Paprika – Sognando un Sogno Recensione: un caleidoscopico carosello onirico

Torna in esclusiva sul grande schermo il celeberrimo capolavoro del maestro Satoshi Kon

PAPRIKA

Nell’intricato dedalo della psiche, un sogno è il nutrimento della fantasia. Ci starebbe bene qualche spezia, magari un po’ di…Paprika – Sognando un sogno, capolavoro di Satoshi Kon, ritorna nei cinema in versione restaurata il 17- 18 e 19 febbraio. A seguito dello strepitoso successo di Perfect Blue (di cui trovate la nostra recensione qui), il film di debutto di Kon, portato per la prima volta nelle sale italiane lo scorso aprile, Nexo ci propone questo nuovo appuntamento con il visionario mondo del compianto regista. Le proiezioni fanno parte del progetto Anime al Cinema, un’esclusiva di Nexo Digital distribuito in collaborazione con i media partner RadioDEEJAY, Lucca Comics & Games, Cultura POP, MYmovies, ANiME GENERATION. Il lungometraggio, vincitore di diversi premi, è stato presentato in anteprima mondiale alla 63ª Mostra internazionale dell’arte cinematografica di Venezia nel 2006, uscendo nelle sale italiane a giugno del successivo anno. La sceneggiatura, ad opera di Seishi Minakami e dello stesso Kon, è basata sull’omonimo romanzo di Yasutaka Tsutsui pubblicato nel 1993. Il film è prodotto dallo studio d’animazione MadHouse con la collaborazione di Sony Pictures Classics, a cui è stata affidata la distribuzione del film.

La DC Mini è una tecnologia innovativa che consente agli psicoanalisti di immergersi nei sogni e, conseguentemente, nel subconscio dei pazienti al fine da conoscere e curare le loro problematiche. A capo del progetto c’è la dottoressa Atsuko Chiba, che sta sperimentando il rivoluzionario dispositivo al di fuori dei laboratori, servendosi del suo alter ego Paprika. Quando tre di questi congegni vengono rubati prende il via la caccia al ladro, ma la barriera tra il mondo onirico e quello tangibile si fa sempre più labile, rivelandosi  un’impresa ai confini della realtà… e dei sogni.

Paprika
Le espressioni di Paprika

Un’ottica surreale

Uno dei migliori film d’animazione di tutti i tempi e pietra miliare dell’arte cinematografica. Questa è la descrizione con la quale viene spesso presentato Paprika. Una definizione calzante, per nulla esagerata, sebbene, ci tengo a precisarlo, bisogna tener sempre presente che la perfezione nell’essere umano e nelle sue creazioni non esiste in senso assoluto. Qualsiasi produzione, anche la più sublime, non è scevra quantomeno di qualche infinitesimale pecca, la cui rilevanza, tuttavia, è relativa. In primis perché spesso si tratta di considerazioni soggettive, e in taluni casi anche pretestuose, ma in quanto un’opera, come la bellezza, va contestualizzata nell’armonia del suo complesso. Satoshi Kon, in questo suo ultimo capolavoro, ci ha regalato una pellicola straordinaria, un condensato polisemico della sua ricerca artistica, modello paradigmatico del suo visionario ed avanguardistico lavoro. Un lungometraggio di fantascienza capace di trascendere i confini del genere, della realtà e della finzione onirica in una giostra caleidoscopica, che ammaliante si rivela un’esplorazione psichedelica della mente e del subconscio umano.
Paprika è una pellicola complessa, stratificata, non solo sotto il profilo tematico, ma anche strutturale, tanto da sublimare i codici di linguaggio audiovisivi. Motivo per il quale, come tutte le produzioni di Kon, ha costituito un prototipo di riferimento per altri registi, anche e soprattutto del cinema dal vero. Christopher Nolan, Darren Aronofsky, David Fincher, Michel Gondry e Mamoru Hosoda trai nomi più famosi fortemente ispirati dalle pellicole di Satoshi Kon. Un’influenza che trasmoda la mera analisi tematica ed affinità poetica, concretizzandosi, sovente, nella riproduzione pedissequa di intere sequenze e particolari scelte registiche estrapolate dalle opere di Kon. In riferimento a Paprika l’esempio più eclatante, al sottile confine tra l’omaggio e il plagio, è il film Inception (2010) di Nolan. Un rapporto lapalissiano, purtroppo a lungo lasciato in sordina, che, come la tanto decantata originalità creativa del cineasta britannico, merita in altre sedi più opportune, un maggiore approfondimento.

