Final Fantasy VII Rebirth Recensione: quando le emozioni prendono il sopravvento

Square Enix torna sul luogo del delitto per proporci una nuova versione di uno dei momenti più importanti della sua storia.

Gli artisti non sempre sono consapevoli di star facendo la storia. Il team di sviluppo dell’originale Final Fantasy VII era certo di star lavorando a una delle opere più importanti nel genere e nel curriculum proprio e della software house per cui stavano lavorando, ma non potevano immaginare quanto quel titolo avrebbe scosso il mercato e, soprattutto, generazioni di videogiocatori, che a distanza di trent’anni sono ancora affezionatissimi a quei personaggi, quei luoghi, quelle musiche, quelle storie e tutte le emozioni che hanno suscitato, che rivivono ora in un remake vero e proprio, che attualizza, nel bene e nel male, il gameplay, i temi, la narrazione, i personaggi, inserendo anche nuovi elementi. Tutto opinabile, beninteso, e il compito della critica è proprio quello di offrire punti di vista ragionati in merito, al di là dei sentimenti e dei ricordi, spesso ammantati da patine personali e dal tempo della gioventù passata, che vela verità più oggettive di quanto siamo disposti ad ammettere. Ma è qualcosa di inevitabile quando si parla del secondo capitolo del remake del gioco che contiene una delle scene più scioccanti e importanti della storia del videogioco. Uno degli interrogativi portanti nella community globale dei videogiocatori, negli ultimi anni, è stato proprio come Square Enix avrebbe affrontato la narrazione di quanto, nel gioco originale, avveniva alla fine del primo disco, alla luce anche dei piccoli e grandi cambiamenti che hanno coinvolto Final Fantasy VII Remake. Ebbene, Final Fantasy VII Rebirth ha delle risposte molto interessanti, che forse non saranno convincenti per tutti ma oggettivamente sono coraggiose e sensate. In questa sede non faremo spoiler, ma vi anticipiamo semplicemente che uno dei maggiori pregi di Rebirth sta nella grande sensibilità spesa nei confronti delle sezioni più accorate e sentimentali, rese in modo magistrale e sempre emozionante.

Final Fantasy VII Rebirth
L’intero party protagonista di Final Fantasy VII Rebirth scruta l’orizzonte degli eventi: il “cielo” è un elemento figurativo portante della storia.

Final Fantasy VII Rebirth è una rinascita per tutto il franchise

Un po’ tutti ci aspettavamo, inizialmente, un secondo episodio della trilogia che andava semplicemente a pompare le prestazioni grafiche – non avendo la zavorra delle necessità cross-gen – proponendo transizioni semi-open world, qualche limatura al sistema di combattimento, l’introduzione di nuovi membri nel party e poco altro. Difficile dire se l’accoglienza mista riservata al precedente titolo (più che altro per i severi confronti con l’originale) abbia fatto bene o male alle aspettative generali: in molti si approcciano scoraggiati a questa nuova iterazione, ma sicuramente chi avrà il buon senso di superare le ritrosie un po’ sciocche in cui il fandom si crogiola ormai da quattro anni sarà con tutta probabilità colpito in positivo da questo nuovo episodio, che è tutt’altro che un semplice more of the same.

Appare evidente che il dream team composto da Naoki Hamaguchi, Motomu Toriyama, Tetsuya Nomura e Yoshinori Kitase, scrollatasi di dosso l’ansia per il debutto della prima parte del progetto, hanno potuto procedere con maggior agio in questa riedizione, prendendo il meglio della tradizione e unendolo a quanto esperito con gli ultimi capitoli moderni della saga, nei tre reparti che sicuramente contano in un gioco della serie: quello audiovisivo, quello di gameplay e quello narrativo. Tutti e tre, infine, concorrono a veicolare l’elemento principale e caratterizzante in un Final Fantasy, ovvero l’incantevole atmosfera che cattura i giocatori tramite personaggi carismatici ed emozioni forti. Il risultato non è una semplice evoluzione del primo titolo ma qualcosa di nuovo, più ricco, più vario e più vasto. Nonostante non si possa viaggiare in maniera completamente libera e senza soluzione di continuità neanche verso il finale (ma il tutto è ben regolamentato e sensato anche dal punto di vista narrativo), si ha davvero la sensazione di visitare il mondo e di una enorme libertà d’azione. Questo perché al di là della storyline principale (capace, da sola, di coinvolgere per svariate e svariate decine di ore) ci sono svariate linee narrative verticali (che possono anche intrecciarsi) che si dipanano in giro per Gaia e che, se seguite, vi porteranno alla scoperta dei quattro angoli del globo. Fosse anche per trovare e sfidare un particolare campione del nuovo gioco di carte, o catturare ogni tipo di chocobo, completare il bestiario o sbloccare le materie più rare.

Final Fantasy VII Rebirth
Le tre protagoniste femminili del gruppo – Tifa, Aerith e Yuffie – hanno personalità trascinanti ma molto diverse tra loro.

