MGSV: più grosso non vuol dire migliore

Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è indiscutibilmente un ottimo titolo, tanto che a destra e a manca i critici di tutto il mondo ne decantano la perfezione, a volte assegnandogli addirittura lo strepitoso punteggio pieno. Di mio sono un grande fan della saga intera e l’ho atteso follemente evitando come la peste i trailer per mettermi nelle condizioni di affrontare l’esperienza con un animo candidamente verginale, ma dopo più di 60 ore affianco ai Diamond Dogs la fatidica domanda ha trovato spazio: si tratta veramente di un bel Metal Gear? Considerando gli episodi precedenti e le peculiarità dei lavori di Kojima, si può davvero considerare una valida evoluzione per la stirpe di Snake? A costo di fare il bastian contrario voglio condividere gli aspetti principali che mi hanno fatto storcere il naso e per i quali dubito MGSV rimarrà nel mio cuore. Ovviamente il tutto è privo di spoiler, state tranquilli.

LA TRAMA E LA NARRAZIONE

“Si parte subito coi calibri forti”, verrebbe da dire se non fosse che la trama in Phantom Pain finisce relegata assolutamente in secondo piano. Dopo Guns of the Patriots – episodio noto per le sue prolisse e infinite esposizioni – non mi sarei mai aspettato di ammetterlo, ma provo una profonda mancanza dell’esperienza cinematografica a cui Hideo Kojima ci aveva abituati. Certo, l’antefatto è strutturato grandiosamente ed è strepitoso, ma dopo le primissime missioni il ritmo cala fino a fermarsi del tutto. La trama è “diluita” in quello che, più che un film, pare un telefilm colmo fino all’orlo di riempitivi scialbi e insipidi nei quali si attesta semplicemente l’esistenza di un nemico già noto dai tempi di Ground Zeroes. Devono passare ore prima che Venom Snake si faccia coinvolgere da un vero obiettivo che trascenda l’attività mercenaria sui campi di battaglia e, anche in quei casi, il vivo dell’azione viene spezzato da terribili cliffhanger appesantiti dalla dicitura “continua”. Al posto di patire il senso di urgenza e drammaticità ci si ritrova sul proprio elicottero, liberi di poter scegliere di ritornare alla storia o farsi una pausa per surfare nelle scatole di cartone tra le dune di sabbia; a prescindere dalla decisione, comunque, il sentimento di immersione viene completamente a mancare nel momento in cui il sistema di gioco ti preleva a forza da una situazione di pericolo e ti rigenera tranquillamente su un elicottero per ascoltare musica anni ’80 in compagnia di un accaldato cane-lupo. Phantom Pain fatica a reggere il confronto coi suoi predecessori anche per quanto riguarda i contenuti: abituati a rivelazioni stravolgenti e colpi di scena inaspettati, non si può che essere delusi dal tiepido intreccio che funge più da revival di vecchi amici dimenticati che da tassello di un disegno più vasto. Non sorprende che molti fan siano rimasti con l’amaro in bocca al punto di ipotizzare che interi atti narrativi siano stati abbandonati in favore di una celere pubblicazione.

"You can't hide. Run with the dogs tonight in suburbia" - "Venom" Snake
“You can’t hide. Run with the dogs tonight in suburbia” – “Venom” Snake

IL SANDBOX

Ho sentimenti fortemente contrastanti nei confronti dell’open world. A dirla tutta ho molto apprezzato l’idea di fondo, ma non posso che trovare la realizzazione finale imperfetta e, per certi versi, deludente. Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty è da molti considerato uno dei capitoli più bui della saga a causa di un folle scherzone che il programmatore ha fatto a tutti i suoi seguaci, ma ben ricordo le infinite partite nelle quali frantumavo ogni singolo oggetto distruttibile, seguivo ogni bossolo di proiettile eiettato dalla mia pistola e creavo uomini-porcospino molestando soldati con dosi letali di dardi narcotizzanti. Metal Gear Solid 3: Snake Eater ha portato a sua volta avanti questa morbosa inclinazione ai particolari aggiungendovi animali, alveari, frutta varia e una miriade di altre piccole attenzioni capaci di rendere “vive” le mappe. Phantom Pain si è trovato a dover sacrificare molti di questi arricchimenti per poter gestire mappe più ingombranti che, tuttavia, finiscono con l’essere irrimediabilmente vuote. La sola funzione degli avamposti e dei territori non civilizzati, di fatto, è quella di ospitare l’occasionale missione minore priva di interesse e qualche valigetta delle risorse da spedire alla base, difficile definirli verosimili o coinvolgenti. Decisamente migliori sono le basi, le prigioni e le cittadine più grandi che, di contro, chinano il capo a una crudele equazione: tanto più è elaborata la zona, tanto meno è aperto l’approccio che si può adottare per infiltrarcisi. Mentre nei generici posti di blocco stradali è possibile intervenire in qualsiasi modo (rendendo risibile l’impresa), i punti salienti e più dettagliati vantano un’impronta decisamente più tradizionalista e lineare, facendo risaltare malamente l’eterogeneità della mappa.

Kojima prende spunto da Shadow of the Colossus per gestire la fauna animale, in certi punti.
Kojima prende spunto da Shadow of the Colossus per gestire la fauna animale, in certi punti.

