Spider-Man: Edge of Time: la recensione di VMAG

C’erano riusciti. dopo anni di ten-tativi andati miseramente a vuoto, quei mattacchioni di Beenox avevano fatto di Shattered dimensions (2010) uno dei migliori titoli di Spider-Man di sempre, il che lasciava presagire un futuro alquanto roseo per il franchise. Ma con un “suicide dive” degno del miglior Sabu, gli stessi artefici di quel mezzo miracolo hanno finito per vanificare gran parte dei traguardi raggiunti, catapultando nuovamente l’Arrampicamuri nel limbo dei tie-in di basso profilo. Piuttosto che delinearsi sotto il profilo tecnico, dove il medesimo engine sfrut-tato da Shattered  dimensions continua a fare un lavoro più che onorevole, gli estremi dell’inatteso retrofront tendono a manifestarsi in un concept di gioco inspiegabilmente impoverito rispetto a quest’ultimo. Stipando in soffitta ogni riferimento al seducente Spider-Man Noir e al grintoso ultimate Spider-Man, gli sviluppatori hanno infatti scelto di concentrare l’intero gioco sui soli Classic Spider-Man e Spider-Man 2099, sacrificando così sezioni stealth e soluzioni dinamiche alternative in virtù di una blanda storyline che vedrà i suddetti protagonisti sviscerarla su binari paralleli.

Poco ispirato e ancor meno pregno di validi riferimenti alla rispettive collane cartacee, il plot rivela in effetti connotati tanto pretestuosi, da spingere il giocatore a supporre che il tutto sia stato frettolosamente assemblato solo per riciclare alla buona sequenze di gioco scartate in precedenza, e lo stesso alternarsi delle due versioni di Spider-Man appare talvolta forzato, con conseguenze ovvie sul fattore di coinvolgimento. In pratica, si ha l’impressione di procedere per inerzia, senza godere di alcun incentivo concreto al proseguimento dell’avventura, la quale terminerà per giunta con vistoso anticipo rispetto alla tabella di marcia.

A complicare ulteriormente la posizione di Edge of Time subentra inoltre un vistoso appiattimento del design che, orfano sia delle tonalità seppia proprie della sfera Noir, sia dell’accennato cel-shading di foggia ultimate, che degli stessi panorami “seventies” caratterizzanti la saga classica, resta purtroppo confinato ai gelidi scenari futuribili del ciclo 2099 o alla generica ricostruzione di anonimi edifici contemporanei. Vessato infine da un sistema di combattimento ripetitivo, annacquato da sezioni platform tutt’altro che ispirate, Edge of Time trova dunque le sue uniche ragioni d’essere nelle mere prestazioni tecniche del suo engine, nell’efficacia di alcune scene d’intermezzo e nel parallelo supporto di svariate sub-quest volte a garantire un certo coefficiente di rigiocabilità. Per il resto, si tratta di un passo indietro che proprio non ci voleva.

Attivamente Impegnato nel settore editoriale dal 2003, ha scritto per le più note riviste videoludiche italiane, concentrandosi spesso nell'area Retrogaming. Dopo aver pubblicato il saggio Storia delle Avventure Grafiche: l’Eredità Sierra, svolge ruolo di docente presso l’Università degli Studi Link Campus di Roma in collaborazione con la Vigamus Academy rivestendo, in parallelo, la carica di Vice Direttore del mensile multipiattaforma V.