Acquisti e videogiochi ai tempi del Coronavirus – sono un collezionista, ma voglio smettere

“No, io sono un collezionista, sono vecchio stampo, ho iniziato conservando nel cellophane le custodie di carta del Nes, non posso mica fermarmi ora, devo averli fisici i videogiochi”. La frase tipica che in molti sono soliti dire quando, candidamente, si propone loro di passare al digitale. Una frase che conosco bene, dato che l’ho pronunciata chissà quante volte durante la mia carriera da videogiocatore. Ho accumulato centinaia di copie fisiche, prese a discapito del costo superiore al digitale, della mancanza di spazio. Del fatto che la produzione delle copie fisiche sia parecchio inquinante, e contrasti però con la necessità che abbiamo tutti oggi di essere un po’ più attenti all’ambiente. L’ho fatto per abitudine, per paura del cambiamento, perché “eh, ma pagare per avere niente in mano mi pare eccessivo, con la copia fisica compri e hai qualcosa da toccare”. L’ho fatto, e forse non smetterò di farlo in questi casi specifici, per le edizioni da collezione. L’ho fatto per ignoranza, per mancanza di informazioni su cosa, all’effettivo, cambiasse davvero fra avere un disco da far girare dentro alla console, o una manciata di file installati nel mio hard disk. L’ho fatto, e ora un po’ me ne pento. O meglio, me ne vorrei pentire. Il problema, è che sento di esserne assuefatto, e di non riuscire a smettere davvero.

Ciao, sono Lorenzo Mango, e sono un collezionista di copie fisiche. Ma voglio smettere.

Questo Guinnes World record sì che ha capito come usare la propria collezione.

Acquisti e videogiochi ai tempi del Coronavirus, una scelta etica

Cosa stia accadendo nel mondo ormai penso lo sappiano tutti, se non altro perché la cosa li ha costretti a stare in casa. Niente corsette al parco, niente uscite con amici, niente cinema. E niente centri commerciali. Posti di fronte all’ineluttabilità Thanosiana del vedersi disintegrare davanti agli occhi tutti i luoghi dove, con più semplicità, ci si riforniva di copie fisiche, i collezionisti vedono sparire anche allo stesso modo ogni formula di “ritiro in negozio” per prenotazioni effettuate online. Uno “snap” di Conte, e tutti a casa. A riflettere osservando le proprie stanze, piene zeppe di… cose. Inutile dire che Amazon sia stato di conseguenza preso d’assalto, nella speranza, vana e temporanea, che potesse reggere un afflusso di richieste tanto gonfiato. Il tempo ha parlato, e Amazon pure: chiudendo i battenti per ordini di qualunque bene che non fosse di prima necessità, al di fuori di quelli già presenti nei magazzini fino al 5 aprile. Esempio: Tommaso ordina la sua copia di Animal Crossing: New Horizons da Amazon oggi, Marco l’ha prenotata il mese scorso, Mirco due mesi fa. Tina ha preferito Gamestop (saggia Tina in questo caso). Poniamo il caso che siano rimaste solo due copie di Animal Crossing nei magazzini di Amazon: chi sarà a riceverle? Ovviamente, Mirco e Marco, che le hanno prenotate prima. Almeno in teoria. Nella pratica, le cose possono farsi più randomiche, e nel caos generato dagli ordini affluiti in massa di questi giorni, può anche darsi che Tommaso sia fortunato. Di certo, solo due persone avranno la loro copia. E l’altra dovrà attendere il 5 aprile, quando, in teoria, Amazon riaprirà gli ordini per rifornire i magazzini. Tina, probabilmente, sono già tre giorni che gioca ad Animal Crossing. Alla faccia nostra per giunta, condividendo screen su Facebook scattati male col cellulare. Questo perché Gamestop opera sul territorio nazionale con metodologie diverse, magazzini più flessibili e con scambi di merci fra negozi e grossisti più semplici. E poi, vende solo un tipo di prodotto, il che aiuta a non rimanerne a secco.