Un mondo vasto, vivo, denso, emozionante

Una delle cose in cui Rebirth eccelle è il comparto delle missioni secondarie, vero companatico nel genere RPG, in cui fin troppo spesso relegate a fetch quest allungabrodo tutte uguali e poco soddisfacenti. Rebirth non solo ne propone così tante da triplicare il tempo di gioco potenziale, ma le presenta in modo accattivante e sensato, senza dare la classica impressione di essere implausibili salvataggi di gattini mentre si è all’inseguimento del villain-fine-di-mondo, quanto piuttosto inserendoli bene nel contesto generale, dando loro una dignità narrativa e ludica sempre diversa e sempre incastonata a dovere. Una volta terminato il primo atto ed entrati nel vero open world, verrete letteralmente sommersi da una valanga di possibili attività secondarie, spesso scoperte per caso (e dunque missabili) ma che aggiungono davvero molto all’esperienza, esattamente come successo nell’originale con i personaggi di Yuffie e Vincent (che qui incontrerete per forza di cose, invece). Ognuna di queste attività secondarie ha meccaniche proprie da scoprire e regalano vantaggi di ogni tipo, oltre al gusto della sfida e ampliamenti più o meno grandi alla lore del gioco. Sbloccare nuove materie rare con Chadley o craftare nuovi (ed esclusivi) consumabili tramite il crafting, ad esempio, è soddisfacente e utile ai fini del gioco, che vi invita a prendervi i vostri tempi e non correre, col rischio di arrivare sottolivellati (e soprattutto sottoequipaggiati) ai boss. I minigiochi sono davvero divertenti, con una fruibilità che dipende dalle inclinazioni del giocatore: alcuni sono obbligatori da affrontare in maniera elementare, ma volendo si possono approfondire e hanno addirittura storyline dedicate. Impossibile non adorare tutto ciò che ruota attorno ai chocobo, o il nuovo gioco di carte, Regina Rossa, che reinverdisce i fasti di Triple Triad con un concept straordinario.

Naturalmente a far da mattatori ci sono Cloud e compagni, che non solo giovano di una estetica rinnovata e di doppiaggi d’eccezione (in tutte le lingue presenti) ma anche di un aggiornamento (o addirittura restyling) al moveset e alle abilità per renderli ancor più unici all’interno dell’ecosistema del party. Eccellente la stratificazione delle build che passa per vari reparti e culmina nei tag team, con il tutto che può essere giocato in maniera più user friendly al livello di difficoltà più basso ma anche in maniera molto strutturata e complessa per riuscire ad avere la meglio dei livelli superiori. È un orologio a cucù composto di meccanismi concatenati, numerosi ingranaggi oliati e incastrati alla perfezione… che fa sembrare quello di Final Fantasy XVI una semplice clessidra.

E poi giungiamo a quel che possiamo considerare croce e delizia di tutti gli appassionati di Final Fantasy e, in particolare, del settimo episodio: il giudizio sulla narrativa in sé. L’originale ha una delle storie più intelligenti, toccanti e dense di spunti di riflessione dell’intero franchise, con personaggi dal carisma infinito e vicissitudini straordinarie. Ebbene, il lavoro fatto per riportarle alla verosimiglianza è davvero degno di nota, chi più chi meno: nonostante l’evidente impegno non tutti brillano allo stesso modo (Tifa immaginiamo troverà il suo spotlight nell’episodio finale, così come Vincent, Cid e Yuffie) ma mai come prima d’ora la psicologia di Cloud, Barret, Aerith e Cait Sith è stata portata alla luce per chi vuole vedere oltre le apparenze: un lavoro di scrittura ammirevole dosato con grande perizia e sensibilità. Inoltre, le aggiunte sono molto interessanti, così come certe citazioni o elementi di rottura. Potremo giudicarle in toto solo alla chiusura del cerchio della trilogia, ad ogni modo, anche se alcune brutture del primo episodio qui vengono riportate in carreggiata divenendo quasi apprezzabili. Certo, la trama non giova della confusionaria presenza dei Numen, i “guardiani del destino” con tutto ciò che ruota loro attorno: se proprio si voleva mostrare universi alternativi si potevano scegliere soluzioni più eleganti o semplici, mentre Rebirth in un paio di occasioni incespica come più o meno qualunque romanzo, film o videogioco contempli l’esistenza di linee temporali parallele o universi multipli coesistenti che, però, finiscono per comunicare tra loro.


Sulla componente ludica Final Fantasy VII Rebirth non ha nulla da invidiare a nessuno, andando a superare qualunque concorrenza interna o esterna a Square Enix. Lo spettacolo audiovisivo, come sempre, è garantito e ai massimi livelli, e al contempo non si rivela uno scrigno tempestato di gemme ma vuoto di contenuti: i temi sono importanti e soprattutto sono affrontati col cipiglio e la sensibilità giusti, arrivando a toccare corde fortemente emozionali.
Certo, non tutto riesce ad avere il giusto spazio, alcune esagerazioni, deviazioni, tagli o aggiunte potrebbero far storcere il naso a qualcuno, ma la perfezione non è mai stata di nessun Final Fantasy, oggettivamente parlando. Ma, sempre oggettivamente parlando, è un titolo imperdibile per i neofiti ma anche per chi ha amato l’originale e ne vuole provare una versione attualizzata.