Blades of Fire Speciale: l’eredità del cuore di un fabbro

Come una fenice che risorge dalle ceneri, lo studio iberico MercurySteam ha da sempre dimostrato una spiccata propensione a rivitalizzare vecchi brand, plasmandoli a propria immagine e somiglianza per restituirgli un vigore inaspettato. Dai successi di Castlevania Lords of Shadow, una reinvenzione dell’iconica saga vampiresca che ha saputo fondere azione spettacolare e narrativa accattivante, fino al coraggioso rilancio di Metroid in chiave moderna, il team spagnolo si è guadagnato una reputazione solida, fatta di competenza tecnica e una visione artistica ben definita. Tuttavia, per un artista, la vera prova arriva quando si decide di abbandonare i lidi sicuri di un franchise preesistente per avventurarsi nel mare aperto di un’opera completamente originale. Con Blades of Fire, MercurySteam accetta questa sfida, cercando di distillare la propria esperienza in un’epopea fantasy che promette di mescolare sapientemente meccaniche rodate con intuizioni personali, in un connubio che aspira a diventare un nuovo punto di riferimento per il genere action-adventure. L’attesa è stata palpabile, alimentata dalla promessa di un titolo che non si limita a omaggiare i giganti del passato, ma cerca di distinguersi, forgiando una propria personalità nel crogiolo del rinnovamento. Il risultato è un’opera dal fascino innegabile, ma che, come l’acciaio imperfetto, mostra tanto una tempra eccezionale quanto alcune innegabili fragilità.

Blades of Fire
Abbattere i nemici con un attacco potente riduce notevolmente la resistenza dell’arma, ma ci consente di raccogliere molti più materiali

Blades of Fire: ferro, sangue e vendetta

Il comparto narrativo di Blades of Fire si dipana in un mondo che ha visto il proprio splendore spegnersi sotto l’ombra di un’antica maledizione. In un’epoca lontana, esseri titanici noti come i Forgiatori regnavano incontrastati, maestri di una tecnologia misteriosa e avanzata. Dopo un conflitto catastrofico che ne ha segnato l’estinzione, hanno lasciato in eredità agli umani un segreto millenario: l’arte dell’acciaio. Oggi, quel mondo è dominato dalla tirannica Regina Nerea, una figura enigmatica legata a un passato tragico. In un gesto di suprema crudeltà, ha lanciato un sortilegio che trasforma in pietra le armi dei suoi nemici, annichilendo ogni speranza di ribellione. È in un simile scenario che facciamo la conoscenza di Aran de Lira, un fabbro dal passato tormentato, che stringe un legame profondo con il giovane Adso, figlio del suo migliore amico defunto. Spinto dalla sete di vendetta e dalla necessità di proteggere Adso, Aran scopre un leggendario martello lasciato dai Forgiatori, l’unica arma in grado di resistere alla maledizione. Inizia così un lungo e periglioso viaggio, che vede la coppia avventurarsi attraverso terre desolate e regni dimenticati, in cerca di un modo per affrontare e sconfiggere la Regina. La trama, pur partendo da presupposti classici del genere, riesce a costruire un’atmosfera di mistero e dramma che si intensifica progressivamente. Sebbene le prime fasi possano risultare un po’ lente nel dispiegare il loro potenziale, la narrazione si arricchisce di dettagli, e il legame tra Aran e la Regina si rivela essere una rete complessa di sentimenti e tradimenti, conferendo una profondità inaspettata all’intero racconto.

L’esplorazione e la costruzione del mondo giocano un ruolo fondamentale nell’esperienza complessiva, distinguendosi come uno degli aspetti più riusciti del titolo. Il mondo di gioco è vasto, interconnesso e non si risparmia nel nascondere segreti e percorsi alternativi dietro ogni angolo. A differenza di molti titoli moderni che guidano il giocatore con frecce luminose e indicatori invasivi, Blades of Fire adotta un approccio più “old school”: dopo aver recepito un obiettivo generale e qualche indizio, spetta al giocatore il compito di dover interpretare l’ambiente circostante per orientarsi e scoprire la strada giusta. Questa scelta di design, coraggiosa e stimolante, restituisce al senso di avventura la sua più intima essenza, trasformando ogni nuova scoperta in una vera e propria conquista. Il mondo di gioco, inoltre, è popolato da personaggi unici che, pur confinati in singole regioni e non contribuendo in modo diretto alla trama principale, arricchiscono il lore e offrono spunti narrativi interessanti. Adso, il giovane compagno di Aran, si rivela un prezioso alleato non solo in termini di trama, ma anche come strumento di gioco, creando un compendio di nemici e informazioni regionali che si aggiorna costantemente, offrendo al giocatore un supporto prezioso senza rompere l’immersione. Un tale riguardo per i dettagli, e la cura nella realizzazione di un mondo che percepiamo come vivo e fremente, invitano a perdersi per ore tra i suoi meandri, alla ricerca di ogni singolo collezionabile o segreto nascosto.

