Cronos The New Dawn Recensione: di umanità perduta e ritrovata

Cronos – The New Dawn

L’alba è un momento di speranza, un’opportunità per un nuovo inizio dopo l’oscurità della notte.
Con Cronos The New Dawn, il Bloober Team torna a ribadire la propria centralità in un panorama horror che negli ultimi anni ha visto un ritorno di fiamma, ma anche una certa saturazione. Lo studio polacco, già noto per Layers of Fear, Observer e The Medium, si è sempre distinto per un approccio psicologico al terrore, privilegiando atmosfere disturbanti e introspezione narrativa piuttosto che l’azione pura. dopo i fasti del suo chiacchieratissimo remake di Silent Hill 2 – che ha infine messo a tacere i detrattori e fatto reinnamorare tanti della saga Konami – ecco una loro nuova IP originale che potrebbe diventare la loro punta di diamante, dopo The Medium e Layers of Fear. Un survival horror apocalittico e fantascientifico sbucato dal nulla e realizzato, con tutti i crismi, nonostante i pressanti e contemporanei impegni con Konami. Con questo nuovo progetto, il team sembra voler compiere un passo diverso: spingersi oltre i confini dell’“horror atmosferico” e cimentarsi in una formula più vicina al survival horror classico, fatta di tensione costante, gestione delle risorse e vulnerabilità del protagonista, immerso in una lotta disperata che si interroga a ogni passo sul concetto di “umanità”.

La disavventura del Transitante inizia qui.

Cronos The New Dawn: un body-horror in salsa retro-futurista

Bloober Team è uno studio che ha saputo costruire la propria identità scavando nelle paure più intime. Se Layers of Fear ridefiniva la casa infestata come spazio mentale in continua trasformazione, Observer trasportava l’incubo nel cyberpunk, mentre The Medium sperimentava con la doppia prospettiva simultanea per raccontare un horror spirituale. Tuttavia, tutti i titoli precedenti dello Studio avevano un limite: l’interattività ridotta, la mancanza di un vero “gameplay survival” in grado di far sentire il giocatore non solo uno “spettatore interattivo” ma anche un sopravvissuto. Il remake di Silent Hill II ha permesso al team polacco di sperimentare riguardo a questo (ri)plasmando un grande classico, per poi passare a una propria IP con cui colmare quel vuoto.

Negli ultimi anni il genere survival horror ha vissuto una nuova giovinezza grazie ai remake di Resident Evil, al successo di The Callisto Protocol e al ritorno di esperienze indie come Signalis. Questi titoli hanno recuperato meccaniche fondamentali come l’inventario limitato, la vulnerabilità del protagonista e l’ansia data dalla scarsità di risorse.
Eppure, in molti casi, è mancato un tassello: un equilibrio fra l’orrore psicologico e quello fisico, fra la tensione della mente e la paura della carne. È qui che Bloober Team apporta qualcosa di inaspettatamente nuovo. La sua sensibilità narrativa, unita a una struttura ludica più fisica e al contempo rodata, dà vita a un survival horror che non si limita a farci saltare dalla sedia, ma che ci obbliga a vivere il terrore dall’interno, sospesi tra paranoia e sopravvivenza.

L’universo di Cronos: The New Dawn è una landa sospesa tra realtà e delirio, un mondo che sembra collassare su se stesso. Bloober lavora molto sulla costruzione ambientale: corridoi che si deformano, spazi che si contraddicono, luci che ingannano. Ma, a differenza dei precedenti lavori dello studio, qui le atmosfere non sono solo “spettacolo visivo”: hanno un peso ludico concreto, perché esplorare significa consumare risorse, rischiare imboscate, perdere la strada. L’ambientazione non è più semplice teatro, ma diventa un avversario attivo, pronto a logorare il giocatore con la sua sola, soffocante (anche all’aperto) presenza.

Il design retro-futuristico non appare come originale, ma è verosimile, inquietante e perfettamente in linea con l’ambientazione.

Such is our calling

Come da tradizione Bloober, la narrazione non è lineare. La storia di Cronos si dipana attraverso frammenti, memorie e incontri enigmatici, più vicina a Silent Hill 2 che a un horror cinematografico mainstream. La grande novità è la fusione tra simbolismo e sopravvivenza, e le tematiche toccano la ciclicità del tempo, la perdita, la memoria e il senso stesso dell’umanità: ogni fallimento sembra parte di un rituale più grande, un “nuovo inizio” che giustifica il titolo stesso.