La scelta di Amazon non va però elevata a esempio di bontà: si tratta di una scelta obbligata dalle proteste dei lavoratori, che non avevano ricevuto, pare, dispositivi di sicurezza individuali (mascherine e guanti) e in generale erano stati costretti a turni di lavoro sproporzionati rispetto alle loro normali mansioni precedenti il contagio. Il tutto, per consegnare, spesso, oggetti di cui potremmo fare a meno, cioè, non beni di prima necessità. Come cibo e acqua, medicinali. Dadi e bulloni anche pare, visto che le ferramenta possono restare aperte. Ma no, non videogiochi. Vi sento, indignati, vi sento. “Io devo stare chiuso in casa e nemmeno posso giocare ai videogiochi? Ma siamo matti?”. Beh, non è esattamente così. Chi deve ordinare una medicina, o non può uscire a fare la spesa ha una necessità un attimo più stringente, no? E il pane ancora non lo vendono in digitale. Animal Crossing, invece, sì. E costa anche meno della versione fisica, se sapete dove cercare. Siti di key a parte, sullo shop Nintendo con 90€ vi portate a casa due giochi. 45€ a titolo non sono mica male, no? Non fosse per la questione economica, foste come me dei disperati che appena ricevono una copia fisica aprono la scatola e la sniffano (nemmeno fosse intrisa di nicotina), allora fatelo per una ragione etica: per i corrieri, le loro famiglie, gli innumerevoli altri clienti che visiteranno porta, dopo porta, dopo porta. Fatelo perché, dopo tutte quelle porte, si apre anche la vostra. E il virus non chiede “è permesso?”. Ma niente, è più forte di voi. Più forte di me. “Che posso farci, è il loro lavoro, mica l’ho scelto io”. Eh, chiedetevi, anzi chiediamoci, il perché. Perché si incontra brutta gente a fare i corrieri, ve lo dico io. Che nemmeno sono un corriere. A quanto pare, quindi, sono parte della brutta gente.

Una scelta pratica

Imperterriti, continuate a difendere le copie fisiche, sadici che non siete altro. Sono con voi, perché anche io ne ho bisogno. Bisogno di sentire la proprietà, di possedere, piuttosto che gustare, di dominare quella cassetta di gioco come se fosse l’ultima fetta di pizza della domenica sera. Sono con voi, ma non vorrei. Scegliere il digitale rispetto al fisico è anche, oltre a tutta la matassa umana del paragrafo precedente, una scelta pratica. Meno spazio occupato da cassette, cassettine, scatole, imballaggi, dischi e dischetti. Certo, ma non solo. Cataloghi interi direttamente a vostra disposizione sulla memoria SD della Switch, senza il rischio di perderli mentre andate al parco. “Eh, ma tanto ora non si può uscire, come la mettiamo?” mi sussurra il demone del collezionismo “e poi in digitale non fanno le collector’s edition”. Belle le collector’s, bellissime. Ne ho di ogni forma e colore, tutte in ordine sui miei scaffali. A prendere polvere per lo più. Mettiamo che, come per me, far prendere loro polvere vi vada bene, “mi basta vederle”. Come se non esistessero tonnellate e tonnellate di action figure migliori di quelle delle collector’s, come se non sapessimo la verità. Che prima le edizioni limitate avevano le action figure, poi le colonne sonore fisiche, poi digitali, ora un portachiavi, una cartolina e 5 nuovi scudi inutili da mettere sulla schiena del tuo personaggio. A ricordarti per tutta la run quanto hai pagato in più solo per vedere quello scudo blu, anziché verde. E non è un bel vedere, di sicuro. La praticità non vi interessa, non ci interessa più, dannazione. Siamo schiavi del fisico perché ci dona stabilità, ci permette di far finta che valga la pena giocare perché “non è tutto finto”. Spoiler: è tutto finto. Ed è per questo che videogiochiamo, e che ci piace farlo.