Il level design delle zone esplorabili si complica molto in fretta, ed è facile perdersi se non prestiamo attenzione a dove stiamo andando

La forgiatura del successo e la lama del fallimento

Nel corso delle anteprime che hanno preceduto il rilascio vero e proprio, gli sviluppatori non hanno mai fatto segreto di tenere in grande considerazione le meccaniche ludiche di Blades of Fire che, come una spada a doppio taglio, regalano sia momenti di grande appagamento che scampoli di purissima frustrazione. Il sistema di combattimento è un’idea intrigante, che si allontana dai classici schemi di controllo dei giochi di ruolo in terza persona per offrire qualcosa di più intenso e strategico. Ogni attacco è mappato su un tasto facciale del controller e permette di colpire una specifica parte del corpo del nemico, sfruttando i tre tipi di danno disponibili: contundente, perforante e da taglio. Ciascuno degli avversari che affronteremo possiede debolezze specifiche nei confronti di una o più di queste tipologie, oltre che a determinate parti del corpo, segnalate da una sagoma colorata. È un approccio che costringe il giocatore a studiare i nemici e ad adattare la propria strategia, rendendo gli scontri, specialmente quelli contro i boss, delle vere e proprie danze mortali reminiscenti di Severance Blade of Darkness, un hack and slash del 2001 al quale hanno lavorato gli stessi fondatori di MercurySteam, che in molti considerano quasi un precursore dei successivi soulslike. Purtroppo, la sua esecuzione è tutt’altro che perfetta: il protagonista, Aran, sembra essere particolarmente suscettibile agli stordimenti, e trovarsi circondati da più nemici si traduce quasi sempre in una morte rapida e inevitabile. Gli avversari, inoltre, tendono a ostentare una resistenza inusitata, diventando delle vere e proprie “spugne da danno” che richiedono un numero spropositato di colpi per essere sconfitti, e trasformando alcuni combattimenti in una tediosa guerra di logoramento. L’aggiunta di una barra della stamina e della necessità di recuperare l’arma dopo la morte, tipiche del genere soulslike, appesantiscono un sistema già di per sé impegnativo, rendendolo a tratti più deprimente che gratificante.

A bilanciare le imperfezioni del combat system, troviamo una dinamica di progressione e personalizzazione che si rivela essere il vero fiore all’occhiello del gioco: il sistema di forgiatura. In Blades of Fire non ci sono livelli né alberi delle abilità; la crescita del personaggio è interamente legata all’equipaggiamento. Il giocatore deve raccogliere materiali preziosi, che vanno dai metalli rari alle ossa di antiche creature, per forgiare nuove armi e armature. Il sistema di crafting è incredibilmente profondo, consentendo di personalizzare ogni aspetto dell’arma, dalla dimensione alla tipologia di danno, fino alla sua forma e al peso. La possibilità di forgiare ciò che vogliamo consente di creare l’arma perfetta per ogni situazione, adattandola alle debolezze dei vari nemici, come un martello pesante per gli avversari corazzati o una lancia leggera e affilata per quelli più agili. L’atto di tornare all’incudine per riparare e migliorare il proprio equipaggiamento diventa un rituale catartico, un momento di pausa e pianificazione prima di tornare a combattere. Sebbene il processo di raccolta dei materiali possa a volte trasformarsi in un “grind” ripetitivo, il senso di crescita che ne deriva è estremamente appagante e crea un ciclo di gioco avvincente e gratificante, che ci spinge a esplorare ogni angolo del mondo alla ricerca del materiale perfetto per la nostra prossima, entusiasmante creazione.

