GDC 2016: un dibattito sul rapporto tra Islam e videogame

Al Game Developers Conference 2016 (GDC) di San Francisco, il giornalista Imad Khan, la docente di game design Romana Ramzan, la grafica Farah Khalaf e lo sviluppatore indie Rami Ismail hanno tenuto il dibattito “The Current State of Muslim Representation in Video Games” il cui obiettivo è stato discutere il modo in cui i musulmani vengono rappresentati all’interno dei videogiochi. Durante il dibattito del 17 marzo, si è spaziato dai titoli tripla-A a giochi indie, analizzando la presenza di stereotipi più o meno positivi e le possibili soluzioni per sensibilizzare i game designer di tutto il mondo occidentale.

Il primo argomento proposto è stato il rapporto tra nazionalità e fede musulmana, con la designer Ramzan che ha sottolineato lo stereotipo del personaggio di fede musulmana nei videogame come se fosse “il musulmano per eccellenza”, ovvero il rappresentante di un’intera cultura e di un solo modo di vivere la religiosità quotidiana nel conflitto, senza specificare mai il suo paese di provenienza. Il developer indipendente Ismail sostiene che il problema nasce dalla scarsissima presenza di personalità musulmane nei videogame di tutto il mondo, e il risultato peggiora quando si cercano di rappresentare personaggi femminili. Si tende così a scadere negli stereotipi, fondendo erroneamente l’essere musulmano con il mediorientale o l’arabo.

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un’immagine della folla giunta al GDC

Durante l’intervento al GDC, sono stati analizzati da Imad Khan alcuni personaggi musulmani come Rashid di Street Fighter V e Shaheen di Tekken 7, sottolineando che il genere picchiaduro purtroppo sia una fucina di stereotipi, non importa che siano positivi. Com’era prevedibile, il brand Call of Duty ha attirato tutte le critiche più dure, un videogame in cui la regola di base è sempre e solo una: sparare all’arabo col fucile, la barba e la pelle scura. Oltre a questo obiettivo costante, la serie prodotta da Activision si macchia di numerose quantità di errori linguistici, ritrovando nel gameplay diverse stringhe di parole che appartengono al non-sense piuttosto che a una pretesa di lingua araba. Ismail ha ironizzato che se un blockbuster da decine di milioni di dollari spendesse solo un decimo nella ricerca culturale di quello che investe nella grafica, allora sarebbe un’opera di tutto rispetto. Farah Khalaf ha auspicato invece di vedere più giochi che raccontino la comunità musulmana fuori dal solito contesto della guerra, perché mostrare costantemente un popolo in conflitto aumentano i pregiudizi negativi su quella cultura. La conferenza al GDC del Moscone Center si è chiusa con la speranza che altri progetti diano lustro alla cultura musulmana oltre ai soli provenienti dai developer indipendenti.