Negli anni ’80 del ventesimo secolo accadde quello che i sopravvissuti del misterioso Collettivo chiamano “Il Cambiamento”: un devastante cataclisma apocalittico che ha distrutto la vita per come la conosciamo, lasciando la Terra in una landa desolata e desolante. In Cronos ci caleremo nei pesanti panni di un “Transitante”, un esploratore la cui missione è quella di recuperare le “Essenze” di figure chiave (per un motivo o per un altro) del pre-apocalisse, che ci guideranno verso una possibile riconfigurazione delle Anomalie spazio-dimensionali, che potrebbero invertire il corso della Storia. Per farlo, bisogna inoltrarsi alla ricerca di Fratture nel corso dello spazio-tempo, sfruttando le informazioni e le risorse raccolte da chi ci ha preceduto ed è perito nel tentativo.
L’ambientazione è prettamente polacca: ci aggireremo tra le parti del quartiere periferico di Cracovia denominato Nowa Huta, che nel dopoguerra era un gioiello di innovazione scientifica e industriale ma ora nella lore del gioco è un cumulo di inquietanti macerie simbolo del decadentismo sovietico.

A differenza di molti altri survival horror, questa non è una lotta per la sopravvivenza, ma per l’umanità in senso lato. Tramite allegorie molto dirette (e che partono dal contesto storico dell’ambientazione) si vuole parlare di come l’umanità venga definita da elementi al contempo triviali eppure eccellenti, seppur non necessariamente artistici: qualcosa che per certi versi era presente in tempi recenti anche in Stellar Blade, ma che scava alle radici della grande fantascienza postbellica, da Matheson a Dick passando per Boulle, trovando alpha e omega in John Wood Campbell Jr e il suo “La Cosa”.
L’uomo è un animale sociale: privo dell’aspetto comunitario comincia a deperire, eppure l’individualità è un valore di un certo peso, così come il libero arbitrio… Cronos instilla numerosi tarli inattesi nel cervello del giocatore, ben più persistenti dei suoi “mostri” tangibili.

Scoprire come raggiungere la propria destinazione non è semplice, ma è sempre appassionante.

Cronos si gioca in bilico tra un passato recente e apparentemente condannato e un futuro prossimo ormai perso, devastato, dove le uniche forme di vita rimaste sono rimasugli evolutesi dall’umanità e ora noti come “Orfani”. Si tratta di abomini mostruosi che si sono adattati per sopravvivere in un ambiente sostanzialmente privo di risorse, e che cannibalizzano le altre forme di vita morenti, attaccando i Transitanti.

Davvero difficile, in poche righe spiegare la lore di base in modo quanto più chiaro possibile ma al contempo senza lasciarsi indietro spoiler: quel che si può dire è che se all’inizio è tutto molto fumoso ma anche relativamente semplice, il proseguo della storia si dipana in modi inaspettati, con attori molto interessanti con cui avremo modo di interagire in modi differenti: certe azioni del giocatore sono, tra l’altro, in grado di plasmare il destino dell’avventura e il gameplay in modo inatteso.

Un cocktail che possiamo mescolare o shackerare, con al suo interno John Carpenter, David Cronenberg, David Lynch, ma anche reference dirette a tantissimi titoli videoludici seminali, da Resident Evil a Silent Hill, da Dead Space a Returnal a The Evil Within, passando ovviamente per masterpiece Remedy come Alan Wake e Control. Appare evidente come Cronos The New Dawn sia un titolo derivativo, ma questo non è necessariamente un male, anzi! In gran parte è la summa ragionata del meglio che questo genere ha da offrire in termini di gameplay, tenendo sempre in primo piano l’angoscia esistenziale dei protagonisti (e dei giocatori).

I combattimenti lasciano il segno e vanno affrontati col giusto approccio.

Don’t let them merge!

Venendo al gameplay, si tratta anche in questo senso di qualcosa di relativamente familiare, perlomeno all’inizio… ma in questa sede non verranno trattate alcune particolarità introdotte una volta entrati nel vivo della vicenda. Limitiamoci a parlare dell’inizio dell’avventura, in cui il Transitante è equipaggiato in maniera pesante e ha una mobilità decisamente limitata, ma è in grado di farsi valere in combattimento sia in corpo a corpo che grazie alla propria pistola potenziabile… e alla propria astuzia, che sarà l’arma più potente su cui fare affidamento. Il colpo base è caricabile per avere effetti potenziati e di stun (fondamentale) e i vari potenziamenti possono risultare letali, ma vanno usati con accortezza. Lanciarsi a testa bassa contro i nemici finisce inevitabilmente nella propria dipartita: bisogna posizionarsi nel modo opportuno e sfruttare gli ambienti, colpendo in modo preciso in modo da non sprecare le poche munizioni a disposizione. Il fuoco è vostro amico e sarà indispensabile in determinate situazioni; inoltre, cosa più importante, bisogna disfarsi dei corpi dei nemici abbattuti, perché potrebbero venire assorbiti da consimili ancora in piedi, fornendo loro nutrimento per divenire letteralmente inarrestabili.