LA MOTHER BASE

Non è la prima volta che un Metal Gear ci mette davanti alla gestione di una Mother Base, ma è importante notare che sia il primo episodio a farlo su una consolle domestica (se non contiamo i porting). Peace Walker, per quanto divertente, era grandemente ostracizzato dalle limitazioni tecniche della PSP; distrarre i videogiocatori con un sistema manageriale opzionale è stato un colpo di genio degno di encomio. MGSV, d’altro canto, non aveva la necessità di ricorrere a questi mezzi per poter occupare la propria utenza. Non solo, ma la Mother Base questa volta risulta quantomai essenziale per poter progredire efficacemente nella storia! Buona parte delle munizioni, degli accessori, dei veicoli sono infatti accessibili esclusivamente se si suddivide egualmente il proprio tempo tra la modalità principale e questo clone bellico di FarmVille che, tra le altre, prosciuga come una spugna i risparmi da mercenario e tutte quelle materie prime abbandonate a caso per il mondo. È un Ouroboros, un serpente che si morde la coda. Ci si guadagna crediti soddisfacendo i requisiti delle missioni e si recuperano risorse da luoghi che non hanno senso di esistere, quindi si perde tutto per poter finanziare un’armatura per il proprio cavallo e si ricomincia da capo questo ossessivo ciclo che, per certi versi, ricorda troppo da vicino il sistema economico italiano. A un certo punto la cosa sfocia in follia e gli scienziati della Ricerca&Sviluppo chiedono budget sempre più assurdi. Che si debba inventare un nuovo lanciamissili o migliorare delle banalissime scatole di cartone, la cifra varia poco, ogni pretesto è buono pur di rallentare la costante progressione del videogiocatore accanito. Dover mantenere una base vuole certamente dire che è necessario dedicare attenzioni anche alla ricerca di personale. Al posto di leggere curriculum e perdere tempo in colloqui conoscitivi, Snake ha l’abitudine di agganciare un pallone auto-gonfiabile alla cintola dei candidati e spedirli nella stratosfera per recuperarli con calma in un secondo momento. Fin qui nulla di male, se non fosse che grandi basi richiedono centinaia di operatori, tramutando quella che sarebbe una meccanica divertente in un’operazione ripetitiva e certosina decisamente abusata.

L'estrazione Fulton è un po' come un ottovolante: divertente la prima volta, ma non vorresti rimanerci bloccato per 44 ore.
L’estrazione Fulton è un po’ come un otto volante: divertente la prima volta, ma non vorresti rimanerci bloccato per 44 ore.

LA RETE

I server Konami… Per giorni sono stati fuori uso a causa della fiumana di fan il cui peso ha fatto crollare il sistema, ma ancora oggi non si può dire che siano in grado di fare il loro lavoro a pieno regime. Capita frequentemente che compaia una notifica pop-up per avvisare di un’improvvisa disconnessione o che rallentamenti irragionevoli rendano impossibile la navigazione del menù iDroid. La cosa non sarebbe tanto grave se il gioco stesso non sottolineasse che “ovviamente” l’essere offline non permette di godere appieno dell’esperienza pensata dalla Konami… cosa per altro non vera. Il gioco è più fluido e la giocabilità non risente affatto dell’essere sconnessi; l’unico espediente che Konami è riuscita a trovare per incentivare i clienti a finire sulla rete (dove ci sono anche i contenuti a pagamento) è stato il “prendere in ostaggio” i combattenti arruolati nella Mother Base, impedendone lo schieramento completo. Volete delegare il tedioso compito di raccolta a più di due squadriglie di bot? Peggio per voi, dovete passare sul server. Questi escamotage diventano ancora più intollerabili se nel far partire il gioco si ricevono le notifiche sui gioiosi eventi riguardanti la sezione minata dalle micro-transazioni invece dei tanto attesi aggiornamenti sull’eventuale patch che dovrebbe sistemare l’orrendo bug distruttore di salvataggi.

L'iDroid funziona perfettamente come mappa e accendino, ma non osate gestire la Mother Base in un giorno no del server.
L’iDroid funziona perfettamente come mappa e accendino, ma non osate gestire la Mother Base in un giorno no del server.

LA FRUSTRAZIONE DI KOJIMA

Konami ha rotto malamente con Hideo Kojima e ha cercato di cancellarne il ricordo, lo sappiamo, ma Kojima ha incassato il colpo veramente male. Mentre in Ground Zeroes la sua presenza era dolce-amara ed elegante, in Phantom Pain la cosa degenera rapidamente dal divertente all’esasperante. Sfruttando la serialità del formato scelto, il malefico sviluppatore ha deciso di creare titoli di testa e di coda per ogni singola missione della storia principale, spammando di fatto il proprio nome e il logo del suo defunto Kojima Productions al pari di un grosso dito medio all’azienda che lo ha cacciato via. A questo vanno aggiunti i manifesti autocelebrativi e le comparsate ingame, una delle quali è talmente pigra che obbliga i gamer a replicare un’avventura già portata a termine sostituendo semplicemente il modello dell’ostaggio da salvare. Va bene essere frustrati, va bene togliersi il sassolino dalla scarpa, ma manca poco che Kojima esca fuori dallo schermo per marchiare a fuoco ogni persona con in mano un controller. Una situazione più estenuante si potrebbe verificare solamente se Kojima decidesse di replicare il film Essere John Malkovich in versione videoludica.

Kojima? Kojima, koji-kojima!
Kojima? Kojima, koji-kojima!

Volendo si potrebbero aggiungere altre osservazioni alla lista, ma credo di aver reso chiaro il punto. Metal Gear Solid V: Phantom Pain non è di certo un videogame indegno, ma non posso che sentirmi in qualche modo tradito e avvilito da un qualcosa così diverso da ciò che amavo. È come se stessi giocando a un Metal Gear che non è un Metal Gear, senza contare quelle grosse parti mancanti nella storia che nella loro non esistenza si fanno sentire dolorosamente come… come… un arto fantasma?! Dannato Kojima, lo hai fatto di nuovo!