volta (su un massimo di 500) e non vi sono modo di recuperarli tramite consumabili per cui con sette o otto colpi buoni presi vi ritroverete all’altro mondo. L’unica salvezza è allora possedere gli scudi, questo vi costringe ad equipaggiare come elemento obbligatoriamente il legno in junction a qualcos’altro che ne aumenta la durata poiché, proprio per non farci mancare nulla, gli scudi si ricaricano quando attiviamo il talento e dopo un po’ tornano a zero.

Il combattimento è quindi uno spam continuo dei colpi mentre alternativamente utilizziamo i due talenti per tenerci in vita, l’alternativa è cercare di scansare i colpi con una sorta di dash continuo che essendo però limitato a sole due unità (con la possibilità però di espanderlo) già al secondo livello di difficoltà diventa insostenibile oltre che molto frustrante. I power up in gioco poi sono davvero limitati, in cinque o sei partite si riescono a vedere più o meno tutti, molti non servono a nulla, altri addirittura hanno abilità controproducenti ma in ogni caso la tattica sarà sempre quella elencata sopra alla luce della quale un’oggetto o un altro non fa molta differenza. I nemici sono pochi con poche abilità e si ripetono sempre identici se non per il numero di punti vita che hanno, esiste anche una challenge in game che ha due tipologie: difendere il cristallo o schivare tutto quello che ci viene addosso; la seconda è sempre semplicissima basta spammare il dash mentre la prima diventa impossibile ai livelli di gioco più alti. La possibilità di usare il gioco a livello competitivo poi (speedrun o score game) è esclusa, in tutte le run completate con successo abbiamo, minuto più minuto meno impiegato sempre una quarantina di minuti.


Realm of ink potrebbe essere una valida alternativa ad Hades se avesse una lore strutturata e dei personaggi credibili. Purtroppo il gioco è davvero troppo semplice ed il suo gameplay incredibilmente piatto. Per terminare il titolo ci abbiamo messo meno di un’ora e con le stesse configurazioni di item abbiamo passato agevolmente anche il livello di difficoltà successivo e quello ancora dopo. Alla fine non è nemmeno bello da guardare perché presenta una incoerenza di fondo che forse può essere anche passabile per giocatori casuali ma non certo per chi cerca dei prodotti contemporanei, innovativi ed un livello di sfida almeno medio. 


 

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