Paprika
La Dottoressa Atsuko Chiba

Una pellicola poliedrica, a tratti ermetica, che trova nel surrealismo bretoniano la sua chiave di lettura. Questa lente ci offre l’ottica adeguata per eviscerare ed analizzare le componenti intrinseche dell’opera a partire dalla sua opulenta ed elaborata estetica. Una strutturazione complessa che si esprime vivida nella regia magistrale di Satoshi Kon, sofisticata, dal manierismo innovativo e sperimentale che supera la leziosa esibizione tecnica. Agli occhi dello spettatore si susseguono sequenze visive strabilianti, dal fascino ipnotico, che sembrano sfidare le leggi della fisica e della logica per merito di prospettive inusuali ed angoli di ripresa dinamici che enfatizzano l’instabilità e la mutabilità tra sogno e realtà. Kon gioca sapientemente con la profondità di campo, si diletta alternando messa a fuoco selettiva ed il citato pan focus, plasmando la spazialità e l’immersività delle immagini.
La variabilità dei piani di coscienza è ben espressa anche nel montaggio, contraddistinto da transizioni fluide, in molte scene prive di soluzione di continuità, in balia di quell’ambiguità semantica che permea il film. La narrazione ha una precisa progressione temporale, ma è priva di una linearità canonica, a causa della continua trascendenza dei livelli ambientali. Risulta, tuttavia, scorrevole, costellata di polimorfi simbolismi che volteggiano tra l’essere componente estetico a tematico, in una danza catartica tra mondo tangibile ed onirico.

Paprika
Paprika e Konakawa

In questo balletto cinematografico, un ruolo basilare concerne la qualità audiovisiva, il cui altissimo livello non appare scalfito dagli anni trascorsi. Paprika è mirabilmente realizzato in tecnica classica mista a digitale, ben armonizzate tra loro. Gli elementi in C.G.I risultano calibrati, in determinati frangenti volutamente percettibili al fine di accentuare l’alterità ed il distacco dalla realtà tangibile, ma anche di infondere una dimensione ultraterrena ed al contempo corporea all’immagine. Kon sperimenta con la plasticità di alcune componenti visive, caratterizzate da delle texture particolari, come i dettagli lucidi, che conferiscono tridimensionalità e soprattutto materialità alle scene. Una quintana sensoriale, attraverso la quale il regista pungola e scombussola le nostre percezioni, mistificando il tatto tramite la vista. Un’impressione sinestetica esaltata dalle animazioni, la cui naturale fluidità in alcune sequenze trasmuta in un’apparenza liquida, con inquadrature od elementi che si deformano duttili o sembrano sciogliersi fisicamente sullo schermo. I disegni sono sofisticati ed accurati, con fondali minuziosi e personaggi espressivi, dalla mimica verosimigliante.
La palette cromatica è caratterizzata da colori vividi, sovente contrastanti o saturi, dalla funzione cangiante, che gioca indefinita dal verismo rappresentativo al simbolismo proteiforme. Un dualismo ricorrente in molte costituenti del film, sempre marcato e contemporaneamente nebuloso, binomio emblematico della flebile dicotomia tra realtà e sogno. Il surrealismo della pellicola si manifesta sinergico nella colonna sonora, opera di Susumu Hirasawa, che si congiunge armonica alle immagini, contribuendo in modo concreto e magnetico a modellare le mutevoli atmosfere di Paprika.

Paprika
Konakawa

Paprika: nei meandri del subconscio

Un prisma dalle molteplici sfaccettature al centro di una stanza ricoperta di specchi. Un carosello di elementi che si riflettono e rifrangono, trasmutano e si deformano, in una rete di connessioni neurali. Concedetemi questa metafora per illustrarvi la complessità della struttura tematica di Paprika. Un approfondimento volubile, inequivocabile ed al contempo intricato, come la stessa mente umana, riverbero di quella dualità sfumata ed enigmatica fondamenta del film. Satoshi Kon rielabora i suoi temi ricorrenti, veri e propri fili conduttori della sua ricerca artistica. Un’analisi viscerale e psichiatrica, che presenta una risultanza di straordinaria poliedricità prospettica. Lampante ed indistinto è il confine tra realtà e sogno, tra vero e finzione. Un limite metafisico che il regista esplora attraverso un estenuante gioco di rimandi e sovrapposizioni, evidenziandone la reciproca influenza e convergenza, in un’osmosi perpetua, rivelando la natura eterogenea e multiforme dell’esistenza umana. Kon sfrutta magistralmente le potenzialità del mezzo cinematografico per immergere lo spettatore in un’esperienza sensoriale e cognitiva che sfida continuamente la percezione di ciò che è reale e ciò che non lo è.
La pellicola diviene così un labirinto sinaptico, un viaggio psichedelico nelle profondità dell’inconscio collettivo e personale, suggerendo che la nostra comprensione della realtà e delle nostre paure è intrinsecamente legata alla dimensione onirica. Analogamente alle recondite fantasie notturne, il simbolo si erge a strumento interpretativo essenziale, manifestandosi nel suo triplice significato: personale, culturale ed archetipo universale. Significati che si intrecciano in un’ambiguità deliberata, perdendosi l’uno nell’altro, ripetendosi costantemente nel film. Paprika è quindi un’opera estremamente metamorfica in ogni suo aspetto, in cui ogni sequenza non si risolve in un’univoca interpretazione, ma racchiude simultaneamente molteplici possibilità di decifrazione.