Voglio liberarmi di questa sensazione, di questo Stand alla Jojo che mi fluttua intorno, dicendomi “se non la prendi, solo tu non l’avrai, e tutti gli altri sì. Loro saranno più fan di te”. Sindrome da esclusione si chiama, credo, più o meno. Ma il succo è che esiste, e i produttori ci giocano da anni. “L’offerta scade fra tre giorni” dicono ogni tre giorni. “Solo 1000 copie, affrettatevi” scrivono ogni 2000 copie prodotte. E noi ci cadiamo, per sentirci meno soli, parte del “team dei 1000”, che sono in realtà 10.000, un milione, due, tre e chissà quanti altri. Guardo di nuovo la stanza da cui sto scrivendo, soffocante memorandum di quante volte abbia riempito un vuoto psicologico con uno fisico, con un oggetto. Con la custodia di un gioco che nemmeno ho mai aperto, perché ne avevo altre 5 in fila ad aspettare. Ad aspettare che finisse la partita di Hearthstone. Che poi, a ben pensarci, è perfetto per rappresentare come sia in effetti possibile liberarsi del fisico, senza perdere di soddisfazione.“Entra, là fuori si gela!” mi diceva il locandiere in pieno agosto, quando scaricai per la prima volta il titolo anni fa. All’epoca possedevo un mazzo da torneo di praticamente qualunque gioco di carte esistente, dormivo sotto una coperta di Magic, come i barboni. Poi la svolta, ce l’ho fatta, e ho capito che anche se non potevo mischiarle, metterle in cassetti e scatoline, le carte della mia collezione di Hearthstone erano comunque mie, là ad aspettarmi ogni giorno, tutte racchiuse nel mio telefono da 6 pollici. Pratico, tascabile, giuro, non sto cercando di vendervelo. Ma anche lo facessi, la mia collezione resterebbe al sicuro, dentro all’account, al cloud, mio e solo mio. Non come la copia di Pokémon Rubino che ho lasciato dentro al GBA da bambino, e che ho regalato a mio cugino. Vaglielo a spiegare poi, che non era inclusa nell’offerta

Ma forse… alla fine, è una scelta come un’altra. Comprare key in digitale non farà di voi eroi del terzo millennio, così come prendere un gioco da Gamestop in versione fisica non porterà disonore alla vostra famiglia. Una scelta vale l’altra nel grande schema delle cose in cui ognuno è un universo a sé, irraggiungibile. Una piccola isola felice. In cui se non posso legarlo a un palo con una catena non è mio, se non posso circondarlo con un muro non posso difenderlo, e se insulto qualcuno online ho solo scritto su un social, è un mondo digitale: non è mica la realtà. E allora no, non è che non voglio più smettere di essere un collezionista: non posso. Non posso smettere di accumulare scatole su scatole di titoli che giocherò a metà per poi abbandonarli a loro stessi, di pensare che “quando chiuderanno il servizio online perderete tutti i vostri giochi, e allora vedremo”. Che suona come “quando i vostri dischi magnetici si saranno smagnetizzati e non avrete più copie fisiche da giocare vedremo, chi ha fatto una brutta scelta e chi no”. Ben venga pagare abbonamenti per Netflix, Sky, film e serie-tv, ma vade retro Game Pass! I media: prodotti di cui fruire, uno dietro l’altro, come le ciliegie. Finché non viene il mal di pancia, anzi, il mal di testa. Forse è questo il “problema” dei giochi in digitale: anche se sono in streaming, anche se non puoi toccarli davvero, come tutto il resto, non puoi usarli allo stesso modo. Devi concentrarti, impegnarti, seguirli davvero. Devi chiudere Hearthstone, insomma. In definitiva, oh, chi se ne importa. Tanto fiato e parole sprecate per convincere chi non vuole essere convinto, per spiegare a chi pare sapere già tutto. Cioè, a me stesso. Se non ho spazio venderò qualche vecchio gioco per mettere quelli nuovi. O magari lo butto. Tanto sono solo scatole, no?

Ciao, sono Lorenzo Mango, e sono un collezionista di copie fisiche. Purtroppo.