Il livello di difficoltà risulta impegnativo, anzi… sostenuto: non bisogna mai prendere le cose alla leggera e se le cose si mettono male c’è poco da fare… ma è colpa del giocatore che non è stato dovutamente accorto. Nonostante l’approccio action, le battaglie vanno intraprese anche col cervello, oltre che coi riflessi, capendo di volta in volta quali sono le coperture migliori, le distanze adeguate, gli strumenti più adeguati da usare. Un trial & error che non perdona ma che non risulta frustrante, se si entra nel meccanismo. Non si tratta, dunque, di un livello di difficoltà punitivo che necessita di grande bravura e pazienza: piuttosto, è solo questione di comprendere l’approccio giusto, cosa che fa davvero la differenza tra una morte atroce e un soddisfacente trionfo.

L’esplorazione delle aree è abbastanza circoscritta, con poco (ma necessario) backtracking al fine di recuperare gli oggetti necessari a sbloccare una porta, un condotto, un cancello; presente qualche piccolo enigma ambientale, ma le meningi verranno spremute più per capire come affrontare al meglio i combattimenti che per gli ambienti. Niente che vi farà stranire, nel gameplay, rispetto a quanto noto nel genere: tutto molto familiare, e quel che sarà straniante sarà invece l’ambientazione, che definire resa alla perfezione è un povero eufemismo. Non è certo la prima volta che vediamo architetture impossibili, oggetti (finanche palazzi!) volanti e scenari apocalittici, ma è il contesto che cambia tutto. Una polaroid cristallizzata nel tempo di quello che era insieme la zona più all’avanguardia e più periferica di Cracovia, un fiore all’occhiello del Soviet che grida “primi anni ottanta” qui gettato per terra, calpestato e abbrutito. Un futuro (passato) di promesse infrante, che suona tra l’altro incredibilmente metaforico.

L’architettura, gli arredamenti, i materiali, lo stile, tutto richiama alla mente qualcosa che chi ha vissuto gli anni ’80 ricorda bene e che è sicuramente marchiato a fuoco nei ricordi (personali e familiari) degli sviluppatori, che hanno vissuto l’enorme cambiamento del proprio Paese dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS.

The New Dawn, tecnicamente, ci ha davvero convinto. La solidità del motore di gioco è granitica: non abbiamo mai avvertito un’incertezza, un calo, un bug, un glitch. La definizione degli ambienti è straordinaria. Probabilmente c’è da premiare anche la “furbizia” di avere pochi personaggi a schermo, con mobilità ridotta: ma si tratta di una doppia scelta di design funzionale su molteplici livelli che è un merito, non un demerito. I diroccati ambienti post-apocalittici in cui ci troviamo a vagare sono abbastanza standard nel loro essere “normali” ma, come dicevamo, sono anche straordinariamente caratterizzati nella realtà (decaduta) che vogliono rappresentare: basti guardare le suppellettili d’epoca, lo stile dei cartelli, i materiali da costruzione, la disposizione di merci e arredamento nelle case e nei negozi. Tutto molto credibile e storicamente accurato, oltre che verosimile e dallo straordinario colpo d’occhio, arricchito poi nei punti in cui il “Cambiamento” ha creato delle bizzarre anomalie da rimettere a posto. Al di là della ottima colonna sonora del gioco, curata da Arkadiusz Reikowski e ricca di sonorità synthwave piazzate “nei punti giusti”, c’è poi da parlare degli oggetti in ambientazione: c’è poca possibilità di distruzione ambientale (si possono distruggere solo gli elementi preposti, come alcune porte) ma c’è una buona interattività, anche con elementi che non possono essere manipolati ma sono attivamente parte del contesto (un manichino che proietta una certa ombra da attenzionare, ad esempio) e inoltre la fisica degli oggetti fluttuanti è eccezionale. Si tratta di qualcosa di assolutamente accessorio: eppure gli oggetti erano raggiungibili e tangibili, e andando a toccarli o sbatterci contro, questi volavano via in maniera incredibilmente realistica.


Cronos The New Dawn è una nuova IP dal sapore inizialmente familiare, ma che poco alla volta rilascia sensazioni nuove, inaspettate e… tutte da gustare. Il gameplay è funzionale al contesto e soddisfa chiunque voglia il giusto livello di sfida, con qualche piccola chicca da scoprire man mano. Il comparto tecnico è solidissimo, con una notevole ricercatezza grafica all’interno di una ricostruzione scenica di pregio e un sound design che agisce in modo intelligente a contribuire all’esperienza. Molto buono, inoltre, il contesto narrativo che si dispiega poco a poco, prendendo a piene mani dalla fantascienza “importante”, quella che si interroga sul ruolo dell’umanità e sul suo impatto nella Storia. Non un titolo per tutti, beninteso: è compassato, roccioso, ostico e richiede un certo tipo di approccio. Chi ama i survival, cerca una sfida inquietante ed è pronto a mettersi in discussione (sia ludicamente che filosoficamente) troverà pane per i propri denti.