Nella sarabanda della mente Satoshi Kon indaga su un altro tema ricorrente della sua produzione artistica: l’identità. Un costrutto sfaccettato e complicato, un’entità fluida ed in continua evoluzione. Una multidimensionalità che, tuttavia, non manca di una sua peculiare coerenza. Per eviscerarne la sua struttura proteiforme il regista fa nuovamente ricorso, in un gioco quasi ossessivo, al dualismo ed alla distorsione della percezione del sé. La contrapposizione e sovrapposizione tra il mondo tangibile ed onirico si riflette così nei personaggi stessi, nella loro duplice natura, nella loro soggettività e memoria, scuotendone le fondamenta ideologiche. Non solo la Dottoressa Chiba ed il suo alter ego Paprika, tutti i protagonisti, seppur in modi differenti, incarnano una doppia natura. In questa parata di maschere pirandelliane l’inconscio diviene espressione della creatività, fucina della fantasia, la cui repressione può rivelarsi dannosa. L’analisi di Kon, infatti, si estende nell’ambito della psicopatologia, riconducendo nello squilibrio tra gli strati della psiche una delle cause degli stati alterati e delle problematiche nascoste dell’io. Lo studio del subconscio onirico diviene così cura e guarigione del trauma. Un processo difficoltoso, ma oltremodo rischioso. Il cineasta evidenzia tanto i benefici quanto i pericoli e le incognite etiche nell’uso di questi futuribili dispositivi, fornendoci una critica spietatamente obiettiva. Questo pone domande fondamentali su come la tecnologia influenzi la nostra comprensione dell’identità e su come possa alterare la percezione di noi stessi e degli altri. Truce ed allegorico ci pone di fronte ad una verità ineluttabile, nella necessità di trovare un equilibrio nell’incessante conflitto tra il bisogno di libertà dell’essere umano ed il suo limite: il rispetto per gli altri.

Nell’incessante giostra di specchi e riflessi distorti, dove ogni immagine è un frammento di una verità più complessa, Satoshi Kon ci conduce in un viaggio metacinematografico che sfida le convenzioni del mezzo audiovisivo. Un’esplorazione metalinguistica manifesta attraverso una consapevolezza intrinseca della propria natura finzionale ed un costante dialogo con il medium stesso. La decostruzione dei confini tra realtà e sogno non avviene esclusivamente mediante la trama, ma anche attraverso la sua forma ed il suo linguaggio, sottolineando l’essenza illusoria ed artificiosa di ogni film. Kon utilizza delle tecniche innovative, sperimenta, per alcune sequenze, diversi stili, rompe la quarta parete interagendo con lo spettatore, sfruttando le infinite possibilità dell’animazione. Paprika diviene così un’opera che non solo racconta una storia, bensì indaga anche sul modo in cui questa può essere narrata e percepita, trasformando la pellicola in una riflessione sul potere e sulla versatilità dell’audiovisivo. Il metacinema si erge a strumento interpretativo per indagare su sé stesso, ma anche autocelebrativo. Il lungometraggio è costellato di numerosi riferimenti ed omaggi, anche autoreferenziali, in una connessione intertestuale con la storia del cinema. In questo caleidoscopio di citazioni e riflessi, Paprika sublima il suo essere film, assurgendo metamorfico ad una dimensione trascendente, dove l’arte cinematografica diviene espressione di questa danza catartica tra mondo tangibile ed onirico, invitandoci ad abbandonarci alla sua ammaliante illusione.


Ultimo lungometraggio del visionario Satoshi Kon, Paprika è un’esperienza cinematografica potente e suggestiva. Sublime  e surreale esplorazione della psiche umana, attraverso un’immersione sensoriale che sfida le nostre percezioni. Una pellicola metamorfica, in cui nulla è solo ciò che appare, perché realtà e sogno si fondono liquidi sullo schermo. Elaborata e sperimentale, dall’intricata trattazione tematica, incentrata sul suo poliedrico simbolismo, Paprika è un’opera dalla natura fortemente polisemica. Un capolavoro dell’animazione, una sinfonia audiovisiva pietra miliare della storia del cinema. Assolutamente imperdibile.