Dishonored: la recensione di VMAG

Un titolo pesante, Dishonored. Abituati a interpretare la parte dell’eroe senza macchia e senza paura (e senza cervello), anche soltanto il nome del nuovo gioco di Harvey Smith faceva già sperare in qualcosa di diverso dal solito. A dire il vero, i primi momenti di Dishonored hanno poco dell’originalità di quello che è probabilmente l’unico game designer mainstream ad aver fatto critica sociale in un videogioco mainstream (ricordate Blacksite: Area 51?).

Dishonored è in prima battuta il bignami di tutto quello che è andato di moda negli ultimi anni. Abbiamo lo steampunk, i poteri alla BioShock, lo skill tree alla Deus Ex: Human Revolution. Diamine, ci sono persino gli zombi. Eppure, diventa presto chiaro che, sotto la maschera, Dishonored nasconde un’anima possente, che poco ha a che fare con la filosofia del gioco for dummies, incanalato su binari talmente stretti da far sembrare superflua la presenza di un pad in mano. Dishonored ci riporta invece al passato dorato delle avventure alla Thief, dove a contare non era soltanto la potenza di fuoco, ma anche e soprattutto la testa.

Ma, allo stesso tempo, possiamo anche decidere di dimenticare del tutto di essere un arguto assassino e semplicemente dare sfogo alle nostre manie distruttive. Ed è proprio questo il punto: possiamo scegliere. Dishonored è strutturato in una serie di missioni, a cui si accede partendo da un hub principale. Il level design prevede che ognuna di esse possa essere approcciata in maniera completamente diversa, a seconda delle proprie inclinazioni. Il passo del gioco è inevitabilmente legato a doppio filo con le scelte che effettuerete nella scheda dei Poteri, che a loro volta possono essere sbloccati raccogliendo le Rune, ben nascoste all’interno dei livelli. I Poteri sono molto diversificati tra di loro e, all’atto pratico, decreteranno che tipo di guerriero volete essere.

Il gioco è ben bilanciato nell’offrire a basso prezzo abilità legate al combattimento, che vi permetteranno di proseguire senza problemi nell’avventura principale, ma c’è ampio margine anche per i maniaci del completismo. Potrete infatti decidere di adottare abilità esplorative più sottili, come la possibilità di possedere piccoli animali ed esseri umani, e andare così a infilarvi in tutti i più reconditi anfratti dei livelli. Livelli che, a loro volta, si espandono non soltanto orizzontalmente, ma soprattutto in verticale e in profondità, e contengono al loro interno tutta una serie di ramificazioni e strade alternative per arrivare alla meta finale.

Il gioco è bilanciato in modo tale che ottenere tutti i potenziamenti è molto difficile, per cui diventare i power player della situazione è un’opzione che difficilmente potete considerare. Il bello, però, è come i poteri si possono combinare tra di loro: chi scrive ha particolarmente apprezzato Traslazione, sorta di teletrasporto che, unito alla possibilità di rallentare il tempo, diventa praticamente la chiave per muoversi da un punto all’altro della mappa senza essere neanche visti dai nemici.

Ma, volendo, si sarebbe anche potuta unire una delle due a un attacco corpo a corpo, e trasformarsi così in un letale e imprendibile assassino. Queste sono soltanto alcune delle combinazioni che è possibile ottenere in Dishonored, che molto saggiamente richiede al giocatore di specializzarsi per diventare davvero letale (le Rune sono presenti difatti in quantità molto limitata), arginando così la possibilità di  ottenere tutti i poteri e “rompere il gioco”.

Dishonored ci riporta al passato dorato delle avventure alla Thief, dove a contare non era soltanto la potenza di fuoco, ma anche e soprattutto la testa

Narrativamente parlando, a Dishonored piace vincere facile, muovendosi su linee molto simili a quelle di BioShock. Le ambientazioni retrò, si sa, non hanno difficoltà a fare breccia nel cuore di noi giocatori, anche se la distopia steampunk (o forse dovremmo dire oilpunk, essendo l’economia basata sull’olio di balena) di Arkane Studios ha una marcia in più nel suo dipingere un mondo cupo e deprimente che, oseremmo dire, presenta non poche inquietanti risonanze con il nostro. Dunwall, città caduta vittima di una terribile peste, è dominata dagli intrighi di corte, dai teocrati dissoluti e dai politici corrotti, che opprimono la povera gente adottando come scusa la loro sicurezza. Come capolavori del passato quale Thief, quello di Dishonored è un immaginario di grande fascino.

Peccato, però, che allo stesso tempo sia proprio questa sensibilità un po’ vecchia scuola a impedirci di saperne di più. C’è fascino da vendere nella mitologia del gioco e momenti di grande impatto come le apparizioni dell’Esterno, entità ambigua e amorale di un’altra dimensione il cui mistero fungerà da potente traino dell’avventura. Insomma, la carne al fuoco è tanta, ma proprio per questo ci chiediamo se esiste ancora qualcuno nel 2012 disposto ad andarsi a leggere i documenti sparsi per i livelli per saperne di più. Siamo sicuri che qualcuno c’è, ma non siamo certo noi, che invece non avremmo disdegnato qualche cutscene in più o ancor meglio la possibilità di conoscere Dunwall anche quando non necessariamente impegnati nell’azione. Al di là di tutto, Dishonored è un gioco sincero, free roaming “a metà” ma molto più credibile di tanti che si spacciano tali, e noi non possiamo che premiare chi ha ancora il coraggio di farci giocare per davvero.