Blades of Fire
L’obiettivo di ogni forgiatura è quello di far assumere al semilavorato la forma più simile possibile a quella dell’arma che vogliamo creare

Blades of Fire: l’estetica dell’acciaio

Dal punto di vista visivo, Blades of Fire si distingue per una direzione artistica solida e una cura per i dettagli che, seppur con qualche incertezza, riesce a immergere il giocatore in un’atmosfera coerente e suggestiva. Gli ambienti sono eterogenei e ricchi di atmosfera, passando da foreste tetre e paludose a rovine imponenti e città decadenti. La palette di colori scuri e l’uso sapiente dell’illuminazione contribuiscono a riprodurre un’ambientazione dark fantasy convincente, che evoca un senso di disperazione e grandiosità perduta al tempo stesso. Tuttavia, la modellazione dei personaggi, in particolare, mostra qualche incertezza, con un aspetto a tratti un po’ “plasticoso” e meno dettagliato rispetto agli scenari. Anche il design dei nemici, pur essendo vario, tende a rientrare in canoni piuttosto generici, mancando di quel guizzo di creatività di cui un titolo di questo calibro avrebbe beneficiato. Tolti questi piccoli nei, il gioco riesce comunque a mantenere una coerenza estetica notevole che, unita a un’ottima stabilità tecnica su piattaforme come la PS5 Pro, garantisce un’esperienza fluida e visivamente piacevole, priva di cali di frame rate che potrebbero compromettere la fluidità dei combattimenti.

Il comparto audio è, come l’estetica, un misto di luci e ombre. I rumori ambientali e gli effetti sonori delle armi sono eccezionali: ogni colpo di spada, ogni impatto del martello e ogni clangore metallico risuona con un peso e una forza che conferiscono un tangibile realismo agli scontri. È un lato produttivo che MercurySteam ha sempre curato con grande attenzione, e anche in Blades of Fire la tradizione viene rispettata, con un’esperienza sonora che amplifica l’impatto di ogni azione. Purtroppo, la colonna sonora non si rivela all’altezza poiché, pur non essendo del tutto manchevoli, le musiche tendono a essere piuttosto anonime, perdendosi non di rado nel rumore degli scontri e nel silenzio delle ambientazioni. Una selezione di tracce più solenni e memorabili avrebbe giovato incredibilmente all’avventura, se fossero state in grado di sottolineare i momenti salienti della narrazione e le battaglie più importanti. Ulteriore nota stonata è il doppiaggio, che nel corso delle battute iniziali appare un po’ legnoso e poco ispirato, sebbene migliori notevolmente per i personaggi principali man mano che la storia procede, offrendo delle interpretazioni più convincenti rispetto ai loro esordi.

Un taglio dal sapore agrodolce

Blades of Fire si distingue anche per una ragguardevole longevità: con una durata che supera le 60 ore per vivere un’esperienza completa, il titolo include un’enorme quantità di contenuti e una vastità di esplorazione che lo rende una proposta di grande valore per gli amanti dei giochi che richiedono un investimento di tempo significativo. La sensazione di trovarsi alle prese con un’avventura epica, duratura e ricca di sfide, è palpabile in ogni fase del gioco. Il suo fascino risiede anche in una certa “ingenuità” che riporta alla mente i giochi di fascia media di un decennio fa, un’epoca in cui le ambizioni superavano a volte le risorse, ma che compensavano con una forte identità e un tocco personale indimenticabile. A dispetto delle critiche che possono essere mosse al suo combat system, il gioco riesce a tracciare una sua singolarità, un carattere che riesce a farlo spiccare dalla massa. È un’esperienza che va oltre la semplice somma dei suoi pro e contro, e dunque onore al merito va reso a MercurySteam per aver confezionato un’avventura che, per quanto imperfetta, si è rivelata capace di catturare e tenere incollato il giocatore grazie a un ciclo di gioco avvincente e al suo mondo affascinante e ricco di sorprese.


Blades of Fire è un’avventura d’azione ambiziosa e longeva che viene definita dal suo profondo sistema di forgiatura e l’approccio esplorativo appagante. Il mondo di gioco è vasto e affascinante, ma le battaglie, sebbene strategicamente interessanti, trasmettono spesso un senso eccessivo di frustrazione e macchinosità. Pur ostentando alcuni difetti nella direzione artistica e nel sonoro, il titolo offre un’esperienza solida e coerente, destinata a un pubblico che apprezza la sfida, la perseveranza e la personalizzazione dell’equipaggiamento, e che è disposto a perdonare qualche imperfezione in cambio di un’avventura ricca e coinvolgente. È un gioco che non raggiunge le vette dei capolavori che lo hanno ispirato, ma che riesce a farsi apprezzare per il coraggio dimostrato e un temperamento invidiabile.


Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.