La monovisione rappresenta una possibile soluzione per la VR

Gli antichi sistemi che decenni fa cercavano di creare la realtà virtuale si sono impegnati sul serio per riuscirci, ma i risultati furono piuttosto deludenti. Si è quindi pensato di dover aspettare ancora molto tempo prima di poterne tornare a parlare, e abbiamo preferito rimanere attaccati al nostro caro vecchio schermo 2D. Adesso, invece, la realtà virtuale è una cosa possibile; certo siamo ancora lontani dal creare qualcosa che ci faccia effettivamente vivere in un universo digitale assolutamente fedele all’originale, ma stiamo muovendo i nostri passi velocemente in quella direzione. Si è parlato molto di prestazioni, risoluzioni, FPS, peso, praticità, risposta agli input, ma abbiamo sempre sottovalutato uno degli aspetti più importanti. Gli occhi sono le finestre dell’anima, disse una volta un uomo molto saggio, ma nel 2016 sono diventati anche il portale per trasportarci nella realtà virtuale. Uno dei motivi per cui facciamo fatica a tenere addosso un visore per svariate ore risiede proprio nell’affaticamento delle nostre preziose finestre: le lenti e gli schermi utilizzati dai visori non sono infatti molto delicati con loro, li obbligano a fare sforzi che, nel giro di poco tempo, possono provocare fastidio, giramenti di testa e stordimento. Sembra, quindi, che le lenti lavorino contro di noi piuttosto che con noi, soprattutto quando gli oggetti vengono simulati molto vicini ai nostri occhi. Sono state analizzate alcune soluzioni, e dopo vari esperimenti, ecco che arrivano i primi risultati. Dietro questa ricerca troviamo gli ingegneri elettrici Robert Konrad e Gordon Wetzstein, della Stanford University, e la ricercatrice nel campo della percezione Emily Cooper, della Dartmouth University, che, unendo le loro teste, sono giunti ad alcune interessanti conclusioni.

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Per i loro esperimenti è stato utilizzato un visore Oculus Rift modificato su cui sono state installate due, montature realizzate con una stampante 3D, su cui sono state applicate due lenti regolabili Optotune EL-10-30.

Il discorso da qui si farà un pò complesso, sarà bene che abbiate almeno una infarinatura su quello che tratteremo a breve. Come funziona il globo oculare? Quando un oggetto entra nel nostro campo visivo, l’occhio deve compiere una serie di azioni: la convergenza e la divergenza sono rispettivamente il convergere nello stesso punti gli occhi quando un oggetto è molto vicino, che è quello che facciamo quando cerchiamo di guardare la punta del nostro naso, mentre la divergenza è l’esatto opposto: se l’oggetto è lontano, gli occhi divergono. Se gli occhi non convergono correttamente, avremo un’immagine doppia. L’accomodazione invece è l’azione che compie il cristallino per regolare la quantità di luce che riceviamo così da permettere la messa a fuoco, evitando che l’immagine venga sfocata. Questi due processi, di norma, avvengono contemporaneamente e si regolano in base alla medesima distanza, ed infatti, nel mondo reale, non proviamo la stessa fatica di cui siamo vittima quando invece utilizziamo un visore per qualche ora, poichè quest’ultimo sembra interferire con la sincronizzazione dei due eventi.

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Guardando bene, noteremo che le due immagini sui due schermi dei visori non sono perfettamente sovrapponibili, ma hanno una prospettiva leggermente diversa per permettere di simulare il senso di profondità.

All’interno del visore abbiamo due schermi stereoscopici che mostrano due immagini leggermente sfalsate, che vengono poi sovrapposte dalle lenti dello stesso, e più sono sfalsate, più vicino ci sembrerà l’oggetto rappresentato. Questo significa che il nostro occhio accomoda la luce alla distanza dei due schermi ma converge invece ad una distanza differente. Il fatto che i due processi avvengano, nella normalità, contemporaneamente e alla stessa distanza non significa che il nostro occhio non riesca a sopportare il fatto che si svolgano in maniera anomala, ma non farà i salti di gioia e starà al gioco solo per un tempo limitato prima di iniziare a lamentarsi. Il problema risiede quindi nel fatto che l’immagine fornita dal visore forza il nostro occhio a rimanere fisso sempre sullo stesso punto focale mentre nel mondo reale, invece, l’occhio cattura più prospettive della stessa immagine e le combina per ottenere una scena con le sue profondità e allo stesso tempo ci dà la possibilità di cambiare punto focale liberamente. Gli effetti a lungo termine di questo disagio oculare non sono noti, potrebbero essere estremamente dannoso come assolutamente ininfluente. Quali sono quindi le soluzioni possibili per ovviare al problema?

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Il grafico parla chiaro: le soluzioni superiori a quella adottata dagli attuali HMD sono numerose, bisogna fare qualche passo avanti anche per quanto riguardo l’adattabilità alla fisionomia oculare umana dei visori.

Le analisi si sono basate su cinque sistemi: quello standard del visore, le lenti DOF, quelle a focus regolabile, una combinazione di regolabile e DOF e le lenti monovisione. I risultati dimostrano che le lenti a focus regolabile sono la soluzione migliore, poichè si avvicinano molto al modo in cui funziona naturalmente l’occhio: esse sono composte da due strati di polimeri, che contengono al loro interno un liquido ottico, le quali si piegano e si deformano, invece di allontanarsi ed avvicinarsi, per regolare la messa a fuoco, in maniera molto simile a quello che fa il nostro occhio, ottenendo un risultato più naturale: quando un oggetto è vicino, le lenti vengono aggiustate dal sistema per far sì che l’occhio debba mettere a fuoco l’oggetto vicino, stessa cosa quando l’oggetto è lontano. Ma la sorpresa più grande è che il sistema standard del visore è risultato essere il peggiore in assoluto, e persino la monovisione, tecnica inventata nel 1800 col monocolo, risulta esserle superiore! Tale sistema consiste nello sfruttare due lenti di gradazione leggermente diversa per ogni occhio, ed è una soluzione praticata tutt’oggi per chi soffre di presbiopia.

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Ecco una semplice applicazione della monovisione: un cardboard su cui sono state applicate due lenti con una messa a fuoco leggermente diversa.

Ciascuno di noi ha un occhio dominante, ed è quello che utilizziamo più facilmente per guardare lontano, mentre l’altro lo sfruttiamo al meglio per osservare da vicino. Questa tecnica mira a rendere l’occhio non dominante leggermente miope, facendo sì che i due occhi abbiamo una messa a fuoco a distanze diverse e, col tempo, il cervello imparerà a scartare le immagini sfocate a qualsiasi distanza, utilizzando soltanto quelle messe a fuoco in maniera ottimale da uno solo dei due occhi. La soluzione descritta prima risulta comunque preferibile ma… indovinato: è più costosa! La monovisione, quindi, è una soluzione a basso costo, adatta a visori più economici quali il Carboard o la controparte plastificata, mentre le lenti liquide a focus regolabile possono essere adottate per quelli più potenti. La ricerca per ottenere sistemi oculari che garantiscano comfort e il minor sforzo possibile per i nostri occhi è di importanza fondamentale, e direttamente dall’epoca vittoriana, abbiamo ricevuto una possibile soluzione economica e di semplice realizzazione. Voglio dire, stiamo pur sempre disobbedendo a nostra madre, che ci avrà detto milioni di volte non stare troppo vicino allo schermo: almeno permetteteci di farlo senza che ci caschino gli occhi!